Corriere 5.6.15
Più disparità e il welfare non riesce a mitigarle
di Danilo Taino
Ci sono ottime ragioni economiche e finanziarie per fare le riforme strutturali, in Italia. Come ricorda spesso Mario Draghi. Ce ne sono di altrettanto buone dal punto di vista sociale. Uno studio pubblicato ieri dall’Istituto per l’economia mondiale (Ifw) di Kiel disegna una mappa interessante di una delle categorie più seguite negli ultimi tempi, la disuguaglianza. Ne risulta che nel nostro Paese la struttura economica produce grandi differenze di reddito e che lo Stato sociale che le vorrebbe mitigare può farci poco e comunque funziona male. L’indice di Gini che misura l’uguaglianza — tra zero, dove è totale e uno, dove invece tutta la ricchezza esistente è di una sola persona — negli scorsi trent’anni non è quasi cambiato in Europa: era 0,29 a metà anni Ottanta, è un po’ meno di 0,31 oggi. L’Italia ha una situazione interessante. Se non si considera l’intervento dello Stato — cioè l’effetto redistributivo delle tasse e della spesa — l’indice italiano è passato da 0,42 a 0,53 tra metà anni Ottanta e 2010. Segno che la struttura economica crea enormi zone di privilegio: invece che il mercato aperto prevalgono le rendite di posizione. Negli Usa — dove la disuguaglianza è in testa alle preoccupazioni dei cittadini, diceva ieri il New York Times , perché ritengono di vivere in una società ingiusta — l’indice pre-Welfare è 0,48; in Svezia 0,43. Qui sta il problema: con questo dato di partenza, l’intervento del Welfare per attenuare la disuguaglianza ha una montagna da scalare. Nonostante l’alta spesa pubblica, l’indice Gini in Italia calcolato tenendo conto dell’effetto redistributivo dello Stato, rimane il più alto d’Europa (dopo quello portoghese): 0,34. Inoltre, lo studio — www.ifw-kiel.de — indica che gli italiani hanno la quota minore di copertura pensionistica, i peggiori benefici di disoccupazione e la più scarsa copertura malattia. Oltre a un sistema produttivo ingiusto. C’è parecchio da riformare.