Repubblica 11.5.15
Intervista alla scrittrice Joyce Carol Oates
“Ecco perché io non sarò mai Charlie”
di Antonio Monda
NEW YORK OYCE Carol Oates accetta di intervenire sulla questione del premio a Charlie Hebdo, che ha spaccato il Pen Club in due gruppi di scrittori composti entrambi da autori di alto livello. La Oates non è intervenuta immediatamente nella polemica, e dopo qualche giorno di riflessione ha deciso di manifestare il proprio sostegno a coloro che protestavano per il premio dato al giornale satirico francese vittima dell’attentato terroristico di matrice islamica in cui sono morte 12 persone nel gennaio scorso. La scrittrice non arriva tuttavia invitare al boicottaggio. È appena tornata dalla California, e spiega la sua opinione misurando le parole.
«I media stanno amplificando le polemiche, dando un quadro di lotte intestine che non fa alcun bene al Pen», racconta con amarezza, «è un’istituzione che fa molto, ma molto di più che dare un premio».
Ritiene si tratti di una frattura insanabile?
«No, penso che non sia irreversibile. La mia opinione è che alcuni scrittori abbiano avuto una crisi di coscienza riguardo al possibile razzismo delle vignette di Charlie Hebdo, ritenendo quindi che non si potesse dare un premio ai vignettisti. Penso che ci sia stata poca chiarezza sulla motivazione del premio, dato al “coraggio”».
Salman Rushdie ha avuto una posizione durissima nei confronti di chi ha boicottato il premio, definendo costoro “donnicciole”.
«In un primo momento ha reagito in maniera emotiva nei confronti di scrittori amici che non avevano la sua stessa opinione, poi ha cambiato tono. Quello che danneggia il Pen è soprattutto la reazione di alcuni membri nei confronti di altri riguardo alla “libertà di espressione”. E questo per alcuni rappresenta una sorpresa. Io ho sottoscritto la lettera dei sei dissidenti, che hanno agito secondo coscienza, sperando che il Pen rimanga unito, e che questa vicenda non trascenda da un dibattito tra opinioni diverse, cosa che in realtà è stato, al di là dell’emotività delle prime ore».
Teju Cole, che è in prima fila tra i dissidenti, scrisse pochi giorni dopo la strage che, al di là dell’orrore e la pietà, è impossibile solidarizzare con una rivista come Charlie Hebdo senza di fatto appoggiarne il contenuto.
«Io credo che la tradizione americana — o almeno quella che dovrebbe essere la tradizione americana — dice che invece si può».
Allora perché si è schierata con coloro che hanno preso le distanze dal premio?
«Credo che la posizione corretta sia quella di garantire a riviste come Charlie Hebdo il diritto di esprimersi, anche quando hanno posizioni volgari, vigliacche, blasfeme e stupide. Tuttavia, non ero entusiasta riguardo l’idea di premiarla perché ritengo che mandi un segnale sbagliato a chi con capisce quanto libertario sia il Pen. Molta gente pensa che un premio di questo tipo dia autorevolezza anche al contenuto».
Ma la missione del Pen è proprio celebrare coloro che sono vittime a causa della libertà di espressione: lei cosa avrebbe fatto per ricordare l’atrocità del sette gennaio?
«Non ero in quel comitato, ed esito a giudicare perché spesso questi comitati fanno un grande lavoro che non viene celebrato. Capisco la necessità di affrontare l’orrore di quanto avvenuto negli attacchi: forse mi sarei limitata ad una menzione. E nonostante non siano state vittime di un massacro penso ad esempi come Edward Snowden e Chelsea Manning: anche questi sono casi di coraggio ».
Spesso la satira appare solo un mezzo per un attacco politico.
«Ora è diventato un cliché dire “Sono Charlie Hebdo”, senza sapere bene cosa significhi. La satira probabilmente non è mai apolitica, altrimenti quale sarebbe il suo proposito?».
Esiste un limite tra satira e attacco politico?
«Ogni società ha le proprie tradizioni e aspettative. Esiste un senso comune di comportamenti accettati, e tutto il resto è considerato illegale, immorale o tabù. Io sono pronta ad accettare il fatto che il Pen non abbia commesso un brutto errore dando un premio ad una rivista che si è distinta, tra le altre cose, per razzismo: rivendico tuttavia il diritto di non avere certezze ».
Ogni religione ha i propri estremisti, ma i fondamentalisti islamici massacrano e i leader religiosi arrivano alla fatwa.
«Nel passato anche altre religioni hanno avuto atteggiamenti simili: basta pensare all’Inquisizione o alla repressione da parte degli ortodossi di ogni culto nei confronti di chi era considerato eretico. Penso anche ai Puritani che qui nel nuovo mondo perseguitavano donne che consideravano streghe probabilmente solo perché anticonformiste. Tutti costoro si sono distinti per brutalità, ma si tratta appunto del passato. Ovvio che il terrorismo non è limitato al fondamentalismo islamico, ma oggi lo percepiamo come la minaccia più grande. Ma ci sono anche minacce che provengono da altri governi in forme più ellittiche. Aggiungo che nel nostro paese ci sono persone in carcere, che vivono in condizioni terribili nonostante abbiamo commesso crimini non violenti. Mi chiedo se questo sia da considerare una forma di “terrorismo di Stato”. Ovvio che non sto facendo un parallelo, e so bene che i più temibili sono i terroristi islamici: è per questo che sono anche i più seguiti dai media».
Chi ha voluto dare il premio a Charlie Hebdo ha sottolineato la volontà di mandare un segnale al mondo fondamentalista.
«Il Pen non ha nessun membro che proviene da quel mondo. E dubito che i fondamentalisti siano stati sfiorati da quanto dichiarato: perché questa gente dovrebbe occuparsi di un premio? Aggiungo che anche grande parte degli americani è indifferente al Pen, e hanno visto solo di sfuggita quanto è stato scritto nelle ultime due settimane. La nostra ampia cultura è focalizzata sulla politica, lo sport e le celebrità, non sugli scrittori e i loro premi».
La satira deve ferire sempre?
«L’unica satira che conosco bene è quella inglese del Diciottesimo secolo, in particolare quella di Jonathan Swift che era a favore dei deboli irlandesi contro i potenti inglesi. Specie in una Una modesta proposta la sua satira è indignata, morale e immaginata in maniera brillante. Quella sì che è satira, non c’è alcun paragone con le vignette di Charlie Hebdo ».