martedì 21 aprile 2015

Repubblica 21.4.15
Nazifascismo, stoltezza di un eufemismo
Ho chiara la memoria di quando la parola cominciò a nascondere i piedi della lingua italiana, con conseguenze di bruttezza e insensatezza
di Guido Ceronetti


A CIASCUNO la sua guerra. Io muovo guerra al malparlare, mi indignano gli eufemismi politici , che non germinano dal pudore e dalla venerazione del sacro, ma dalla stupida paura di offendere qualcuno il quale offendendosi potrebbe crearti qualche danno. Una lingua pullulante di eufemismi è l’ebraico biblico, forse fin dai redattori originali. Un esempio significativo: raramente, mai forse, piedi non significa culo ( palle incluse). Scoprirsi i piedi sta per andare di corpo (che è, anche questo, eufemismo). Il re Saul, nella grotta di En-Ghedi si nasconde allo scopo di “scoprirsi i piedi”, e la spudorata Debora non esita a introdursi nel locale riservato dove Sisera si sta scoprendo i piedi per trafiggerlo e tagliargli la testa; ma il bravo George Orwell avendo nel mirino un fascista che “si scopre i piedi” su una posizione avversaria, nel 1936, abbassa la canna del fucile ( Omaggio alla Catalogna). Anche David si guarda dall’uccidere Saul nella spelonca: gli basta la prova di averlo potuto fare, tagliandogli un lembo del mantello. Così agisce un vero guerriero, una razza estinta in questo tempo di assassini.
Invece, un eufemismo politico intollerabile è nazifascismo , e poiché, per grazia del Signore, a quel tempo c’ero, ho chiara la memoria di quando la parola cominciò a nascondere i piedi della lingua italiana, con conseguenze di bruttezza e di insensatezza degne di rogo.
Nazifascismo connota l’inesistente. Connotare il nominabilissimo è distruzione di identità storica ( Heimatlösigkeit: perdita di patria, dunque di consistenza psichica, reperimento topografico, come sta avvenendo nelle migrazioni). Dal momento che la base storicizzabile della parola è nazionalsocialismo, la riduzione nazismo la svuota. L’orrore per il movimento si è spostato dalla parola troppo lunga all’accorciamento, anche per non rendere esecrabile, neppure in quel contesto, il per nulla innocente “socialismo”. La via degli eufemismi è delle più contorte. L’eufemofonia maniacale arriva ad orrori incruenti come il composto nazifascismo, per cui l’Italia risulterebbe liberata, il 25 aprile 1945, da un improbabile regime nazionalsocialista e da una, pur pestifera, versione fascista repubblicana, che è la sola a riguardarci. L’esattitudine vuole che si dica che l’Italia è stata liberata dall’occupazione tedesca (1943-1945) e da uno zomboide regime fascista di un Mussolini groggy, che nessuno, sotto il terrore tedesco, sentiva presente. Intanto la Germania, a sua volta liberata, dopo l’Anno Zero e la revisione filosofica che le ha riscoperto le vie della verità liberatrice, ridiventa grande e potente, e qui la pavidità linguistica è in preda al panico; i tedeschi cattivi perdono perfino il nome, a poco a poco assumono l’identità eufemistica di “truppe naziste” cosmopoliti, (dove nessuno parla tedesco), truppe naziste che occupano Polonia, invadono la Russia fino al Volga, si attestano sulla Linea Gotica, e di scemenza in scemenza arrivano all’oratoria ufficiale che celebra lo sradicamento nazionale (se questa è ancora una nazione italofona) come eroica liberazione da un ipotetico nazifascismo di cui gli storici seri vanno in cerca senza (ma non era dappertutto? Dove si è ficcato?) possibilità di trovarlo.
Ma qui non c’è che una innocua Cassandra linguistica che alza il tenero scudo dei Lacedemoni contro giganteschi, irriducibili mulini a vento cervantini.