sabato 25 aprile 2015

Repubblica 25.4.15
 Le lezioni americane di Gaetano Salvemini
Pubblicate le lettere del grande intellettuale antifascista in esilio La lotta contro Mussolini, l’avversione per comunisti e socialisti
di Massimo L. Salvadori


NEL 1925 Gaetano Salvemini espatriò dall’Italia, dove sarebbe tornato solo nel 1949. Dopo aver fatto la spola tra Londra, Parigi e gli Stati Uniti, approdò in questi ultimi nel 1934. Quando lasciò l’Italia, era da tempo emerso quale uno dei maggiori intellettuali italiani: non solo grande storico, anche personalità politica di primo piano. Mentre Giovanni Gentile e Gioacchino Volpe erano diventati apologeti del regime fascista, Benedetto Croce veniva lasciato sostanzialmente tranquillo e Luigi Einaudi continuava a fare il professore, Salvemini, privato della cittadinanza italiana, colpito dalla confisca dei propri beni, votatosi alla lotta senza quartiere contro la dittatura, nel suo esilio divenne il Mazzini del XX secolo.
Con una coraggiosa iniziativa, l’editore Donzelli ha pubblicato le sue Lettere americane 1927-1-949 ( a cura di Renato Camurri e con una presentazione di Paolo Marzotto). Camurri inquadra bene il contesto in cui Salvemini visse e operò in quegli anni, che furono per lui felici allorché poté trovare all’università di Harvard una cattedra e una splendida biblioteca che gli consentì di stendere le opere sul fascismo diventate classici della storiografia.
Salvemini era un infaticabile scrittore di lettere, dirette a una quantità di personaggi, tra i quali mi limito a menzionare Giorgio La Piana, Enzo Tagliacozzo, Max Ascoli, Lionello Venturi, Alberto Tarchiani, Giuseppe Antonio Borgese, Carlo Sforza, Leo Valiani, Niccolò Tucci. Tre gli aspetti dominanti: la calda ma anche severa umanità della persona, l’infaticabile azione per promuovere la lotta contro il fascismo, l’incessante vis polemica diretta contro le forze interne e internazionali complici del regime e, caduto questo, contro i comunisti, i clerico-moderati e le destre monarchiche e neofasciste. Si preoccupava di procurare aiuti materiali agli antifascisti esuli. Valga ricordare il caso di Emilio Lussu, che stimava enormemente anche come scrittore. Lo addolorò molto e criticò senza mezzi termini la svolta in senso socialista non esente da filo-comunismo di “Giustizia e Libertà”.
Nelle faccende italiane, era desolato dalla presa che il fascismo aveva sugli italo-americani caduti nella trappola che Mussolini avesse riportato l’Italia all’onore del mondo; dopo il luglio 1943, diresse i suoi strali verso il re-Badoglio- Croce-Sforza-Togliatti e compagnia che, manovrati soprattutto da Churchill e da Stalin, preparavano per il nostro paese un dopoguerra che smentiva le sue speranze.
In molti casi mostrò di avere la vista acuta, come quando negli anni ’30 ammonì coloro che si illudevano che il regime fosse prossimo a cadere da un momento all’altro; come quando comprese fin dal 1937 che Franco avrebbe vinto in Spagna; come quando dopo il 1945 previde che in Italia la vittoria politica sarebbe andata non ai socialcomunisti ma ai democristiani (soluzione da lui, laico inveterato, auspicata obtorto collo ). In altri casi, prese abbagli clamorosi: valga per tutti ciò che scrisse a La Piana il 7 gennaio 1932: «Anche se Hitler va al potere in Germania, che cosa vuoi che faccia, se non far baccano?».
IL LIBRO Gaetano Salvemini, Lettere americane. 1927-1949 (Donzelli, pagg. LIII-592, euro 35)