giovedì 23 aprile 2015

La Stampa 23.4.15
Fermare gli sbarchi non basta
di Mario Deaglio


Provate a prendere un gatto per la coda: si ribella, si agita, graffia e scappa. È purtroppo molto probabile che il vertice di emergenza di oggi a Bruxelles si limiti a prendere per la coda il gatto-Africa.
Per conseguenza, pur necessario, questo vertice potrebbe rivelarsi ampiamente insufficiente. Il pericolo è, infatti, che si cerchi di tamponare una situazione fuori controllo sfiorandone soltanto le cause vere, con l’illusione che il tampone sostituisca la cura. L’emergenza è infatti soltanto la coda dello spaventoso problema africano che emerge in tutta la sua ampiezza già dal confronto del prodotto lordo per abitante, un indicatore impreciso ma non troppo scorretto: il prodotto lordo per abitante dell’Africa Sub-sahariana si aggira sui 1200 euro l’anno e che diventano circa 3 mila se si tiene conto della parità dei poteri d’acquisto, ossia del minor prezzo dei beni di consumo fondamentali nei paesi poveri. Nell’Africa Settentrionale i livelli di collocano attorno ai 7-10 mila euro. Nell’Europa Occidentale siamo a quasi 35 mila euro l’anno.
Con un aumento, peraltro difficile da realizzare, nell’ordine del 2-3 per cento annuo del reddito per abitante ci vorranno circa 100 anni perché l’Africa sub-sahariana raggiunga l’attuale livello europeo di prodotto per abitante. Il divario si riduce a circa 65 anni per l’Africa Settentrionale.
Ecco quindi una risposta parziale all’angoscioso «Perché?» di Mario Calabresi su La Stampa di due giorni fa, una risposta alla quale bisogna aggiungere le violenze, le ingiustizie, le guerre, le malattie che rendono la vita africana «cattiva, abbrutita e breve» per usare in un contesto diverso la celebre espressione di Thomas Hobbes. Questo movimento, destinato a una lunga durata è accelerato dalle spaventose situazioni di guerra civile e di contrasti religiosi.
Il problema è aggravato dalla crescita della popolazione africana, destinata all’incirca a raddoppiare dall’attuale miliardo a due miliardi di persone nel giro di circa 25 anni. Sarà una popolazione giovanissima e irrequieta che si confronterà con una Riva Nord del Mediterraneo sulla quale i giovani saranno invece pochissimi e non si può neppure escludere che alcuni gruppi fondamentalisti islamici pensino di sommergere l’Europa sotto la spinta di milioni di africani terrorizzati dalle stragi. Ecco allora il papà africano dar fondo ai pochi risparmi che ha, prendere il figlio più amato e infilarlo in una barca che ha una probabilità relativamente alta di affondare nel corso di un viaggio orribile e pericoloso.
E’ chiaro che un problema del genere non si risolve, al massimo si rinvia, con «soluzioni da bar» (con tutto il rispetto per i bar) come quella di affondare i barconi prima che partano. Sono innumerevoli i precedenti storici che portano a concludere che tutto ciò al massimo può rallentare temporaneamente i flussi migratori provocati dalla disperazione, non certo annullarli. Dobbiamo invece prendere atto che non ci sono soluzioni facili a problemi epocali come questo e che la situazione africana si traduce in ogni caso in un costo, sia esso legato all’accoglimento oppure al respingimento dei migranti.
Un tentativo di difesa a oltranza dei confini sarebbe probabilmente inutile nel lungo periodo. Le medesime risorse sarebbero meglio impiegate in una politica di sviluppo di lungo periodo del continente africano, possibilmente in un quadro di scambi economici di mutuo vantaggio e di un incontro di culture che arricchisca «spiritualmente» entrambe le parti. Sarebbe certamente un successo se quella di oggi a Bruxelles fosse la prima di una serie di riunioni alla ricerca di un assetto di lungo periodo
L’Europa può efficacemente chiedere agli africani di configurare una politica economica, da finanziare in maniera ben diversa dai grandi lavori del passato decisi d’accordo con classi dirigenti locali in un clima di corruzione. Un massiccio programma di infrastrutture continentali, dalla viabilità alle comunicazioni, alle risorse idriche darebbe fiato non solo alle economie africane ma anche a quelle europee, forse sull’orlo di una stagnazione secolare.
Naturalmente ciò non toglie che si debba regolare, a livello europeo, l’afflusso dei migranti, con l’applicazione delle «nostre» regole al posto di quelle degli scafisti e con la condivisione del carico tra i Paesi membri. Il sistema europeo è in grado di regolare efficacemente e in maniera unitaria l’afflusso delle merci dal resto del mondo. Se non riuscisse a regolare con analoga uniformità ed efficacia anche l’afflusso delle persone, vorrebbe dire che c’è qualcosa di gravemente fuori posto nei principi dell’Europa e nella loro applicazione. Ad affondare in mezzo al Mediterraneo, al posto dei barconi, sarebbe allora la navicella Europa.