lunedì 1 giugno 2015

Corriere 1.6.15
Matrimonio gay
L’errore di unificare le varietà dell’amore
La stessa costituzione italiana insegna che i diritti si tutelano riconoscendo le differenze, non negandole
di Luca Diotallevi


C he il matrimonio sia per lo Stato un «contratto» e solo per la Chiesa qualcosa d’altro è uno dei punti fermi della laicità. La questione, però, si può guardare anche da un altro punto di vista. La laicità non se ne abbia a male.
Per la Chiesa l’amore coniugale di un uomo e di una donna è un sacramento, ma diverso dagli altri sei. Infatti, la Chiesa non insegna che Gesù ha istituito («inventato») il matrimonio. Insegna invece che lo ha trovato ed elevato; che ha cioè riconosciuto, dentro il matrimonio, la qualità di base del sacramento. San Paolo e san Tommaso scrivono pagine straordinarie sul valore santificante dell’amore coniugale in sé. La Chiesa, insomma, non ha istituito, ma ha semplicemente riconosciuto la dignità dell’amore fedele — e non solo «contrattuale» — tra un uomo e una donna. Accetta che questo amore contenga, e che manifesti in una dimensione pubblica, una Grazia che non è stata Lei, la Chiesa, a metterci.
Non diversamente avviene per la politica. Lutero, quando volle dare al principe un potere senza limiti, contribuendo così alla nascita dello Stato moderno, affidò allo Stato una completa competenza anche sul matrimonio. Così si compì — come ha scritto John Witte — la nascita del matrimonio come «contratto». Del resto, lo Stato «assoluto» non tollerava nessuna istituzione autonoma: né quella del matrimonio, né quelle dell’università o dei mercati.
Una volta ridotto a «contratto», il matrimonio è una forma che gli individui — dopo aver accettato la «privatizzazione» della particolarità del loro amore imposta dallo Stato — riempiono di ciò che vogliono. La Chiesa che si fa regime o la politica che si fa Stato non tollerano troppa libertà per l’amore coniugale, né per l’amore in generale, a partire dall’amicizia. (De Tocqueville, venendo dall’Europa statalista, scopriva in un’America diversa la pratica dell’«amicizia civile»).
A questo punto, però, è possibile un’osservazione: molto secolare e poco laica. Questa osservazione può aiutare a capire meglio l’affermazione, certo molto dura, del cardinal Parolin (Segretario di Stato vaticano) che ha definito l’esito del referendum irlandese sul matrimonio tra persone dello stesso sesso «una sconfitta per l’umanità».
Nessun amore è mai una sconfitta. Mai, infatti, i diritti di una persona dipendono da come ama e da chi ama. La sconfitta sta, invece, nella perdita della coscienza della pluralità delle forme di amore (coniugale, amicale, genitoriale, ecc...). La sconfitta è il non saper più riconoscere, anche sul piano legale, la varietà degli amori e le loro differenze. Ciò si verifica inevitabilmente quando ad amori diversi si impone l’unica generica forma del contratto.
In realtà, non è affatto necessario contrattualizzare tutte le relazioni sociali per difendere anche al loro interno i diritti delle persone, soprattutto di quelle più deboli. Ad esempio, non dobbiamo pensare come un contratto il rapporto tra un genitore e un figlio per difendere i diritti dell’uno dagli abusi dell’altro.
Se, per un attimo, abbandoniamo il punto di vista laico, ci accorgiamo che ci sono tante forme di amore, ciascuna diversa dall’altra. Ci accorgiamo che, per difendere i diritti delle persone, non serve annullare la differenza tra le varie forme di amore. Semmai, ciò che serve è riconoscere queste differenze, come la Costituzione italiana prescrive e insegna.
Forse unioni civili che siano mere fotocopie dell’istituto del matrimonio tolgono più di ciò che danno. La Costituzione italiana insegna infatti a concepire la Repubblica come un insieme di tanti tipi di relazioni diverse, ciascuna con un proprio profilo istituzionale. Insegna che i diritti si tutelano meglio riconoscendo e responsabilizzando le differenze, non negandole. Questa è la via secolare, diversa dalla via laica.