Corriere 14.5.15
L’ordine di scuderia della minoranza dem: niente uscite solitarie
Con Fassina anche Gregori è pronta a lasciare
di Monica Guerzoni
ROMA L’avviso di sfratto a Fassina è arrivato come una manciata di sale sulle ferite della minoranza Pd. «Se se ne va, è un problema suo» lo ha salutato Renzi, confermando il timore che certe frasi contro la «sinistra masochista» le pronunci per drammatizzare, per isolare i più integralisti costringendoli a lasciare il Pd.
Alla sfida del leader Fassina non replica, impegnato com’è a riformare la riforma della scuola: «Non mi interessa rispondere. Io ho posto un problema politico, mentre lui la butta sul personale». Quando uscirà dal Pd? «La decisione è connessa alle scelte del governo sulla scuola. Se il ddl non cambia nemmeno al Senato, me ne vado». Per ora l’ex viceministro non lascia e deposita tre emendamenti sulla scuola. I «big» della minoranza lo implorano di non andarsene alla spicciolata. Da Bersani alla Bindi, da Speranza a Cuperlo, la linea è «niente uscite solitarie», il fronte antirenziano deve marciare unito e lavorare dall’interno: per spostare a sinistra il timone del Pd, o almeno per segnare qualche punto nelle aule parlamentari. Se poi la minoranza non avrà più margini di manovra il tema di uscire giocoforza si porrà, ma solo quando il progetto di un nuovo partito avrà preso forma.
«Non so pensare un Pd senza Fassina — lo difende Rosy Bindi — Io lo considero essenziale dentro al partito». Monica Gregori dice che «Renzi sbaglia, se Fassina esce è un problema di tutto il partito». Il tormento della deputata di Tivoli sembra senza ritorno: «Ho difficoltà a riconoscermi nel Pd dell’uomo solo al comando. Comincio a pensare che a Renzi farebbe piacere se una parte della minoranza decidesse di uscire... Il Pd è deviato verso una linea di destra e i compagni sul territorio non ce la fanno più. Se continua a toglierci l’aria dovremo uscire, ma andarsene da soli non serve».
Fassina non fa nomi e non dà numeri. «Non sono solo — assicura — ma non credo che alla Camera la cosa possa ambire al nome di scissione». Michela Marzano se ne andrà dopo le unioni civili, lei non è iscritta al Pd e lascerà il Parlamento: «Se non fai parte di una corrente nessuno ti ascolta e ti senti inutile. Fassina è una persona integra e io lo stimo, ma la sinistra di opposizione è priva di coordinamento. Prima si lavora a livello culturale, poi si pensa ai contenitori».
Il disagio è sempre più forte. Come va dicendo Bersani ai suoi, «c’è un limite a tutto». Roberto Speranza è preoccupato per il «disagio profondo della base» e oggi con i fedelissimi farà un punto sulla scuola: «Il Pd senza sinistra non esiste. Ora siamo tutti impegnati per sostenere il simbolo alla regionali, ma dopo servirà una riflessione seria su cosa è il Pd». Fuori, Civati accelera sui nuovi gruppi. Al Senato ha convinto otto esponenti del Misto a passare con lui, «ex cinquestelle ma non solo». E i quattro civatiani? Per ora restano, chi per convenienza e chi per strategia. Lucrezia Ricchiuti si dice «totalmente d’accordo con il referendum di Civati sull’Italicum» e Mineo avverte Renzi sulla scuola: «La maggioranza al Senato se la deve cercare, perché non ce l’ha».