domenica 31 maggio 2015

Repubblica 31.5.15
I nostri conti difficili con la Resistenza
La lunga storia di come gli italiani si siano riappropriati a fatica dell’esperienza della lotta di Liberazione secondo Philip Cooke
di Simonetta Fiori


BASTEREBBE un solo dato, per restituire la storia di un rapporto complicato. Gli italiani dovettero aspettare quindici anni prima di vedere in Tv un documentario sulla Resistenza. E non ci si illuda su una definitiva apertura: sempre quello stesso anno, il 1961, la Rai si rifiutò di trasmettere un servizio sulla strage di Marzabotto. Per chi vuole conoscere la tumultuosa storia di un patrimonio conteso deve leggere L’eredità della Resistenza di Philip Cooke, professore di Storia e cultura italiana dell’Università di Glasgow. Il suo principale merito è ripercorrere settant’anni di furenti polemiche con uno sguardo meticoloso e al contempo distaccato. Un punto di vista esterno, che demolisce stereotipi ancora in circolazione: ad esempio il luogo comune di una “vulgata antifascista” che sotto l’egemonia comunista avrebbe incensato il partigianato oscurandone le zone d’ombra (e il Calvino del Sentiero dei nidi di ragno?, si domanda stupefatto il professore. Là era già detto quasi tutto).
In realtà passò un bel po’ di tempo prima che la Resistenza fosse davvero «sdoganata», come piace dire a Cooke. Soltanto nel 1960, con le manifestazioni antifasciste contro Tambro- ni e il Msi, sarebbe cominciata la stagione celebrativa, in una progressione che vede prima il Pantheon e poi la piazza (anche se nel Sessantotto bersaglio della contestazione furono proprio i professori “blasonati della Resistenza” come Venturi e Garosci). Ma l’immediato dopoguerra e gli anni Cinquanta erano stati contrassegnati dai grandi processi ai partigiani: ed è proprio in questa «appropriazione giudiziaria» della storia che lo studioso rintraccia l’origine di un rapporto distorto tra storiografia e Resistenza, con gli studiosi che rinunciano alla veste di ricerca- tori per diventare giudici che assolvono o condannano.
Il libro può essere letto anche come un’affascinante storia culturale, ricostruita su romanzi, epigrafi, monumenti, canzoni, film e documentari. Con un capitolo quasi conclusivo – quello “neorevisionista” degli anni Novanta – in cui gli italiani non danno il meglio di sé. Storici che si lanciano in livide polemiche anti-antifasciste. Giornalisti che fingendo di scoprire verità nascoste in realtà mettono in bella scrittura ricerche di vent’anni prima. Una classe politica che (a eccezione del Quirinale) cavalca il nuovo spirito del tempo alla ricerca di vantaggi immediati, sia a destra che a sinistra. No, non è un bello spettacolo, anche se oggi sembra messo alle spalle. E alla fine Cooke, evitando di cadere nel vezzo anglosassone dello sguardo impietoso, cerca perfino di consolarci. Non succede solo da voi, ci dice. La Seconda guerra mondiale è stata ricordata, diffamata, dimenticata in vari modi e tempi diversi in ognuno dei paesi che vi presero parte. Ma in Italia, aggiunge lo studioso, «il passato conta più che altrove». Il passato che non passa. Quando ce ne ricordiamo. E quando ci conviene.
L’EREDITÀ DELLA RESISTENZA di Philip Cooke VIELLA PAGG . 384 EURO 27