Corriere 14.7.15
Il colloquio
Piketty: cacciare un Paese? Si può Ma è una cosa da apprendisti stregoni
Buttar fuori uno Stato significa incoraggiare tutti i discorsi anti-euro
Distruggere l’ideale europeo sarebbe l’inizio della fine
di Stefano Montefiori
PARIGI Scongiurare a ogni costo l’uscita della Grecia dall’euro, e aiutare Atene a tirarsi fuori dal baratro accettando di ristrutturare il debito e facendo così ripartire l’economia: questa è la visione di Thomas Piketty, l’economista francese autore nel 2013 del best-seller globale «Il capitale nel XXI secolo» (edito in Italia da Bompiani). Piketty è stato accontentato a metà. In mancanza di incidenti di percorso, se i vari Parlamenti nazionali ratificheranno l’intesa trovata all’alba di ieri a Bruxelles, la Grecia resterà nell’euro e il temuto inizio della dissoluzione dell’Unione sarà evitato. Ma restano i dubbi sulle condizioni imposte ad Atene. Troppo dure per sperare in una ripresa della produttività, troppo ispirate a una austerity contro la quale Piketty si batte da tempo per una ragione fondamentale: non funziona.
Quale piano sarebbe ragionevole per avere qualche speranza di aiutare i greci?
«Per me le basi di un buon accordo erano chiare: si può chiedere alla Grecia un leggero avanzo primario nei prossimi anni, nell’ordine di un 1 per cento del Pil al massimo, ma non di più, almeno fino a quando l’attività economica non avrà ritrovato il suo livello del 2007. Oggi il Pil greco è sotto del 25% rispetto alle dimensioni precedenti la crisi. In queste condizioni non ha alcun senso chiedere un aumento dell’avanzo primario del 2% del Pil nel 2016, del 3% nel 2017 per arrivare al 4% nel 2018».
La tentazione di fondo della Germania e dell’Europa del Nord in questa crisi è sembrata quella di sbarazzarsi della Grecia per dare un esempio agli altri Paesi, e poi costruire una Unione economica e politica più integrata ed efficace. Era un’idea sensata?
«Quelli che hanno pensato e che ancora pensano che un’Europa senza Grecia permetterebbe di disciplinare e stabilizzare la zona euro sono dei pericolosi apprendisti stregoni. Cacciare un Paese significa incoraggiare tutti i discorsi anti-euro e in fin dei conti distruggere l’ideale europeo, sarebbe l’inizio della fine».
Eppure il ministro delle Finanze tedesco Schäuble, e non solo lui, ha lavorato per questo esito.
«Presso un certo numero di dirigenti tedeschi si osserva uno spaventoso miscuglio di nazionalismo presuntuoso e di ignoranza storica. L’Europa si è costruita negli anni Cinquanta sulla cancellazione dei debiti del passato, e in particolare del debito della Germania. Ai giovani tedeschi degli anni 1950-1960 è stato detto: voi non siete responsabili dei debiti e degli errori dei vostri genitori e dei governi precedenti, bisogna guardare verso il futuro e investire nella crescita. Dovremmo fare lo stesso oggi».
In questa situazione qual è il ruolo di Draghi e della Bce?
«La Bce non deve asfissiare le banche greche. L’Italia e la Francia si sono opposte all’espulsione della Grecia dalla zona euro, contro un colpo di Stato finanziario. L’idea che un creditore possa recuperare i suoi soldi asfissiando il debitore è un pensiero folle, ideologico».
Il Grexit per il momento almeno è scongiurato. Ma è possibile pensare che un Paese possa uscire dall’euro senza conseguenze gravi per gli altri? Nei giorni scorsi il governo italiano negava qualsiasi rischio di contagio, a differenza di ciò che pensava il Fondo. Chi ha ragione?
«L’Italia aveva torto di ritenersi al riparo. I tassi di interesse oggi sono eccezionalmente bassi, ma questa situazione non può durare all’infinito. In caso di Grexit, le tensioni si sarebbero trasferite presto o tardi su altri Paesi».