giovedì 4 giugno 2015

La Stampa 4.6.15
Rossi: la sinistra si rassegni e accetti la leadership di Renzi
“Abbiamo perso voti anche per le polemiche nel partito ma non paga il conflitto permanente col sindacato”
di Carlo Bertini


Governatore Rossi, fanno bene i suoi compagni della minoranza a dire che ora Renzi deve scendere a patti sulla riforma del Senato e su tutto?
«No. Renzi in effetti può dire che il rosso del Pd sulla cartina geografica si è esteso e che c’è un avanzamento del partito innegabile. Certo, non è quello delle europee ma non si possono confrontare tornate elettorali diverse con conclusioni spericolate. In ogni caso non credo che il problema siano le riforme».
E quale è stato il problema?
«Da un lato una difficoltà a proseguire lo sfondamento nel centrodestra che si è fermato. Dall’altro una difficoltà di rapporto con ampi settori della sinistra sociale. Terzo, le divisioni non favoriscono, è folle quanto avvenuto in Liguria. Questa sinistra che si divide contro Renzi pensando di raccogliere grande consenso ottenendo un flop, è un dato che troviamo pure in Toscana, dove volevano dimostrare che c’è una sinistra di governo fuori dal Pd. Non è così».
Nella sua regione c’è stata l’astensione più alta di sempre. Molti hanno disertato le urne perché disgustati dalle litigate continue nel Pd?
«Anche per questo, ma non è la sola ragione. C’è una delusione di un certo elettorato di sinistra. Ma si può metter in conto l’assenza di un election day per riallineare in una tornata nazionale tutti i comuni e le regioni, poi il ponte, il fatto che ancora non si possa esprimere un voto telematico. C’è la crisi delle istituzioni certo, ma la politica deve cercare soluzioni che favoriscano la partecipazione».
Jobs act e riforma della scuola hanno fatto perdere voti?
«So che chi governa a volte deve decidere con strappi, ma non si può continuare con un conflitto permanente col sindacato, che va sfidato sul fronte del rinnovamento. Detto questo non credo che il jobs act sia una ferita ai diritti».
Renzi fa bene a ristrutturare da cima a fondo il partito?
«Il Pd ha un leader e bisogna partire dal riconoscimento di questo punto centrale. Non ci si possono essere atteggiamenti di rancore. Il profilo politico-culturale della sinistra si deve ricostruire, ma non può influenzare il quotidiano. Mi auguro che in questo partito si possa stare tutti, ma dico con franchezza che quando viene a mancare il voto su passaggi importanti una questione si apre».
E come si risolve?
«Senza mettere nessuno alla porta, ma c’è una sinistra dentro il Pd malata di politicismo. Quando si parla con gli operai davanti alle fabbriche che chiudono il problema della democrazia che loro si pongono sta a monte del dibattito sulla legge elettorale o sul monocameralismo. È quello di una democrazia fondata sul lavoro. A questa sinistra dico: preoccupiamoci di come Renzi possa suonarle all’Europa per cambiare le politiche di austerità. Ogni legge elettorale può esser migliorata ma dopo quanto successo nel 2013 mi chiedo se l’Italicum non sia un passo avanti. Su questi punti non sono d’accordo con Bersani e non sono diventato renziano».
Lo sa che gira anche il suo nome insieme a quelli di Letta o Speranza, come possibile sfidante di Renzi al congresso 2017?
«Io voglio dare con queste idee un contributo alla politica nazionale, nel mio ruolo di presidente di regione. Non c’è un problema di competizione verso Renzi, ma di sostenerlo con la dignità di posizioni che sono quelle della sinistra, se no a rimetterci sarebbero soprattutto i ceti deboli. Piuttosto che del partito della nazione per la sinistra si pone il problema, come diceva Togliatti, di come ci si fa carico dell’interesse del paese».