Il Sole Domenica 3.5.15
Così la memoria non è più un magazzino
di Armando Massarenti
All’ingresso della Galleria Alberto Sordi di Roma, è emozionante vedere, esposta fino al 31 maggio dentro una teca trasparente, l’originale della lettera inviata da Galileo Galilei al matematico gesuita Paolo Giovio nel 1610, per confermargli di aver veduto attraverso il cannocchiale i satelliti di Giove e di aver così dimostrato la veridicità dell’ipotesi di un sistema eliocentrico copernicano. Fino ad allora il Sole aveva goduto di una centralità solamente di ordine allegorico e simbolico, soprattutto in quei sistemi filosofici e retorici che risentivano del neoplatonismo ficiniano e che abbracciavano un approccio magico ed ermetico alla natura: stiamo parlando anche del Teatro della Memoria di Giulio Camillo, che nell’immaginare una topica della memoria intitola le sette porte o colonne portanti ai sette pianeti, lasciando che il Sole vi occupi un posto rilevante, in quanto espressione pura dell’energia divina nel cosmo, capace di irradiarsi ovunque anche nella mente e nell’anima umane. In un certo senso, il teatro di Camillo era a suo modo un sistema eliocentrico. Ma quale legame unisce due testi apparentemente così lontani come l’Idea del Teatro di Camillo e la lettera di Galilei più tardi di un sessantennio? Come mostra Lina Bolzoni, nel teatro di Camillo, c’era più di un sistema retorico ed enciclopedico, adatto alla perfetta imitazione di Cicerone, più di un sistema simbolico dal sapore intensamente alchemico: c’era l’idea di una immensa mente artificiale, dove tutte le informazioni possibili e tutte le possibili interconnessioni tra queste informazioni fossero a disposizione dell’oratore o del filosofo, per stimolarne creativamente il pensiero. Una sorta di grande ipertesto, una macchina per l’invenzione. Alla base di questo enorme progetto culturale, erede dell’ars combinatoria di Lullo e della lezione di logica e mnemotecnica di Rodolphus Agricola, sta una visione moderna della memoria: non più considerata uno strumento passivo del pensiero, un serbatoio di informazioni utili a costruire i discorsi, la memoria assume il valore di uno strumento gnoseologico attivo, capace di generare sempre nuove informazioni sulla base di quelle già presenti. La parola inventio, che nel gergo retorico ciceroniano aveva significato semplicemente il «reperimento» degli argomenti, assume ora un senso più moderno con una forte connotazione creativa. Di questo e di altro scriveva già un filosofo veronese coevo di Camillo, quel Girolamo Fracastoro che, in un importante dialogo latino dedicato all’intellezione umana, Della Torre ovvero dell’intellezione, attribuisce alla memoria un ruolo centrale nell’articolazione del pensiero intellettuale. Nella visione modernissima che Fracastoro ha del pensiero umano, la mente desume gli universali dalle informazioni conservate in memoria, ogni pensiero astratto non può essere altro che la sintesi sublimata in modo logico a partire dall’esperienza pratica. Una condizione epistemologica imprescindibile per giungere alle «sensate esperienze» di Galilei: contrariamente a quanto si riteneva nelle accademie del tempo, si perviene ora alla certezza che non può esistere pensiero astratto o calcolo mentale, che non parta dall’esperienza e dalla realtà del mondo catturata dai nostri sensi. A complicare e rendere ancora più affascinante la lettura di questi decenni fondamentali per la storia della scienza e della filosofia - quelli tra la metà del XVI e l’inizio del XVII secolo -, interviene l’avventura intellettuale di Giordano Bruno, il quale nel suo De umbris idearum, come osservato da Frances A. Yates e da Paolo Rossi, costruisce un sistema della conoscenza di ispirazione neoplatonica incentrato sull’arte della memoria intesa quale strumento utile ad aiutare la limitata mente umana a catturare le scintille di verità divina disperse nella natura. È la memoria l’anello di congiunzione tra uomo e Dio, è nella memoria e nella fantasia - altro strumento, quest’ultimo, imprescindibile per la conoscenza e strettamente legato al primo -, che l’intelletto umano riesce a rappresentarsi l’infinità di Dio e perviene alla conclusione dell’impossibilità di una natura e di un cosmo finiti. La teoria di Bruno degli infiniti mondi, che abbraccia e supera la proposta dell’eliocentrismo copernicano – e che per questo viene considerata così pericolosa dall’ortodossia tridentina -, è impensabile separatamente dal suo teatro della memoria.