giovedì 18 giugno 2015

Corriere 18.6.15
Quelle soluzioni irrealizzabili sui rimpatri
di Maurizio Caprara


Sui migranti, l’incontenibile fretta di alcuni politici nel far parlare di sé sta producendo pericolose bolle di illusioni. Rimpatri veloci o di massa delle persone sbarcate in Italia, ad esempio, sono irrealizzabili; così come l’installazione di campi per trattenere i migranti in Libia. Né si possono obbligare le navi che soccorrono barconi carichi di profughi a portarli nello Stato del quale battono bandiera le navi stesse.
Su profughi e migranti l’incontenibile fretta di alcuni dirigenti politici nel dichiarare o nel far parlare di sé sui mezzi di informazione sta shakerando la logica, produce bolle di illusioni e un proliferare di obiettivi impossibili. Rimpatri veloci o di massa delle persone sbarcate in Italia sono attualmente irrealizzabili, innanzitutto per mancanza del numero necessario di accordi per la riammissione degli espatriati nei rispettivi Paesi di origine. Per avere un’idea, l’Italia non ha questo tipo di intese con il Bangladesh, il Senegal, la Costa d’Avorio, il Ghana, il Sudan, il Mali. Stipulare accordi di riammissione costa soldi — fondi e crediti per convincere le controparti — e tempo per negoziarli. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, lunedì, ne ha firmato uno con la Macedonia. Le trattative erano state aperte dalle autorità di polizia nel 2009.
Un pressappochismo dettato, in proporzioni ardue da distinguere, da malafede e pigrizia mentale sta trascurando dati di fatto. Diritto internazionale e civiltà impongono di valutare le richieste di asilo di stranieri provenienti da terre in guerra e di possibili perseguitati. Gli sbarcati non possono essere rimandati indietro come palline da ping pong. In una delle parti del Sud che più fa arrivare povera gente da noi, il Corno d’Africa, l’Eritrea è una bellicosa patria della tortura. In Siria è in corso una guerra.
Senza sottovalutare i disagi di quegli italiani — di loro, non di noi tutti — a diretto contatto con flussi diretti verso Nord e incagliatisi, non sarebbe male nei dibattiti politici e nelle chiacchierate televisive tenere presenti le dimensioni del fenomeno del quale si parla. Dal 1° gennaio al 16 giugno 2014 in Italia sono arrivati per vie irregolari 57.624 stranieri. I rimpatriati sono stati 15.726. Non proprio pochi. Quest’anno, fino al 16 giugno gli arrivi sono stati 52.237. I rimpatri, al 31 maggio, 6.036. Oltre a politici italiani, anche Regno Unito e Francia premono per rimpatri veloci. Tutto è migliorabile, comunque per eseguirli in genere si impiegano aerei. Significa che non si può imbottire un jet di linea di possibili ribelli o dividere i posti di un charter metà per i respinti e metà per agenti tenuti a impedire sommosse volanti.
Tra le ipotesi in circolazione brilla quella di installare in Libia campi per trattenere i migranti diretti in Italia e di selezionare lì i richiedenti asilo. Peccato che in Libia manchino di fatto uno Stato, un governo (ce n’è più d’uno) e che il Paese non abbia mai ratificato le convenzioni dell’Onu sui rifugiati. E se nazioni europee non vogliono gli stranieri entrati in Europa dall’Italia, e tre presidenti di Regioni neppure, quale elisir potrebbe convincere un Paese africano di transito a sobbarcarsi oneri destinati a Stati tappa successiva nei viaggi? Perfino la Tunisia, collaborando, non ha mai preso in considerazione campi del genere.
Curiosa un’altra trovata (virtuale): obbligare le navi che soccorrono imbarcazioni cariche di stranieri a portarli nello Stato del quale battono bandiera le navi stesse. Se sono militari, il coordinamento della missione Triton è italiano. Principio internazionale è portare gli scampati ai naufragi nel porto sicuro più vicino. Quindi in Italia o nella piccola Malta. E se i soccorritori fossero civili? Un peschereccio giapponese sbarcherebbe i profughi in Giappone? Tanti equipaggi lascerebbero affondare più disgraziati di adesso.
I viaggi di povera gente dal Sud verso l’Italia non sono un fenomeno passeggero. Sono una caratteristica dei nostri tempi. «Il problema dell’immigrazione non va risolto», ha osservato con realismo il ministro Gentiloni, sottolineando che «la grande divergenza dei prossimi dieci-venti anni è quella del divario economico e demografico tra Europa e Africa». Sul problema dell’immigrazione ha constatato: «Va gestito». È indispensabile. Non nascondiamoci però che già gestirlo — incanalarlo, distribuirlo — è un obiettivo ambizioso.