Il Sole Domenica 31.5.15
Speleologi della psiche
I mille volti della follia
di Patrick McGrath
Una volta sono stato impiegato in una struttura psichiatrica di massima sicurezza nel Canada settentrionale, chiamata Oakridge. Avevo ventun’anni, lavoravo con adolescenti seriamente disturbati, il cui comportamento violento aveva reso necessario che vivessero in un reparto chiuso e sotto stretta sorveglianza. Poco istruiti, avevano conosciuto esclusivamente la violenza di case caotiche o del tutto assenti. Molti fra loro erano cresciuti passando da un istituto all’altro.
Questi adolescenti arrabbiati, bisognosi e spaventati cercavano disperatamente attenzioni e con facilità si lasciavano prendere da accessi di furore: spesso insultavano i sorveglianti e venivano immediatamente sedati e gettati in isolamento. Erano gli esseri umani più tristi che avessi mai incontrato, non potevo pensare a un luogo peggiore di quello dove si trovavano. Sembrava non potessero cadere più in basso. Erano pazzi? No. Solo vittime di anni di abusi fisici e psicologici e di abbandono.
La follia era altrove, in questo manicomio a circa cento miglia a nord di Toronto. Era nell’Unità di Terapia Sociale, o UTS, che ospitava un gruppo di pazienti molto diversi. Giovani uomini intelligenti, dall’eloquio forbito, ai quali erano state diagnosticate schizofrenia, psicopatia o disturbo della personalità borderline. Molti avevano commesso omicidi o altri strani crimini violenti ed erano stati assolti per infermità mentale. Soffrivano di manie e allucinazioni, incapacità di raziocinio e paranoia: per il pubblico erano mostri.
Nella UTS, tuttavia, prevaleva un’altra visione: lo psichiatra Elliot Barker considerava queste persone come vittime di forze sociali sulle quali avevano ben poco controllo. Rifiutava l’idea della pazzia come una malattia da trattare con quel tipo di farmaci che crea una popolazione di quasi-zombie che si trascinano nei reparti dei tradizionali ospedali psichiatrici. Ben diversamente, egli intravedeva in queste persone la possibilità di crescere e, cosa ancor più importante, di aiutarsi a vicenda nel percorso di crescita. Quando uno psicotico veniva ammesso all’Unità di Terapia Sociale, invece di essere sedato veniva legato con manette di tela ad un altro uomo, uno che conosceva la filosofia di quell’Unità. Il nuovo arrivato iniziava così la sua istruzione con i metodi della UTS.
Venivano impiegate diverse tecniche terapeutiche radicali in quell’Unità. Era abolita la distinzione fra personale e pazienti, non c’erano uniformi, ciascuno aveva voce in capitolo nelle decisioni che lo riguardavano. Si insegnava la meditazione zen e si somministravano farmaci psichedelici per consentire l’interruzione delle precedenti, distruttive strutture di pensiero e di comportamento. Il luogo più impressionante della UTS era probabilmente la stanza chiamata “Capsula”.
Elliot Barker era convinto che il problema di questi uomini fosse non tanto la malattia mentale quanto una profonda distorsione o deformità nello sviluppo della psiche, responsabile della creazione di un falso sé, dal quale era emersa la “follia”. Se fosse stato possibile distruggerlo, spazzarlo via, forse si sarebbe aperto uno spiraglio per un modo di essere più autentico.
La Capsula era una stanza ampia senza finestre, dove un gruppo di uomini viveva insieme per giorni o persino settimane: dormivano lì, senza vestiti, il cibo era consegnato attraverso dei portelli. Alcuni dei partecipanti erano membri del personale, altri pazienti/terapeuti esperti, altri ancora ultimi arrivati nell’Unità. Senza potenziali distrazioni, dovevano cercare di liberarsi dai ruoli appresi in società e progredire fino a uno stato di totale onestà emozionale, esprimendo bisogni primari repressi fin dalla prima infanzia. Nella Capsula era loro consentito di disintegrarsi come esseri sociali e affrontare il dolore alla base delle proprie vite quindi, con l’aiuto dei compagni, potevano iniziare a gettare le fondamenta per una nuova, più autentica esistenza. Così questi uomini tanto “danneggiati” iniziavano a ricostruirsi, o almeno questa era l’idea.
Ha funzionato? Di certo gli uomini nella UTS erano vivacemente impegnati nella propria riabilitazione: c’era eccome vita in questi reparti, la si poteva percepire, erano lucidi e attenti al proprio e reciproco benessere. Si era creata una comunità di supporto, incentrata sull’onestà e sull’espressione di emozioni sincere. Ma quando questi individui sono stati rilasciati nella società civile, sono “rifioriti” o anche solo sopravvissuti? Non lo sappiamo. A pochi è stato concesso di andarsene: i loro crimini erano stati così pubblicizzati che pochi politici avrebbero corso il rischio di liberarli e vederli commettere nuove violenze.
Ho saputo di recente che Oakridge è stata chiusa e stavano demolendo l’edificio. Fisicamente la struttura somigliava a un penitenziario e si è vissuta molta sofferenza fra le sue mura. Tuttavia, per alcuni anni lì si fece un tentativo serio di considerare e trattare diversamente la pazzia, non come una malattia bisognosa di cure quanto piuttosto come un processo di crescita disfunzionale che poteva essere invertito.
Anticipiamo la lectio FolleMente che lo scrittore inglese Patrick McGrath terrà domenica 7 giugno al Festival Leggendo Metropolitano alle ore 22 in Piazza Palazzo, Cagliari, ingresso € 5,00