giovedì 23 aprile 2015

Repubblica 23.4.15
Arte preistorica
anteprima
Una grotta virtuale per i dipinti rupestri di trentamila anni fa “Clonati per difenderli”
In Francia, è stata riprodotta a due chilometri da quella vera la celebre Caverne du Pont d’Arc con centinaia di graffiti dei nostri antenati
di Marco Berchi


LA LUCE . Per vedere un dipinto serve la luce. Per realizzarlo, ancora di più. E se vivete 34mila anni prima di Cristo e siete scesi in fondo a una caverna, l’unica vostra luce viene da una torcia puzzolente come le ossa di animali disseminate in fondo alla grotta. E allora, per prendere in mano un pezzo di carbone e iniziare a tracciare sulla roccia calcarea il profilo del cavallo che l’altro ieri avete visto correre — alla luce — non basta che siate un uomo, dovete essere un artista. Anche se non potete immaginare che la vostra arte è destinata ad essere ammirata tra millenni da decine di migliaia di vostri discendenti, grazie a un differente uso del silicio di cui è fatta la selce che avete nella bisaccia.
È il 1994 quando, casualmente, le torce elettriche di un gruppo di speleologi francesi riportano letteralmente alla luce centinaia di metri quadri di pitture rupestri e graffiti opera di artisti preistorici. La Grotte Chauvet o Caverne du Pont d’Arc diventa subito un formidabile teatro di ricerca e nel 2014 viene inserita nel Patrimonio Unesco ma non può essere aperta al pubblico: troppo delicate le pitture, tanto che, oggi, solo due spedizioni scientifiche all’anno possono accedere alla grotta, altrimenti sbarrata come lo è stata per 20mila anni.
Destino crudele? Sì, ma si può rimediare. È nata così un’operazione tecnologica e culturale senza precedenti che ha permesso di riprodurre in scala 1:1 la Caverne du Pont d’Arc, tra rocce e querce uguali a quelle che hanno visto gli “Aurignaciens” soppiantare lentamente i più antichi neandertaliani.
“Repubblica” ha varcato in anteprima i cancelli che si apriranno ai visitatori il 25 aprile e che pochi giorni fa hanno visto il passaggio del presidente François Hollande. Siamo nell’Ardèche, a ovest della direttrice Lione-Avignone, uno dei dipartimenti più selvaggi e conservati di Francia, dove ci si fa vanto di non essere attraversati né da autostrade né da ferrovie. A fendere l’altopiano carsico che domina il sud della regione, ci pensa il fiume, l’Ardèche, appunto, che nei millenni ha scavato decine di chilometri di “gorges” tra pareti calcaree alte più di 100 metri, paradiso di canoisti e climber.
Qui, su un plateau boscoso di 30 ettari, a due chilometri in linea d’aria dalla caverna vera e propria, è stato allestito in 30 mesi e spendendo 50 milioni di euro (tra Regione Rhône — Alpes, Ue e Stato) un complesso di edifici a basso impatto ambientale il cui cuore è la “restituzione” della Caverne du Pont d’Arc e delle sue pitture.
Las Vegas? Paccottiglia artificial- virtuale? Romain Dumas è il giovane capo delle guide che si preparano a condurre sino a 4mila visitatori al giorno (audioguide in italiano) in visite di un’ora per gruppi di 25 persone distanziati a intervalli di 4 minuti. Sorride silenzioso pregustando la nostra sorpresa. Superate le 5 stazioni esplicative disseminate lungo gli ombrosi vialetti, scendiamo una rampa che si immerge sotto il frastagliato edificio della “grotta”. La penombra di una “sala di preparazione”, poi le porte si aprono e, di colpo, ci si trova fianco a fianco con il nostro avo artista preistorico. Umidità, frescura, acustica, addirittura gli odori di un ambiente sotterraneo sono stati ricreati ma è la luce a dominare la scena.
La luce che non c’è e che compare via via solo nelle dieci stazioni della passerella per illuminare le meraviglie dell’arte e della natura che in 3mila mq riproducono, compattandoli ma con fedele percorso cronologico e fisico, gli oltre 8.500 mq della vera grotta.
È con ironia che si constata che, dalle dita di quegli artisti che con la tecnica dell’”estompe” creavano sfumature e prospettive di leoni, cavalli e rinoceronti, si è passati al digitale che ha permesso di riprendere in 3D l’andamento delle superfici delle pareti della caverna e di fotografare i 27 “pannelli” con centinaia di animali e di simboli. Con resine e materiali speciali gli scenografi hanno poi ricostruito nei dettagli infinitesimi le pareti su cui proiettare le immagini in scala 1:1. Ma sono poi ancora servite le dita di Gilles Tozello, specialista di arte parietale, e dei suoi collaboratori per sovrapporre alle immagini proiettate i tratti di veri e propri disegni sino al grande (12 metri) affresco dei leoni, con 92 animali in movimento.
Il resto sono migliaia di dettagli riprodotti al millimetro: stalattiti, veli di alabastro, crolli e pozzanghere, graffi e impronte di orsi che per secoli hanno abitato la caverna. E la sensazione di avere un nuovo amico: quell’artista alto circa 1,70 che quella mattina aveva preparato molto pigmento rosso, era sceso nella caverna e poi salito su un masso appoggiandovi la mano — ecco il segno rossastro — . L’ispirazione era nitida: un bisonte astratto, da farsi con l’impronta del palmo. Peccato quel mignolo della destra, rimasto offeso, storto e ingovernabile dopo quell’incidente di caccia. Ma il nostro amico può stare tranquillo: il bisonte è venuto benissimo. E, soprattutto, è lì da vedere.