lunedì 27 aprile 2015

Repubblica 27.4.15
La rivolta delle Hawaii “Via quel telescopio dalla montagna sacra”
I nativi: “Sul vulcano Mauna Kea abita una divinità”
E gli scienziati si dividono: “Superstizione” “No, rispettiamoli”
di Silvia Bencivelli


SOTTO il sole delle Hawaii si riapre il conflitto tra scienza e religione. O almeno qualcosa che gli assomiglia. La scienza, nella parte del potere forte, è quella del consorzio statunitense-canadese che sta costruendo sul vulcano Mauna Kea un enorme telescopio per l’osservazione delle galassie e dei pianeti extrasolari (il TMT). La religione è quella dei nativi hawaiani, per cui il vulcano Mauna Kea è una montagna sacra, anzi la montagna sacra. Per questo alcuni locali, appoggiati dagli ambientalisti, stanno tentando di bloccare i lavori per la costruzione del telescopio. Ma, nell’escalation di un conflitto che ha già visto boicotaggi e arresti degli attivisti, le posizioni delle due parti appaiono assai confuse. E come andrà a finire la storia è assai facile da prevedere.
Per gli scienziati, il punto è decidere se la scienza moderna, quella dei miliardi di dollari, degli accordi internazionali e degli obiettivi ambiziosi su tempi lunghissimi, come la ricerca della vita extraterrestre o la comprensione dell’origine dell’Universo, debba cedere il passo ad antiche credenze religiose, per di più minoritarie, e fermarsi di fronte a una montagna su cui la tradizione vuole siano nati gli spiriti degli antenati. Oppure se, al contrario, a tutte le forme di sapere si debba lo stesso rispetto, e se la convivenza su questo pianeta non debba passare attraverso una negoziazione alla pari o quantomeno un dialogo che nel caso del telescopio hawaiano non c’è mai stato.
Ad alzare il livello dello scontro è stato un professore dell’Università della California, che in questi giorni ha fatto girare una mail di sostegno alla costruzione del telescopio dal linguaggio così crudo (“orde di nativi hawaiani”) da venir accusato di razzismo e da essere sommerso dalle critiche. La maggioranza del colleghi si è prontamente dissociata. E probabilmente la ragione è che, spiriti degli antenati o no, il telescopio ormai si farà: è in costruzione dall’ottobre del 2014 e nel 2018 verrà attivato. Sarà un occhio largo 30 metri, puntato sull’universo, con una risoluzione angolare dieci volte superiore a quella del telescopio spaziale Hubble. Osserverà lo spazio dai 4.000 metri del Mauna Kea, attraverso il suo cielo limpido, scuro, lontano dall’inquinamento luminoso delle aree continentali. E lo farà stando serenamente accanto agli altri tredici telescopi del complesso dell’Osservatorio di Mauna Kea.
Sì perché la montagna sacra è già stata ampiamente violata: il sito è dell’università delle Hawaii che lo affitta agli enti di ricerca di tutto il mondo che vengono qui, nel mezzo dell’oceano, a puntare le stelle. Proteste dei locali ci sono già state, sebbene mai intense come questa volta. Ma a dire il vero anche gli hawaiani non sono tutti contrari al nuovo telescopio in nome delle antiche tradizioni. Anzi.
C’è chi ha espresso il suo favore al telescopio sostenendo che gli spiriti sarebbero contenti di vedere che, oggi, i loro discendenti guardano al futuro e partecipano al progresso della conoscenza, come ha scritto Alexis Acohido sul giornale studentesco Ka Leo. O come Mailani Neal, studentessa di fisica e autrice di una petizione di supporto al telescopio che sta girando su Internet. E c’è chi più prosaicamente spera in un ulteriore beneficio economico per gli abitanti dell’arcipelago.
Resta invece probabilmente aperta la ferita di un colonialismo che dalla fine dell’Ottocento ha trasformato le Hawaii e i suoi abitanti. Ma che ha anche portato grandi vantaggi e che non è stato sempre respinto. Tanto che gli hawaiani raccontano con orgoglio che il re Kalâkaua nel 1874 fece mettere un impianto elettrico nel proprio palazzo. Mentre alla Casa Bianca la prima lampadina è stata accesa solo cinque anni dopo.