Il Sole 5.6.15
Ma la partita del Senato non metterà a rischio il Governo
Non è la fine della legislatura la trappola che al Senato vogliono costruire per Renzi. Il Governo andrà avanti perché, alla fine, i numeri li troverà.
di Lina Palmerini
Ieri Sergio Cofferati, dopo la sconfitta in Liguria del Pd, parlava di una «stagione nuova che si apre a sinistra» e dava la sveglia alla minoranza del partito che «deve decidere se stare con Renzi o no, basta parole». L’ex leader della Cgil sa bene quanto sia difficile uscire dal partito, lui stesso quando era leader della minoranza Ds più che tentare l’avventura accettò di candidarsi a sindaco di Bologna. E dunque, anche oggi, per gli esponenti della minoranza - che al Senato sono circa una ventina - vale lo stesso calcolo di convenienze che non li porterà a un’uscita subito. O forse mai, visto che i risultati delle liste di sinistra non sono stati affatto esaltanti. È vero che manca un leader e un progetto ma per costruire entrambi serve tempo. Serve cioè che la legislatura vada avanti.
Un tempo necessario anche per chi vuole restare nel Pd ma facendo fuori Renzi. Non si improvvisa un’operazione così, occorre scegliere temi simbolici come la scuola, ricostruire un collegamento nei territori che invece appare sfilacciato. Prendiamo l’esempio della Toscana: il Governatore rieletto Enrico Rossi si è smarcato dalla minoranza pur non essendo renziano. E in Umbria la rieletta Marini non è andata così bene, anzi, ha fatto passare brutti momenti al Nazareno. Non c’è quindi una “ditta” sui territori pronta a tornare tra le braccia dei legittimi proprietari ma c’è un tessuto che si è frammentato. Il progetto - eventuale - di un nuovo Pd è tutto da mettere a fuoco e va trovato pure un leader da contrapporre alle primarie che non può essere Bersani. Non ha senso quindi improvvisare la guerriglia al Senato e magari rischiare pure di andare al voto. C’è invece da fare un calcolo millimetrico per costruire una trappola che non sarà mai quella della fine della legislatura. Una goccia dopo l’altra per dimostrare la debolezza del premier.
Fuori dal Pd, ci sono calcoli speculari. Silvio Berlusconi ha cominciato la campagna acquisti tra i senatori di Ncd: c’è chi dice che potrebbero andare via in sei, chi in otto chi spara dieci. Il punto è per andare dove? In un centro-destra dove non si capisce ancora chi comanda e chi farà le liste? Quanti ne toccheranno a Berlusconi e quanti a Salvini? Difficile quindi che l’offensiva del Cavaliere porti a casa grandi cose. E poi in Ncd si aspetta – piuttosto – il rimpasto di Governo e quindi non succede nulla. Né succederà nulla perché anche con il Consultellum il partito di Alfano è spacciato visto le alte soglie di sbarramento (4% e 8%) che si riducono solo se si entra in coalizioni che raggiungono il 10 o il 20 per cento. A oggi, viste le regionali, si tratta di miraggi. E allora anche lì le fibrillazioni sono destinate a rientrare. Ma un Renzi più debole fa gioco anche a loro che si sentirebbero indispensabili e potrebbero trattare futuri ingressi nel Pd.
Insomma, alla fine non sarà tanto la tenuta sui grandi temi il problema del Senato ma il giorno per giorno. I voti di scarto della maggioranza sono sette, se ne aggiungono 10 che arrivano da Gal e dal Misto, più c’è una pattuglia di ex grillini. Più c’è l’area di Fitto che si è appena costituita e che non ha alcuna voglia di finire la legislatura e lanciarsi nel vuoto. E poi c’è sempre il vil denaro: altri tre anni di legislatura vogliono dire tanti soldi e una pensione di circa 1.400 euro al mese se si maturano almeno 4 anni sei mesi e un giorno. Insomma, le convenienze politiche e non blindano il Governo.