martedì 9 giugno 2015

Repubblica 9.6.15
Tra femministe e transgender chi ha ragione sulle donne?
Le foto e le dichiarazioni di Bruce Jenner, diventato Caitlyn, riaprono il dibattito sugli stereotipi di genere
di Elinor Burkett


DONNE e uomini hanno cervelli diversi? Ai tempi in cui Lawrence H. Summers era preside di Harvard e suggerì di sì, la reazione fu immediata e implacabile. Gli esperti lo bollarono di “sessismo”. I membri di facoltà gli dettero del troglodita. Gli ex allievi sospesero i pagamenti. Eppure, quando Bruce Jenner, l’ex campione olimpico di decathlon che ha cambiato sesso, in un’intervista ha detto più o meno la stessa cosa è stato incensato per il suo coraggio. E per il suo progressismo.
«Il mio cervello è più femminile che maschile», ha detto, spiegando in che modo ha capito di essere un transgender. Questo è stato soltanto il preludio a una serie di foto e all’intervista pubblicata da Vanity Fair che ci offrono uno spaccato dell’idea che Caitlyn Jenner ha di una donna: un corsetto attillato che esalta la scollatura, pose sensuali, abbondante mascara, e la prospettiva di normali “serate fra ragazze” con bonarie prese in giro per le acconciature dei capelli e il trucco. La signora Jenner è stata accolta con un fragoroso applauso. L’emittente televisiva Espn (specializzata nello sport) ha annunciato di voler insignire la signora Jenner di un premio per il suo coraggio. Anche il presidente Obama l’ha ammirata. Per non essere da meno, Chelsea Manning, l’ex militare americano che passò documenti top secret a WikiLeaks e che ha cambiato sesso, è saltata sul gender train ( il treno di genere) di Caitlyn Jenner e ha twittato con entusiasmo: «Adesso sono molto più consapevole delle mie emozioni! Sono molto più sensibile a livello emotivo (e fisico)».
Una parte di me ha fatto un sobbalzo. Per buona parte dei miei 68 anni ho combattuto contro tutti i tentativi di rinchiudere le donne all’interno di meticolose caselline, per ridurci a vetusti stereotipi. All’improvviso, scopro invece che molte delle persone che pensavo fossero dalla mia parte – gente che si definisce progressista, che sostiene con ardore la necessità tutta umana di autodeterminarsi – stanno prendendo per vero il concetto secondo il quale minime differenze nel cervello degli uomini e delle donne portano a grossi crocevia lungo il cammino e che dentro di noi sia codificato una specie di destino di genere. Questo è proprio quel tipo di sciocchezza che è stata utilizzata per secoli per reprimere noi donne. Tuttavia, il desiderio di sostenere persone come Caitlyn Jenner nel viaggio verso il loro “Io” più autentico stranamente e inconsapevolmente l’ha riportato in vita. Chi non ha vissuto la propria intera vita da donna non dovrebbe arrivare a definire noi donne. Perché questo è quanto gli uomini fanno da fin troppo tempo. E nella misura in cui riconosco e approvo il desiderio degli uomini di gettare alle ortiche il mantello della virilità, ritengo che non possano avanzare la loro richiesta di dignità di transgender calpestando la mia dignità di donna. La loro verità non è la mia verità. La loro identità femminile non è la mia identità femminile. Loro non hanno viaggiato da donne in lungo e in largo nel mondo, e non sono state plasmate da tutto ciò che questo comporta. Loro non hanno sopportato lunghi meeting d’affari con uomini che si rivolgono alle loro mammelle, né si sono svegliati terrorizzati dopo una notte di sesso nel timore di aver dimenticato di prendere la pillola contraccettiva. Loro non hanno dovuto mai affrontare l’inizio delle mestruazioni al centro di un vagone affollato della metropolitana, né hanno vissuto l’umiliazione di scoprire che gli stipendi dei loro colleghi maschi sono di gran lunga più consistenti dei loro.
Per me e per molte donne, femministe o no, alcune delle cose più difficili alle quali assistere e per le quali è difficile unirsi al movimento per i diritti dei transgender è il linguaggio sul quale insiste un crescente numero di persone trans, i concetti di femminilità che esprimono e argomentano, la loro mancanza di rispetto nei confronti del fatto che essere una donna significa aver accumulato e maturato alcune esperienze, aver sopportato alcuni episodi indegni, aver assaporato alcune cortesie in una cultura che, tanto per dirne una, ha reagito alla tua presenza. I cervelli sono sicuramente un buon posto dal quale iniziare, perché una delle cose che la scienza ha appreso su di essi è che di fatto sono configurati dall’esperienza, dalla cultura e da altro ancora. «È impossibile osservando un cervello dire: “Questo è il cervello di una bambina” oppure “Questo è il cervello di un bambino”» ha detto al Telegraph l’anno scorso Gina Rippon, neurologa presso l’Aston University in Gran Bretagna. Le differenze tra il cervello femminile e il cervello maschile sono determinate da una specie di stillicidio, quel “goccia dopo goccia dopo goccia” distillato dall’ambiente nel quale si vive e che è improntato al genere. Il “goccia dopo goccia dopo goccia” dell’esperienza di Jenner ha incluso una dose alquanto grande di privilegi maschili che le donne nemmeno si sognano. Se il giovane Bruiser (“Attaccabrighe”), come era soprannominato Bruce Jenner da piccolo, ha potuto ricevere tra gli applausi una borsa di studio per l’università per meriti atletici, poche atlete hanno potuto sperare in una simile generosità, dato che da sempre le università offrono pochi aiuti agli sport femminili. Alto e forte, Jenner non ha mai dovuto escogitare come camminare di notte per strada senza correre rischi. Sono queste le realtà che configurano i cervelli delle donne. Definendo l’essere donna come ha fatto con l’intervistatrice Sawyer, Jenner e i molti sostenitori dei diritti dei transgender che condividono un simile approccio di fatto ignorano queste realtà. Così facendo, nuocciono e compromettono una serie di argomentazioni per le quali si è combattuto duramente per un secolo.
La retorica del “sono nata in un corpo sbagliato” utilizzata da altri trans non funziona tanto meglio, ed è altrettanto offensiva, dato che ci riduce alle nostre mammelle e alle nostre vagine. Provate a immaginare quale sarebbe la reazione generale se un giovane maschio bianco all’improvviso decidesse che è intrappolato nel corpo sbagliato e, dopo aver utilizzato una serie di sostanze chimiche, modificasse la pigmentazione della sua pelle, si acconciasse i capelli in treccioline e si aspettasse di essere accolto a braccia aperte nella comunità di colore. Molte donne che conosco, di ogni età e razza, in via confidenziale raccontano quanto è offensivo secondo loro il linguaggio utilizzato dagli attivisti e dai trans per spiegarsi. Dopo che Jenner ha parlato del suo cervello, un’amica ha definito le sue parole un vero e proprio insulto, e ha chiesto in tono esasperato: «Sta forse dicendo che non è bravo in matematica? Che davanti a film violenti piange?».
Le donne come me non si perdono in falsi paradossi. Noi criticavamo la visione binaria di maschio e femmina ben prima che la maggior parte degli americani avesse mai sentito parlare di transgender. Proprio perché l’abbiamo fatto, e continuiamo a farlo, migliaia di donne che un tempo erano relegate a posti di lavoro come segretarie, estetiste o hostess di volo adesso lavorano come operaie saldatrici, meccaniche e pilote. Proprio perché l’abbiamo fatto, le nostre figlie giocano con i trenini e i camion così come con le bambole, e la maggior parte di noi si sente libera di indossare gonne e tacchi alti al martedì e blu jeans al venerdì. La lotta per andare oltre questi stereotipi è lungi dall’essere conclusa, e gli attivisti trans potrebbero essere gli alleati naturali delle donne nel prossimo futuro.
Bruce Jenner ha detto all’intervistatrice Sawyer che la cosa che non vedeva l’ora di fare di più nel corso della sua transizione era mettersi lo smalto per le unghie: non di nascosto, non per un istante solo, ma finché non si scheggia. Io desidero che Bruce, oggi Caitlyn, possa coronare questo suo desiderio. Ma voglio anche che si ricordi di una cosa: non è lo smalto delle unghie a fare di una donna una donna. Elinor Burkett è giornalista ed ex docente di studi femminili
Traduzione di Anna Bissanti © 2-015 The New York Times