mercoledì 24 giugno 2015

Corriere 24.6.15
Il dietrofront di Obama sugli ostaggi «Autorizzato il pagamento di riscatti»
Le famiglie che tenteranno di salvare i propri cari non saranno più perseguite per legge
di Guido Olimpio


WASHINGTON Ci sono volute molte vittime, tanti ostaggi trucidati dai tagliagole dell’Isis, ma alla fine anche gli Usa hanno deciso di cambiare approccio. La Casa Bianca ha preparato una nuova linea che permetterà alle famiglie di pagare un riscatto senza correre il rischio di essere incriminati. La svolta, che sarà annunciata dallo stesso Obama ed è stata anticipata dal New York Times , non contraddice in modo formale il «no» alla trattativa, però è chiaro che la rende possibile. Anche perché la mossa è molto ampia.
Il presidente si è convinto della necessità di trovare risposte dopo le tragedie di tanti occidentali finiti nelle mani dell’Isis e poi assassinati. Un dolore per i loro parenti reso ancora più profondo dall’impossibilità di fare qualcosa per salvarli. Il tick tock dell’ultimatum avanzava inesorabile e padri e madri potevano solo pregare. Più volte hanno chiesto aiuto all’amministrazione ma hanno incontrato solo ostacoli, pratici e legali. Finalmente il loro appello disperato è stato accolto.
Il piano è articolato e «comprensivo». Questi i punti. Primo. I familiari che pagheranno un riscatto non saranno inquisiti. Secondo. Le autorità non apriranno trattative con i terroristi — il divieto resta — però favoriranno gli eventuali contatti dei parenti dei prigionieri. Terzo. Sarà creato all’Fbi un centro — fusion cell — composto da membri anche di altre agenzie della sicurezza che opererà in raccordo con i familiari. Quarto.
Un team speciale alla Casa Bianca avrà la supervisione sul dossier ostaggi. Quinto. Un funzionario al Dipartimento di Stato dovrà tenere i rapporti con gli altri Paesi coinvolti. Sesto. Un alto dirigente dell’intelligence si occuperà di gestire le informazioni e condividerle, per quanto è possibile, con la famiglia, che sarà aggiornata in modo «rapido» sulla situazione e le iniziative in atto.
È evidente che si tratta di un vero sistema operativo, che va oltre l’autorizzazione ad agire per i congiunti di un prigioniero. Qualcosa di rivoluzionario rispetto alla tradizione posizione del «noi non trattiamo». Non c’è la figura dello «zar degli ostaggi», ossia di una figura che si occupi solamente dei casi, come avevano invocato molti, però ci siamo vicini. Una conseguenza di polemiche, anche dure, seguite alla tragica fine di James Foley e degli altri americani usati come pedine dallo Stato Islamico.
Molte voci avevano chiesto alla Casa Bianca di trovare alternative, per non rimanere tra l’incudine del rifiuto al negoziato — pur con qualche eccezione — e il martello (rischioso) dell’opzione militare per liberare la vittima. Gli esiti non sono stati incoraggianti. Un paio di raid sono falliti, ribadendo come sia complicato sottrarre una persona nelle mani dei mujaheddin.
A questo si è aggiunto il contrasto, forte, con i parenti di chi era finito nelle segrete del Califfo. C’è chi ha provato a muoversi in modo indipendente, raccogliendo denaro, cercando un aggancio con i terroristi. Iniziative rese difficili dalla legge americana, dalla burocrazia della sicurezza, dalla mancanza di dati precisi. L’Amministrazione non solo non ha aiutato, ma in qualche caso si è messa in mezzo diventando ora zavorra ora muro. E la frustrazione si è tramutata in rabbia quando Washington ha accettato di scambiare il soldato Bergdahl con cinque esponenti talebani. Una violazione evidente della linea di chiusura: se si è barattato il militare — è stata l’accusa — lo si poteva fare anche per giornalisti e attivisti.
Una pagina nera tenuta aperta, anche in queste ore, dall’Isis. Il movimento ha diffuso un video dove mostra l’esecuzione di diversi prigionieri usando nuove tecniche. Uno show di barbarie solo per conquistarsi i titoli sui media: le vittime sono state annegate in una gabbia immersa in una piscina, altre sono state assassinate con una carica esplosiva al collo, altre ancora rinchiuse in un’auto poi colpita con un razzo. Più fortunata, invece, una donna inglese di 31 anni che era stata rapita da Al Nusra, in Siria. L’hanno liberata a causa delle sue condizioni psichiche.