Il Sole Domenica 10.5.15
Diritti conquistati
La verità sul voto femminile
di Adriana Castagnoli
Il principale pregio del libro di Jad Adams, Women and the vote: a world history (Oxford University Press), è di fornire al lettore una ricognizione su scala planetaria del suffragio femminile che traspone il tradizionale binomio centro-periferia tanto all’interno del mondo occidentale quanto all’esterno e nelle regioni più remote. A indurre l’autore a esaminare con un approccio nuovo le vicende del suffragio delle donne è stata l’evidenza di quella che Adams definisce «l’irritante questione» di come sia accaduto che la gente di frontiera del Wyoming, il primo governo al mondo a garantire alle donne eguali diritti nel 1869, abbia compiuto un passo di carattere democratico di tale rilevanza anticipando le aree più evolute e culturalmente sofisticate della East Coast e d’Europa.
Dalla comparazione della memorialistica e della letteratura sul suffragio femminile con la sequenza événementielle della conquista del diritto di voto emerge il paradosso che il movimento femminista organizzato non è stato dirimente poiché il suo fu più un contributo di elaborazione teorica che di risultati concreti alla battaglia per la parità dei diritti. È pur vero che l’East Coast, le aree radicali dell’Inghilterra e i centri letterari della Scandinavia avevano sostenuto attivamente il suffragio femminile nella seconda metà dell’800 e nella prima parte del ’900. Tuttavia i risultati pratici furono conseguiti ai confini di questo mondo: Australia, Nuova Zelanda, West americano e Finlandia raggiunsero in anticipo la parità dei diritti.
In Norvegia, malgrado il movimento femminista fosse debole, le donne ottennero il diritto di voto sei anni prima che in Olanda dove invece era forte.
La tendenza da parte dei diversi protagonisti (suffragette, movimenti politici, istituzioni, parlamenti) a esaltare il proprio ruolo nelle pubblicazioni coeve e quella degli studi accademici successivi a trascurare le aree periferiche del mondo hanno finito con l’oscurare, per esempio, che fu la Nuova Zelanda il primo Stato a stabilire il suffragio femminile per un parlamento nazionale nel 1893; e che la Finlandia, dove fu ratificato nel 1906, ha anticipato la Svezia (1921) assai più nota per le sue politiche di genere. Per non dire dello strano caso della Svizzera, nel cuore dell’evoluta Europa continentale, che ha concesso il diritto di voto alle donne all’inizio degli anni ’70 come il Bangladesh.
Più del 40% della popolazione mondiale femminile, ossia le donne di Cina, India e Indonesia, ha ottenuto il riconoscimento del suffragio nel 1949 e questa contemporaneità è un segno di similarità regionale che meriterebbe analisi più approfondite.
Con l’intenzione di ridare al suffragio femminile la dimensione globale, storica e di complessità culturale che ebbe, Adams adotta un approccio regionale che, pur tenendo conto della divisione politica categorizzata destra-sinistra, liberale-conservatore ricorre alla categoria di genere riguardo al ruolo svolto dalla religione. La cultura cattolica, non meno di quella musulmana, per lungo tempo ha perpetuato in modo categorico i principi fondamentali stabiliti per le donne dalle società tradizionali.
I fattori di gran lunga più importanti per l’affermazione del suffragio femminile rispetto alle strutture sociali di continuità, per dirla con un termine di Fernand Braudel, furono quelli di rottura e le crisi nazionali: guerre, rivoluzioni, lotte per l’indipendenza. Solo negli anni più recenti ha contato anche la pressione internazionale, dei vicini e degli Stati più influenti nel bollare come arretrati i Paesi senza suffragio femminile.
Così nella penisola arabica il suffragio femminile è stato concesso solo all’inizio di questo secolo quando la pressione internazionale si è fatta particolarmente pressante: nel 1999-2003 in Qatar, nel 2005 in Kuwait, nel 2006 negli Emirati Arabi Uniti. Tuttavia l’Arabia Saudita ha atteso sino al 2011 per il diritto di voto alle donne nelle elezioni locali.
Da questa ricognizione globale emerge, dunque, che la rappresentanza politica per le donne non è stata il risultato del progresso, come si tende sovente a sostenere. È stata piuttosto un percorso di “guerriglia”, con risultati conquistati che in alcuni casi sono stati in seguito sottratti. Quanto al presunto, innato pacifismo delle donne quale contrappunto alla coscrizione militare obbligatoria maschile che nel dibattito politico aveva giocato un ruolo non secondario per il suffragio femminile, in realtà è svanito quando gli eserciti moderni hanno richiesto un più vasto potenziale e il supporto delle donne.