giovedì 7 maggio 2015

Corriere 7.5.15
Astensionismo
Sulle regionali incombe il fattore A
di Goffredo Buccini


Battuti (per ora) gli avversari, addomesticati (per il momento) i dissidenti, la prossima minaccia sarà invisibile. E non in senso metaforico: il 31 maggio Matteo Renzi rischierà di non vedere alle urne delle Regionali almeno un elettore su due, nei casi peggiori due su tre. Dalla Campania alla Liguria, dalle Marche alla Puglia e perfino nella «rossa» Toscana, i sondaggisti intonano tutti lo stesso de profundis : le Regioni non piacciono più a nessuno o quasi, sei italiani su dieci le considerano una iattura, otto su dieci ne diffidano. A torto o a ragione, sono percepite come un buco nero di sprechi e malaffare: trecento consiglieri e sedici consigli regionali finiti nelle indagini per peculato di questi ultimi tre anni (e rubricati con l’orrido neologismo di Rimborsopoli) hanno scavato un fossato tra la gente comune e i palazzi dell’allegro federalismo all’italiana.
L’astensionismo, un tempo vissuto quasi come una colpa o una vergogna, sta diventando un tratto identitario da rivendicare con orgoglio. In Emilia-Romagna, dove si votò per la Regione a novembre dopo le dimissioni di Vasco Errani, è ancora in crescita: dal già clamoroso 63 per cento di sei mesi fa al 72 per cento rilevato di recente (si rivoterà nel 2016 per il sindaco di Bologna). Con il fattore A, dunque, sarà chiamato a misurarsi a fine maggio il segretario-presidente in una sfida che contiene qualche elemento paradossale. Perché, di suo, Renzi non le ha mai avute troppo a genio, le Regioni. Appena ha potuto, ha tentato di sforbiciarne i bilanci. Sensibile com’è agli umori popolari, non ha mai perso occasione per sottolineare che di «grasso» da smaltire queste ipertrofiche istituzioni partorite dalla riforma della Costituzione del 2001 ne hanno ancora tanto, a cominciare da una sanità che, divisa in venti sistemi e altrettanti potentati, ha vanificato il diritto alla salute di molti italiani.
E infatti la sua prima idea di «controriforma» del Titolo V della Costituzione (quello che si occupa delle autonomie) proprio sulle Regioni si appuntava. Poi il segretario Renzi, pressato dai notabili locali del Partito democratico, è prevalso sul presidente Renzi: e nel mirino sono finite le Province, meno fondamentali nell’architettura istituzionale ma pure meno dannose e meno costose. La questione regionale tuttavia è lì, e rischia di diventare piombo nelle ali di chi si propone di cambiare verso al Paese. Aggravata dal terribile mercato delle anime di cui ogni giorno, all’approssimarsi del voto, le cronache locali ci danno qualche saggio, con cambi di casacca e di schieramento quasi sempre estranei a ragioni politiche o ideali.
In Puglia il berlusconismo si disfa in faide locali incomprensibili ai più. In Campania al candidato del Pd De Luca, dato per vincente ma anche per sospeso in caso di vittoria (a causa della legge Severino), si vanno agganciando segmenti della corrente forzista di Nicola Cosentino (tuttora in carcere per l’accusa di legami con la camorra) e di una destra nostalgica del fascismo. In Liguria pesa sulla sinistra lo strappo doloroso di Cofferati. In Veneto, sulla Lega, il divorzio fra Zaia e Tosi officiato da Salvini. Nelle Marche il governatore uscente, Spacca, si ricandida passando dal Pd a Forza Italia. E questi sono solo i casi più clamorosi, sotto i quali s’intuisce la palude: è davvero difficile orientarsi per gli elettori. Il disorientamento potrebbe ingigantire ulteriormente la diserzione dalle urne. Producendo infine un effetto politico rilevante dopo il 31 maggio. Quando Renzi si troverà a difendere nella calura estiva la sua riforma del Senato, dovrà sostenere anche e soprattutto la figura dei nuovi senatori: pescati proprio tra i consiglieri regionali. Un’ulteriore bocciatura di quei consiglieri, sancita dall’astensionismo, metterebbe in salita il sentiero già accidentato della riforma istituzionale e in pericolo l’intero cronoprogramma del renzismo. Gli ammaccati oppositori del segretario-presidente potrebbero trovare infine nel fattore A quel collante di cui al momento appaiono privi.