venerdì 8 maggio 2015

Repubblica 8.5.15
Come dovrebbe essere la “Buona scuola”
di Alessandro De Nicola


UNO dei caposaldi del cambiamento renziano è stata fin dall’inizio la riforma della scuola. Naturalmente, gli elementi qualificanti di tale riforma non potevano certo essere la promessa di qualche miliardo in più per l’edilizia scolastica (qualsiasi ministro democristiano sarebbe stato in grado di fare altrettanto) oppure l’assunzione ope legis di 100mila precari e di altri 60mila immediatamente dopo, ma per concorso.
Una rinnovata enfasi su arte, musica, diritto, economia e inglese, poi, sono le benvenute, per carità. Ma l’inglese è in cima ai pensieri degli innovatori da lustri (ricordate le tre “I” di Berlusconi? “Inglese, Informatica, Impresa”) e le altre materie sono interessanti, ma se poi l’orario scolastico è quello che è ed in più il bisogno principale in realtà è la matematica, un’ora addizionale di arte vorrà dire un’ora in meno di qualche altra insegnamento. Fortunatamente, invece, la flessibilità nella scelta di materie facoltative è un’innovazione un po’ più marcata rispetto alla catena di comando e controllo del Ministero. Anche l’alternanza scuola- lavoro, soprattutto per gli istituti tecnici, è la benvenuta. Bisognerà capire dove trovare un milione e mezzo di posti provvisori disponibili (tanti sono gli studenti degli ultimi anni delle superiori) e soprattutto fare i conti, ancora una volta, con il monte ore. A regime, per gli istituti tecnici 400 ore vogliono dire 3 o 4 ore alla settimana nell’ultimo triennio: vedremo quanto tempo rimarrà per lo studio e il potenziamento delle altre materie.
Tuttavia, la vera novità della #buonascuola si riassumeva nella triade “apertura, autonomia & merito”. Autonomia delle scuole nella gestione, apertura delle stesse al contributo del mondo esterno, in particolare alle imprese e a chi volesse dare comunque una mano e merito sia nell’assunzione dei nuovi insegnanti sia nella assegnazione di premi per il rendimento proficuo o di sanzioni per scarsi impegno e risultati. Inoltre, si vuole introdurre una (possibile) mobilità triennale degli insegnanti nell’ambito dell’albo territoriale. Cercando di rendere concreto il principio di libertà di scelta delle famiglie, il ddl concede sgravi fiscali fino a 400 euro per chi iscrive i figli alle scuole d’infanzia e primarie paritarie e concede la possibilità di destinare il 5 per mille agli istituti sia pubblici che privati nonché di usufruire di benefici fiscali per chi decide di donare soldi agli istituti scolastici. Per dare senso all’autonomia, si è cercato di responsabilizzare il preside, affidandogli il compito di preparare il piano per l’offerta formativa e concedendogli la possibilità di scegliere la squadra di docenti che lo affiancherà e di chiamare gli insegnanti iscritti nell’albo territoriale nonché garantendogli ampi poteri di valutazione sul rendimento dei docenti. Nella versione originaria i premi di merito avrebbero riguardato una platea vasta di insegnanti, oggi solo il 5 per cento. Poiché non era molto chiaro chi avrebbe a sua volta valutato il dirigente scolastico, il Pd ha glissato il problema e ha introdotto un emendamento per il quale ci sarà un comitato consultivo di valutazione con due professori, un alunno (alle superiori) e un genitore. Altri emendamenti del Pd vogliono coinvolgere nel piano dell’offerta formativa tutto il collegio docenti e il Consiglio di istituto, con tanti saluti all’organizzazione efficiente e all’individuazione di responsabilità: se il piano é orrendo, con chi prendersela? Eran tutti d’accordo...
Orbene, lo sciopero del 5 maggio non sembra aver colto quali sono i miglioramenti necessari alla riforma. Anche i sindacati hanno un segretario che decide, a livello nazionale, regionale e così via. Sono gli iscritti che di volta in volta lo rieleggono se sono soddisfatti. Allora, il problema non è avere “collegialità”, ma una valutazione rigorosa dei risultati ottenuti dai dirigenti scolastici, dai presidi ai provveditori. Oppure: la possibilità per gli istituti paritari di ricevere donazioni ed attrarre quindi più studenti, libera risorse per la scuola pubblica. Ogni studente costa circa 6mila euro allo Stato e se, grazie ad agevolazioni fiscali di importo molto inferiore, alcuni si trasferiscono in un istituto paritario, il denaro a disposizione del pubblico aumenta, non diminuisce.
La mobilità non è in alternativa alla sede comoda, ma a nessun lavoro, perché prima o poi i soldi finiscono e già ora delle centinaia di docenti di odontotecnica vincitori di concorso nessuno sa cosa farsene. Riqualificare e riallocare i professori crea efficienza, buon servizio agli studenti e meno frustrazioni agli insegnanti. Questi sarebbero i temi da discutere: le marce a difesa di concetti astratti come “la scuola pubblica” o la “condivisione” rischiano di perdere di vista altri valori come il miglior insegnamento possibile per gli alunni, la libertà di scelta per le famiglie, il riconoscimento del merito per i capaci e gli industriosi, la diffusione dell’innovazione e della conoscenza attraverso l’autonomia degli istituti e la convivenza anche concorrenziale di pubblico e privato, valori cioè che dovrebbero guidare tutti coloro i quali operano nel mondo della scuola.