Repubblica 20.5.15
“L’Europa balla sul Titanic ma ci stiamo abituando”
Dal pessimismo storico all’elogio di un sano scetticismo: intervista a Hans Magnus Enzensberger “Io, tra Socrate e Jeff Koons”
“Si parla solo del digitale ma la verità è che viviamo e moriamo in analogico”
di Juan Cruz
IL SECOLO scorso conobbe illusioni e disastri che in Europa ebbero come epicentro delle guerre devastanti. Ci furono anche speranze, naturalmente, come quel Maggio del ‘68 o come la rivoluzione cubana, naufragata per la delusione di chi aveva creduto che lì fosse cominciata una nuova storia. Tra i primi che intravide il disastro dopo l’illusione ci fu Hans Magnus Enzensberger, poeta e saggista tedesco che nel 1978 pubblicò La fine del Titanic, un poema ironico e arrabbiato che affonda le sue radici in quell’esperienza il cui emblema principale si sarebbe logorato quanto il poster di Che Guevara. E adesso arriva una nuova dimostrazione del disinganno di Enzesnberger rispetto ai tempi: Considerazioni del signor Zeta ( pubblicato in Italia da Einaudi, ndr).
Non è difficile immaginare che il signor Zeta di questo racconto sincopato sia lo stesso Enzensberger, quest’uomo di 87 anni, alto, elegante ed estremamente ironico che, a Monaco di Baviera, ci accoglie nel suo studio ben illuminato, dove raccoglie i lumi della sua vasta e diversificata saggezza. E che ha uno spirito allegro e giovanile.
Il signor Zeta dice nel libro che a una certa età «come sta?» è una domanda molto delicata. Ma lei, come sta?
«Dal punto di vista della salute, bene. Continuo a fumare moderatamente. In questo senso non sono eccessivo, non ho bisogno di cocaina! C’è un proverbio italiano che dice “non c’è limite al peggio”... C’è sempre una possibilità di andare anche peggio, ma è an- che una consolazione: perché tutto potrebbe essere peggio di adesso, non ha ancora finito di peggiorare ».
Il libro mette in guardia contro l’eccesso di informazioni, internet, i telefonini.
«In questo senso c’è una parte reazionaria nel signor Zeta. Naturalmente, questi apparecchi non gli piacciono: non ha il cellulare, lo rifiuta, e quindi non ha twitter, no, per favore, che orrore! Ci sono in lui tutti gli aspetti: il saggio, ma anche il provocatore, il guru, il pagliaccio... Sì, è tra Socrate e Jeff Koons! [ride]. È vero, questa è un’enciclopedia che mette in guardia contro la stupidità umana. Ma ho la cortesia di scrivere libri brevi; credo che sia più gentile che imporre al pubblico libri di mille pagine. La vita non è tanto lunga, sarebbe presuntuoso mettere a disposizione della gente dei volumi così pesanti! Le ultime cose che ho scritto erano delle poesie di tre righe per i 365 giorni dell’anno, erano firmate con uno pseudonimo e le pubblicò il Frankfurter Allgemeine Zeitung . Lo pseudonimo è Kilroy, il nome collettivo con cui si firmavano i soldati americani nella seconda guerra mondiale. È una sorta di calendario di haiku. Me ne ricordo uno: “Stampare moneta è facile, stampare la fiducia è impossibile” ».
È d’accordo con lui sul fatto che lo scetticismo è un modo di vedere questo tempo?
«Lo scetticismo fa parte del buon senso del genere umano. Ognuno di noi è uno scettico a suo modo, no? Lui dice che non crede nella pubblicità, perché dice solo bugie. Lo dice per legittima difesa: è la sua arma per difendersi dalla politica commerciale, dal consumismo. Nella vita privata, tutti noi abbiamo dei meccanismi di difesa, e tra questi il buon senso e lo scetticismo sono molto importanti. Lo scetticismo è un concetto greco. C’era una scuola di scettici che dubitava praticamente di tutto. “Il mondo esiste, ma io non ne sono così sicuro!”».
Il signor Zeta riflette sulla politica. Cita Montaigne: «Bisognerebbe lasciare la politica nelle mani dei più vigorosi e meno esitanti che in buona fede sacrificano il loro onore e la propria coscienza per essa».
«Perché ci occupiamo della politica? Non lo facciamo perché ci piace, dato che è noiosa, ma per autodifesa. E quelli che la fanno sicuramente sentono che la politica dà loro vigore, secerne una sorta di serotonina. Guarda la povera Merkel, che viaggia da un paese all’altro, e vive notti insonni. Le piace, la appassiona. Per la serotonina. Per lei è sublime. È come ciò che ti danno alcuni sport, come la maratona, ad esempio. La maratona è una tortura, ma piace a molti, come i salti con gli sci, 300 metri di abisso! Una tortura, ma a quanto pare una squisita tortura ».
A questi politici piace tanto che sarebbero disposti a perdere la loro coscienza e l’onore per la politica?
«È inevitabile; a volte ti trovi in una situazione in cui le scelte sono limitate e la possibilità di errore è infinita, ma a loro piace il rischio. Guarda i greci, che partita di poker emozionante conducono con l’Europa. È una strana razza quella dei politici».
Hanno anche la tendenza a inventare storie o leggende per creare nazioni e disprezzare obiettivi, come si dice nel suo libro.
«Questo funziona sempre: la nazione. È un’idea piuttosto recente. All’inizio era la tribù, la famiglia, i vicini. Per esempio, gli indiani d’America si distribuivano in piccoli gruppi, fino a quando uno si inventava l’idea di un re. Un piccolo gruppo con una tendenza a ingrandirsi, con l’idea di diventare signori feudali».
Il signor Zeta dice che non c’è il capitalismo, ma i capitalismi, e che sopravvive per questo.
«Il capitalismo è proteiforme perché è più capace di adattarsi al mutare delle circostanze del socialismo. Il socialismo non conosce modifiche, benché ci siano delle differenze, ad esempio tra la Corea del Nord e Cuba. Il capitalismo può coesistere con un partito comunista unitario in Cina e anche tranquillamente con il fascismo italiano o con il nazismo in Germania ».
Nel libro si fa ironia sul progresso: ha dato molto all’umanità, ma ha portato anche il terrorismo o i campi di concentramento.
«Il progresso non è gratuito. Guarda la schiavitù nella colonizzazione delle Antille. Per poter bere il caffè nel Nord abbiamo dovuto sfruttare gli uomini. E questo si è fatto in nome del progresso. Le deportazioni, il capitalismo, gli imperi. Tutto questo si paga».
Il signor Zeta dice che la valanga di informazioni svanirà. E aggiunge che «c’è vita oltre i mezzi di comunicazione ».
«Anch’io dico che in questo momento tutti i media parlano della digitalizzazione e prevedono che tutto dovrà essere digitale. Abbasso la carta, è troppo analogica! Non sono d’accordo: io mangio analogicamente, dormo analogicamente... Questo è un sistema analogico. Il ginocchio è analogico, la lingua non è un computer. Non bisogna esagerare con il digitale, non è la soluzione di tutto. E inoltre, non ti sembra che si muore analogicamente e non digitalmente? ».
Nelle sue poesie ha scritto che l’iceberg avanza inesorabilmente verso di noi. Siamo metaforicamente in un tempo in cui è possibile un iceberg contro il quale potremmo fatalmente schiantarci?
«Il crash economico è sempre possibile, domani mattina vai in banca e non ci sono i soldi, cala il reddito, diminuiscono le possibilità, e ti ci adatti come se il destino imponesse le sue regole. Accadde in Germania dopo la guerra, arrivò la fame, ci abituammo. Adesso si è verificato un calo del tenore di vita in Europa, e guarda come si stiamo abituando. Dobbiamo abituarci: potrebbe arrivare l’iceberg ».
Traduzione di Luis E. Moriones © Juan Cruz/ Ediciones El País, S-L 2-015