venerdì 22 maggio 2015

La Stampa 22.5.15
L’Isis marcia su Damasco e Baghdad
L’ultima difesa sono le milizie dell’Iran
Gli eserciti iracheno e siriano in ritirata dopo gli attacchi subiti a Palmira e Ramadi Ora contro gli jihadisti rimangono i gruppi che rispondono al capo dei Pasdaran
di Maurizio Molinari


L’imam iracheno ribelle, il generale siriano a corto di truppe ed il regista iraniano dell’«Asse di resistenza» delle milizie sciite: sono i capi militari che difendono Baghdad e Damasco dall’avanzata delle truppe del Califfo dello Stato Islamico (Isis).
L’imam ribelle è Moqtada al Sadr, già leader della rivolta sciita anti-Usa, guida l’«Esercito del Mahdi» ovvero almeno 20 mila armati con la roccaforte a Sadr City, cuore di Baghdad. Appena Ramadi è caduta, con Isis a soli 112 km e il Califfo intento a preannunciare la «liberazione di Baghdad e Kerbala», è stato l’imam ribelle a rispondere: «Venite avanti, riempiremo la terra con i vostri cadaveri».
Se il Califfo Abu Bakr al-Baghdadi teorizza il genocidio degli sciiti - che sono maggioranza a Baghdad e Kerbala - Al Sadr è il leader più carismatico e violento dell’Hashd al-Shaabi, la Forza di mobilitazione popolare che riunisce 90 mila miliziani sciiti addestrati dall’Iran, agli ordini del generale Falih al Fayyadh e di Hadi Al Amiri. Ciò significa che a difendere la capitale, e a guidare i tentativi di allontanare Isis, non sono i soldati dell’esercito del premier Al Abadi ma i miliziani che, dall’inizio della guerriglia anti-Usa nel 2003, combattono con metodi simili a Isis. I Kataeb Hezbollah, per esempio, dopo la presa di Tikrit hanno fatto scempio dei sunniti al punto da dover essere ritirati in fretta.
Un mini-Stato di Hezbollah
La difesa di Damasco è in condizioni più critiche perché dopo quattro anni di guerra civile l’esercito di Bashar Assad è allo stremo: dei 250 mila soldati che aveva ne sono rimasti la metà, a cui si aggiungono 125 mila miliziani sciiti - libanesi, iracheni, pakistani ed afghani - dell’«Asse della resistenza». È un esercito senza gli armamenti Usa lasciati all’Iraq, ridotto a difendere sacche isolate ed alle prese non solo con l’avanzata di Isis - giunto a Palmira, 210 km della capitale - ma anche con quella dell’Esercito della Conquista, la coalizione di ribelli sostenuti da Turchia, Qatar e sauditi, che in aprile ha catturato la provincia di Iblib.
Questi motivi hanno spinto il ministro della Difesa siriano, Fahd Jassem al-Freij, a recarsi a Teheran per chiedere l’invio di reparti di terra. «L’Iran sta costruendo uno Stato dentro lo Stato in Siria come polizza di assicurazione sul dopo-Assad» spiega Charles Lister, analista del Brookings Doha Center in Qatar, secondo cui il crollo del regime portebbe ad un mini-Stato Hezbollah, la milizia libanese che ha 5000 combattenti in Siria e non ha mai perso una battaglia con Isis.
Che si tratti di dover coordinare le milizie sciite irachene o di sostenere il traballante esercito siriano, a decidere con quali risorse e metodi farlo è Qassem Soleimani, il leader della forza Al Quds dei guardiani della rivoluzione che dal 1998 è dietro ogni fazione alleata di Teheran in Medio Oriente. È lui ad aver creato l’«Asse della resistenza» sciita e non lo cela. Quando nel 2007 il comandante americano David Petraeus gli rendeva la vita difficile in Iraq, reagì inviandogli un sms sul cellulare: «Dovrebbe sapere che sono io a guidare la politica iraniana in Iraq, Libano, Gaza e Afghanistan, l’ambasciatore a Baghdad è un mio uomo e anche il prossimo lo sarà». Come dire, qui comando io.
Il generale Suleimani
Se allora Suleimani si muoveva di nascosto, oggi le sue foto a fianco dei miliziani, dentro e fuori Baghdad, dilagano sul web perché vuole far sapere al Califfo che, in ultima istanza, il duello è con lui. A intuire quanto matura è la Casa Bianca che con il portavoce Josh Earnest dice: «Siamo molto preoccupati per la cattura di Palmira da parte di Isis, vi saranno sfide difficili».