Repubblica 22.5.15
Robereto Speranza, minoranza Pd
“Non lavoro contro il premier ma su presidi, precari e private bisogna ascoltare chi protesta”
“Io leader della minoranza? Ora non c’è il congresso Nessuno va rottamato ma servono nuovi protagonisti”
intervista di Goffredo De Marchis
ROMA Roberto Speranza condivide il giudizio di Renzi e dei suoi fedelissimi: un chiarimento nel Pd ci vuole. Ma non sull’atteggiamento della sinistra interna che l’altro ieri non ha votato nemmeno la riforma della scuola dopo lo strappo sull’Italicum. «Dobbiamo parlare dell’identità e della cultura del Pd — dice l’ex capogruppo — È un partito che impone le riforme, come è successo con la buona scuola? Che sceglie la strada dello scontro senza la partecipazione e un contributo dal basso? Che tratta sempre chi critica e discute alla stregua di un gufo?».
La minoranza non ha votato la legge elettorale giustificando la scelta con il rilievo costituzionale della questione. Ma può muoversi in dissenso anche sui provvedimenti, come dire, ordinari del governo?
«Ordinario? Piero Calamandrei parlava della scuola come “organo costituzionale”. Noi votiamo disciplinatamente decine di leggi dalla mattina alla sera. Un voto in difformità dal gruppo come quello di mercoledì serve a tenere in filo di dialogo tra il mondo inquieto che c’è fuori dal Parlamento e un pezzo del Partito democratico. Certe letture politiciste sono abbastanza ridicole ».
A cosa si riferisce?
«Leggo che qualcuno dice: vogliono buttare giù Renzi. Ma è folle pensare che 618 mila persone hanno scioperato su input della minoranza del Pd, che hanno rinunciato a una parte del loro stipendio e sono scesi in piazza perché li ha chiamati qualcuno da Roma. La verità è che c’è stata una forte spinta dal basso. E il fatto che un cinquantina di deputati del Pd, senza tanti clamori, abbia posto alcuni temi su cui continuare a riflettere aiuta a tenere un rapporto con questo mondo importantissimo per il Paese e anche per noi».
Voi proponete alcune modifiche?
«Tre punti. Il potere dei presidi, i precari e i finanziamenti alle private superiori».
Sono i punti da correggere al Senato?
«Esattamente. C’è un filo conduttore tra legge elettorale e riforma della scuola. L’Italicum è stato approvato addirittura senza i voti di tutta la maggioranza di governo. Eravamo partiti con un confronto a tutto campo grillini compresi, poi con l’accordo del Nazareno e abbiamo finito per rompere con una parte del Pd. Secondo me è altrettanto grave far passare la riforma della scuola a dispetto di una grandissima fetta di quel mondo: professori, studenti, precari. Generando una profonda incomprensione tra noi e loro».
Può durare a lungo uno stato di cose in cui la sinistra Pd vota sempre in dissenso dalla maggioranza?
«Nessuno è sereno quando non si vota seguendo il gruppo. Ma in alcuni passaggi viviamo la sensazione di una profonda contraddizione su punti fondanti del Pd: condivisione, partecipazione, riformismo dal basso. E votare la legge elettorale con la fiducia, buttando fuori dieci persone dalla commissione, non è da Pd».
Che succede se Renzi mette la fiducia al Senato?
«Che fa un errore grave. Il secondo nel giro di poche settimane. Sfruttiamo invece questo ulteriore passaggio parlamentare per migliorare il testo. Perché creare un’altra frattura con un mondo che chiede soprattutto a noi di essere rappresentato?».
Aspettate le regionali per avviare una resa dei conti?
«Mancano dieci giorni al voto e tutti dobbiamo essere impegnati perché il Pd abbia il massimo successo possibile».
Anche in Liguria?
«Assolutamente. Anche in Liguria. Fuori dal Pd la fotografia è inquietante. L’alternativa a Roma come nelle regioni è fatta da Berlusconi, Grillo e Salvini».
Ma in Liguria c’è Pastorino.
«Certo, c’è Pastorino ma l’alternativa è costituita sempre da quei tre. Io domani (oggi ndr) vado in Veneto da Alessandra Moretti e Casson e mercoledì sono a Genova con la Paita».
Sarà lei il leader della sinistra interna?
«Non ci sono né primarie né congressi. Adesso è il momento delle idee e del progetto per costruire un punto di vista autonomo e alternativo a Renzi».
Per farlo è necessario marginalizzare Bersani e D’Alema?
«Marginalizzare e rottamare non sono termini che mi piacciono. Ma questo è un tempo nuovo e ci vogliono nuovi protagonisti. I primi a saperlo sono proprio loro».