domenica 31 maggio 2015

Corriere 31.5.15
I risultati e i nemici interni
La doppia partita del leader pd
di Maria Teresa Meli


ROMA Non è propriamente quello che si direbbe un sabato di quiete, questo, per Matteo Renzi. In molti, dentro e fuori il suo partito, lo aspettano al varco delle elezioni di oggi.
Certo, il 90 per cento del Partito democratico (gruppi parlamentari inclusi) sta con lui, ma la minoranza spera ugualmente di potergli rendere la vita difficile. Solo che il premier non è tipo da consentirglielo. Sul risultato, per esempio, Renzi ha delle idee ben precise e le ha spiegate ai fedelissimi: «C’è chi dice che se non vinco sei a uno la mia sarà una sconfitta elettorale? Ma di che parlano? Io ho già strappato quattro regioni al centrodestra da quando sono segretario: Abruzzo, Calabria, Piemonte e Sardegna. E ho riconfermato le mie. Anche se non finisce sei a uno voglio vedere chi ha il coraggio di dire che ho perso le Regionali».
Insomma, Renzi è, come sempre prima di una battaglia, carico e combattivo. C’è solo una cosa che lo ha abbattuto, come ha confessato venerdì scorso ai parlamentari e ai dirigenti che erano in piazza con lui a Firenze, per la chiusura della campagna elettorale. È stata l’uscita di Rosy Bindi. Sì, perché la mossa della presidente della Commissione antimafia non ha suscitato unicamente le sue ire, ma anche un profondo senso di scoramento. Si è sentito tradito. «Il giorno prima aveva fatto sapere quasi piangente — ha confidato il premier a qualche parlamentare più amico — che mai e poi mai avrebbe fatto del male al Pd...».
È stata quella che i renziani chiamano «la doppiezza della Bindi» che lo ha amareggiato oltre ogni dire. «Prima — ha raccontato Renzi ai collaboratori nella sua Firenze — nel partito si davano botte da orbi, poi, quando arrivavano le elezioni firmavano una tregua e ricominciavano a menarsi solo dopo. Adesso pur di far perdere me si fa a botte in piena campagna elettorale. Avete visto la dinamica della storia dell’Antimafia? La Bindi ha fatto la sua conferenza, poi, cosa stupefacente, il primo a intervenire è stato Bersani... Ma io sono un osso duro».
La mossa della presidente della Commissione Antimafia, a dire il vero, non ha scosso soltanto il segretario-premier ma tutto il partito e non solo i renziani. Molti sospettano che Rosy Bindi stia progettando la sua uscita dal Partito democratico e più d’uno ritiene che il suo obiettivo sia quello di farsi cacciare o, quanto meno, di ottenere una sanzione disciplinare per avere il pretesto di dire addio al Nazareno e cercare miglior fortuna altrove.
Magari in quella nuova formazione di sinistra di cui tanto si vagheggia. Diverse rilevazioni attribuiscono percentuali potenziali che vanno dal dieci al quindici per cento. Ma i sondaggisti precisano anche che finora non si è trovato un leader in grado di coalizzare una così notevole percentuale di consensi. Questo, però, ai futuribili transfughi del Partito democratico poco importa. Perché, grazie all’Italicum, che hanno tanto combattuto, a loro basta solo il tre per cento per ottenere qualche scranno in Parlamento e per potersi fare un’altra legislatura che, di certo, con Renzi non si farebbero più.
Ma è proprio sul fianco scoperto della sinistra che il presidente del Consiglio intende lavorare. E, per la verità, ha già cominciato ad avviarsi su questa strada non da ora. «Io so bene di non piacere ai salotti dei radical chic — è solito dire il premier — ma la verità è che la sinistra siamo noi, noi che riduciamo le diseguaglianze e creiamo posti di lavoro».
Non c’è solo questo fronte nella battaglia che Renzi intende portare avanti per dimostrare quale sia «la vera sinistra». Il segretario del Partito democratico medita di condurre anche una grande campagna culturale. E andrà avanti sui diritti civili. Il divorzio breve è stato il primo passo. Poi toccherà alle unioni civili. Su questo tema il presidente del Consiglio sa che in Parlamento c’è una maggioranza trasversale più ampia di quella di governo e che per Sel ma anche per gli stessi grillini sarà difficile attaccarsi a eventuali lacune della normativa per bocciarla, pena il rischio di assumersi la responsabilità di aver affossato una legge che il Paese aspetta da anni.
Infine, c’è il fronte che riguarda il partito. Renzi aspetta la conclusione delle elezioni per dare forma al Partito democratico. Con un vice segretario unico che prenda in mano le redini del Nazareno. Si era parlato della ministra Maria Elena Boschi. Era una voce insistente che circolava alla Camera. Ma pare che il leader non abbia deciso. E in molti sono pronti a scommettere che alla fine quel ruolo sarà ricoperto dal braccio destro e sinistro del premier, dall’uomo a cui Renzi si affida sempre quando ci sono da risolvere le situazioni difficili: Luca Lotti.