venerdì 22 maggio 2015

Il Sole 22.5.15
I tre scenari delle Regionali, dal rafforzamento di Renzi ai contraccolpi su governo e Pd
di Lina Palmerini


Una vittoria 6 a 1. Il pronostico che lanciava ieri Renzi da Vicenza è il migliore possibile e lo rafforzerebbe ma si ragiona anche su cosa accadrebbe con un 5 a 2 o, peggio, un 4 a 3. Gli effetti collaterali toccherebbero il Governo e anche il Pd e il rapporto con i territori che queste regionali ha messo in luce. Ma non bene.
Nel senso che questa campagna elettorale e le primarie hanno tolto più di una maschera su cos’è il partito a livello locale. È come se Raffaella Paita, Vincenzo De Luca, Alessandra Moretti fossero un po’ la sintesi di tutte le ambiguità del rapporto con i territori. La candidatura della Liguria, per esempio, è stata l’emblema non solo della spaccatura tra Pd renziano e sinistra ma più banalmente di tutte le risse locali. Non si è trovato un filo, una razionalità, un accordo finale. Ciascuno ha giocato per sé pur avendo un avversario temibile come i 5 Stelle e anche dopo che è sceso in campo Giovanni Toti. Insomma, a una sfida così cruciale è mancata una regia nazionale e un coordinamento tra Roma e i territori. Anzi, da Roma è arrivata altra benzina sul fuoco al punto da creare un caso-Liguria sul quale si è buttato Civati.
E dunque se perderà la Paita, per Renzi si aprirà un problema di nome “Partito”. Se, cioè, sarà la Liguria a portare a un 5 a 2, gli effetti toccherebbero – sì - il Governo perché la minoranza prenderebbe forza e in Parlamento scatenerebbe la guerriglia sulle riforme ma la vera guerra si aprirebbe sul partito con Bersani e Speranza pronti a intestarsi un’offensiva di sinistra per riconquistare la ditta.
Diverso sarebbe il caso della Campania. Se la sconfitta dovesse arrivare da Vincenzo De Luca, Renzi non sarebbe così scontento. Meglio perdere la Campania che la Liguria per due ragioni. La prima è che in Liguria governa il centro-sinistra e in Campania no. La seconda, più importante, è che la nascita e ascesa della candidatura del sindaco di Salerno mostra un altro aspetto problematico del Pd sul territorio. Ossia, la presenza di personalità sganciate dalle logiche nazionali che quasi si candidano contro il leader, a cui non importa di dare conto a Roma dei candidati cosiddetti “impresentabili”. Un contro-potere locale che nulla deve al segretario di turno, con un pacchetto di voti e di consensi autonomo e tale da creare futuri conflitti con il Governo (dalla legge di stabilità alla spending review). Un 5 a 2 a causa della Campania non sposterebbe molto né nel Governo (anzi sarebbe un problema in meno per Renzi) né nel partito visto che De Luca non può in alcun modo diventare sponda dell’opposizione interna.
Infine c’è il Veneto e la candidatura di Alessandra Moretti che, suo malgrado, offre un’altra angolatura ai difetti di sintonia tra Pd e territori. Basta citare una ricerca fatta da Community Media Research di Daniele Marini: bene, mentre Zaia rappresenta un valore aggiunto per gli elettori di centro-destra ed è gradito dall’88%, la Moretti piace solo al 58% degli elettori del Pd. La domanda è: si può candidare alla Regione chi è gradita da poco più della maggioranza degli stessi elettori del partito? O Renzi ha dato subito la partita per persa puntando sul 6 a 1, o non ha capito che le regionali sono altra storia rispetto alle europee dove un anno fa ha preso il 37%.
I guai per lui, comunque, non sono in Veneto e comincerebbero da un 4 a 3. Prima ancora che sul Pd il contraccolpo di un tale risultato investirebbe il Governo, metterebbe in crisi le future riforme e in allarme l’istinto di Renzi. Che potrebbe reagire cominciando a valutare come andare a elezioni al più presto.