Corriere 3.7.15
E adesso noi a Cuba aspettiamo Burger King
Ma prima della normalizzazione vogliamo la doverosa fine dell’embargo Usa
di Leonardo Padura
Quando sembrava che le divergenze avrebbero finito per imporsi sulla volontà d’intesa, i presidenti di Cuba e Stati Uniti, nel tipico stile che li caratterizza, annunciano a sorpresa che in meno di tre settimane le bandiere dei due paesi torneranno a sventolare sulle ambasciate che apriranno a Washington e all’Avana, per dare inizio a una nuova era nei rapporti tra due nazioni che da lungo tempo vivono in ostilità e reciproca demonizzazione.
Il fatto di issare le insegne nazionali nelle capitali dei rispettivi stati in un evento simbolico di grande ripercussione sarà però, soprattutto un esempio di come due Paesi, due sistemi, possano essere capaci di dialogare e di raggiungere grandi accordi, nonostante le differenze pratiche e concettuali che li separano, sia sul piano politico che su quello economico. Un esempio che può essere utile a un mondo sempre più carico di tensioni e conflitti.
La ripresa dei rapporti diplomatici è senza dubbio un passo decisivo verso la possibile normalizzazione di legami che, come Raúl Castro ha ribadito e lo stesso presidente Barack Obama ha riconosciuto, devono passare per l’eliminazione dell’embargo nordamericano su Cuba. Sarebbe difficile infatti considerare normali dei vincoli ancora segnati dai limiti imposti dall’embargo, decretato nei lontani anni 60 e convertito in legge e inasprito negli anni 90, quando sembrava imminente un crollo del sistema cubano. La richiesta insistente del presidente Obama di superare questo scoglio può essere decisiva nei prossimi mesi, sebbene la decisione dovrà essere presa da un Congresso che gli è avverso e sul quale più di una volta ha dovuto imporsi.
Credo che per la maggior parte dei cubani dell’isola, ma anche per quelli che vivono nella diaspora, la notizia sia motivo di gioia e di speranza. Il solo fatto che le tensioni esistenti per anni sullo Stretto della Florida si allentino è una conquista, alla quale bisogna aggiungere, entro un tempo indefinibile ma che auspichiamo breve, l’intensificarsi delle relazioni commerciali. Relazioni che possono beneficare notevolmente un Paese che, nonostante i cambiamenti introdotti negli ultimi anni, soffre per un’economia che non riesce a decollare e vive con un’infrastruttura poco funzionale e arretrata in settori chiave della società moderna: comunicazioni, trasporti, edilizia abitativa, ecc.
La prevedibile apertura rispetto alla possibilità per i cittadini nordamericani di viaggiare a Cuba sarà già di per sé una boccata d’ossigeno per la società cubana. I due o tre milioni di turisti del nord che si ritiene possano approdare sull’isola porteranno dollari freschi, che non finiranno solo nelle casse dello Stato, visto che buona parte dei servizi (quelli gastronomici, per esempio) sono passati in mano ai privati.
Adesso resta da vedere cos’altro accetterà il governo dell’Avana: la proposta di Google di creare un accesso a Internet veloce ed economico per tutti i cubani? Il sogno di Netflix di commercializzare il suo vastissimo portafoglio di prodotti audiovisivi a Cuba? L’apertura di McDonald e Burger King, dove quei turisti del nord potranno ritrovare i loro piatti tipici? … Quali spazi commerciali cederà Cuba e quante finestre aprirà a una nuova relazione che non si presenta come politica ma che, in fondo (e neanche tanto), lo è?
Ma per adesso godiamoci quello che abbiamo: bandiere simboliche e reali issate al vento, a Washington e all’Avana. Il viale del Malecón della capitale cubana (lungo il quale si trova l’edificio dell’ambasciata nordamericana) sarà sicuramente traboccante di cubani, di turisti nordamericani e di giornalisti di mezzo mondo, pronti a essere i testimoni di un evento storico a cui in tanti, in tantissimi, non avremmo mai creduto di poter assistere nella nostra vita… Approfittiamo dell’ottimismo del momento… Per il pessimismo e la frustrazione possono sempre esserci tempi migliori .
(traduzione di Francesca Buffo)