Repubblica 1.5.15
Il cantiere tutto da aprire dell’alternativa a Renzi
Con l’Italicum ogni partito dovrà rivedere le proprie strategie
Oggi al ballottaggio col Pd andrebbe l’M5S
di Stefano Folli
ALLA fine il Generale Primo Maggio ha dato una mano a Renzi. Più che un altro Aventino per contrastare il nuovo fascismo, abbiamo visto una discreta fuga dal Parlamento verso il lungo week-end alle porte. E nulla fa pensare che le munizioni dei dissidenti siano tenute in serbo per il voto segreto conclusivo sull’Italicum, previsto per lunedì pomeriggio. Tutto è possibile, s’intende, ma proprio la segretezza suggerisce che i «franchi tiratori» possano camminare nei due sensi di marcia: quelli nel centrosinistra che votano «no» per colpire il premier e quelli che da destra o da altre formazioni votano «sì» per tenerlo a galla. Nessuno si stupirebbe dell’incrocio e Renzi non è tipo da affidarsi al caso.
Se ne deduce che la riforma elettorale non è più una questione scottante. Rimangono gli strascichi all’interno del Partito Democratico, ma sul piano parlamentare la partita è chiusa. Si aprono invece gli interrogativi politici sul dopo. L’Italicum, come ormai si è capito, obbliga tutti a rivedere le proprie strategie. Non solo quanti restano affezionati al loro «canile del 3 per cento», come ha detto Arturo Parisi: ossia a una minima rendita di posizione che non basta certo a condizionare il listone vincitore, forte del 55 per cento dei seggi. Ma soprattutto saranno i competitori di Renzi a doversi rimboccare le maniche.
È finito un certo modo d’intendere il partito e di organizzare il rapporto con l’opinione pubblica. Il che riguarda il panorama sfilacciato di Forza Italia, ma anche la Lega di Salvini e gli imprevedibili Cinque Stelle. Ognuno deve riconsiderare il futuro a medio termine, sulla base di una semplice riflessione. Se si votasse oggi, tutti i sondaggi collocano il movimento di Grillo al secondo posto, intorno al 19-20 per cento, quindi pronto per il ballottaggio. Tuttavia, proprio l’integralismo dei Cinque Stelle, il rifiuto di qualsiasi ipotesi di apertura ad altre forze o solo ad altre idee, rende poco competitiva la lista grillina (ad eccezione, s’intende, di scenari drammatici che oggi non sono prevedibili).
Vero è che non tutto è sotto controllo per il presidente del Consiglio. Nel momento in cui sta per ottenere l’agognata riforma elettorale, ecco che i dati sulla disoccupazione a marzo — resi noti proprio alla vigilia del Primo Maggio — sono peggio di una doccia gelata. Sul piano politico-mediatico vanno a incrinare quel rapporto semi-carismatico con l’opinione pubblica che per il leader del «partito di Renzi» è vitale. Del resto, in sette regioni siamo in campagna elettorale e il cosiddetto «Jobs Act», la riforma del lavoro, è forse la principale bandiera sventolata dal governo. I dati insoddisfacenti complicano tutto e incoraggiano il ricorso alla demagogia per coprire risultati meno brillanti del previsto. C’è il rischio concreto che un quadro economico e sociale mediocre accentui la spinta verso le forze anti-sistema o semplicemente votate a un’opposizione intransigente, benché priva di un’idea del governo.
Per un altro verso, il partito di Berlusconi non è oggi in grado di proporsi come l’alternativa a Renzi. Cioè non è in grado di arrivare secondo al primo turno, impedendo al Pd di superare la barriera del 40 per cento. Il vecchio leader sembra catturato da altre priorità, la vendita del Milan e la ristrutturazione di Mediaset in primo luogo. Chi se ne rende conto, dentro Forza Italia, cerca di salvare il salvabile. Qualcuno lavora a definire una visione del paese fondata su alcune opzioni liberali (Fitto, Capezzone); oppure — come Brunetta — immagina un’alleanza con Salvini e con Fratelli d’Italia in vista di superare il blocco Cinque Stelle. Ma è un progetto ancora confuso, tale da presupporre, in ogni caso, la consegna della leadership al capo della Lega.
In campo per ora c’è solo il renziano «partito della nazione». Ma il premier farebbe male a sottovalutare le incognite che vengono non tanto dai suoi avversari, quanto dalla condizione economica del paese. In certi casi, nemmeno le regole dell’Italicum basterebbero a contenere il malessere sociale.