giovedì 21 maggio 2015

Corriere 21.5.15
De Mauro: troppi silenzi in questa riforma Ma dico no alle barricate
intervista di Valentina Santarpia


Il «bailamme» sui precari, il «punto debole» dei presidi, e tre «silenzi» che pesano come macigni: è pacato ma severo il giudizio sulla riforma della scuola di Tullio De Mauro, linguista, professore universitario, socio dell’Accademia della Crusca, ex ministro dell’Istruzione e autore di decine di libri.
Cosa pensa della riforma?
«A me pare che il testo che va sotto il nome di Buona Scuola sia preoccupante non tanto per quello che dice, ma per quello che tace».
Quali silenzi preoccupano?
«Il primo è la mancanza di riconoscimento di quello che, sia in alcuni settori particolari come infanzia e primaria, e sia nel complesso, la scuola italiana ha dato e continua a dare a una società che sembra non amarla troppo e che comunque poco ne finanzia le necessità».
A cosa si riferisce?
«Alcuni pezzi della scuola funzionano a un livello straordinario. Ci sono parti di scuola che realizzano la massima inclusione: il 100% delle bambine e dei bambini iscritti in prima elementare raggiunge la licenza elementare, e i più alti livello di rendimento nei test internazionali».
Il ddl non ne tiene conto?
«A mio avviso non si tratta solo di mancato riconoscimento, ma di mancata conoscenza di quelle parti della scuola che fanno e danno. Gli ispiratori del premier hanno l’aria di dire: “Ora arriviamo noi e sistemiamo tutto”».
Qual è il secondo silenzio?
«Non mi sembra che sia presente in questo progetto ciò che ha animato e deve animare la scuola italiana, e cioè il richiamo alla funzione di organo costituzionale della scuola e quindi dell’impegno della Repubblica (Stato, Comune, enti pubblici) a garantire a tutti e tutte l’istruzione: potenziando quello che c’è, facendo sì che avvenga nelle medie e nelle superiori ciò che è già stato fatto per le elementari: soldi e formazione per gli insegnanti».
La terza omissione?
«La scuola lavora in salita in una società che, come appare dalle prove internazionali dell’Ocse, è tra le più dealfabetizzate del mondo, insieme a quella spagnola: tra il 70 e l’80% della popolazione adulta uscita dalla scuola anche con livelli alti di competenze, perde queste competenze molto presto, soprattutto se non lavora».
Dove accade?
«La recente indagine dell’Ocse ha qualcosa di preoccupante e interessante allo stesso tempo: il fenomeno della dealfabetizzazione colpisce in percentuali rilevanti Paesi tra i più svariati del mondo, anche Finlandia, Corea, Giappone, con sistemi di istruzione esemplari. Il problema dell’istruzione degli adulti è un problema generale di cui la scuola dovrebbe tenere conto. Invece è completamente ignorato».
Il preside sceriffo allora è un falso problema?
«Non mi troverà felice avere un preside che dopo tre anni mi può dire di andar via: soprattutto se sono un professore di algebra e lui non sa fare 2 più 2. È un punto debole, ma secondario: non è eliminandolo che la riforma funziona».
E la battaglia sui precari?
«Un altro punto debole. Non si sa bene come questi 100 mila verranno assunti, su quali cattedre, con quali meccanismi. È un bailamme enorme allo stato attuale, che avrebbero dovuto definire mesi fa: è chiaro che c’è un ricatto governativo».
Come dicono i sindacati?
«Sì, ma anche i sindacati dovrebbero mettere da parte le barricate. Bisognerebbe fermarsi, studiare e mettere a punto un intervento ex novo sull’istruzione. Ma temo che questa strategia non trovi ascolto».
Sembra di no, Renzi «va come un treno». E i ragazzi?
«Il mio parlare pomposamente di ruolo costituzionale della scuola è proprio quello di Piero Calamandrei: è il modo solenne di occuparsi dei ragazzi, quelli che vanno a scuola e quelli che non ci vanno».
Cosa serve agli studenti?
«Solo imparare a scrivere, leggere, e far di conto, ai livelli sempre più alti che il processo di istruzione richiede».