giovedì 16 aprile 2015

La Stampa 16.4.15
Dalla Sicilia al Sud America da Garibaldi a Che Guevara
Beatrice Mortillaro racconta in un libro la sua epopea famigliare: un cugino a Cuba con i barbudos di Fidel, un altro cugino desaparecido in Argentina
di Laura Anello


È un’epopea alla García Márquez, con tanto di albero genealogico per seguire quattro generazioni che attraversano un secolo. È la Grande Storia raccontata dall’ultima testimone - ormai novantenne - di una famiglia siciliana emigrata in Argentina che ha incrociato sulla sua strada leader come Garibaldi e Che Guevara. Lei si chiama Beatrice Mortillaro, protagonista di mezzo secolo di battaglie civili e antimafiose a Palermo, dal Comitato dei lenzuoli ai pionieristici tentativi di riscatto del quartiere Zen. Il libro che ha scritto – appena pubblicato dall’editore Navarra e intitolato proprio Da Garibaldi a Che Guevara – è una saga familiare sorprendente, partorita dopo vent’anni di ricerche negli archivi siciliani, di Buenos Aires e di Cuba.
Un affresco dal vero in cui protagonisti come il Che e Fidel Castro vengono raccontati con il tono affettuoso di chi li ha seguiti da vicino, mentre intorno a loro si muove un mondo di personaggi dimenticati sulle cui gambe la Storia ha camminato. Dai profumi della Sicilia di fine Ottocento – agrumi e polvere da sparo – alla dolcezza dello zucchero di Cuba, dal terrore delle dittature sudamericane agli amori intrecciati di passione civile, il racconto si snoda svelando glorie, segreti, dolori familiari e collettivi.
La Revolución
Protagonista silente è Ariel Mortillaro, il cugino desaparecido della scrittrice, motore immobile della vicenda. È leggendo un trafiletto con l’elenco degli «scomparsi» italiani nel pozzo nero argentino che Beatrice scorge quello del giovane che porta il suo stesso nome. Da lì avvia una ricerca febbrile sui lontani parenti di Buenos Aires, i discendenti dello zio Filippo emigrato all’altro capo del mondo nella metà del Novecento. La ricerca la porta a imbattersi in personaggi straordinari che hanno intrecciato le loro vite con quelle dei protagonisti della rivoluzione cubana. Riemerge dall’oblio la figura del cugino Gaspar Mortillaro, figlio di Filippo e padre del desaparecido Ariel.
La scrittrice scova la fotografia che lo ritrae accanto al Che. Scopre che erano amici. Ricostruisce la sua biografia di coraggioso giornalista e scrittore che ha fatto la storia della rivoluzione culturale. Professore di filosofia nell’Università cubana, segretario generale del prestigioso Istituto intitolato a Julio Mella, uno dei fondatori del partito comunista dell’isola. A ritroso, ne segue i passi nell’Argentina che precipita dal populismo peronista alla feroce dittatura di Jorge Videla, in un magma di fughe, esili speranze.
Incontra la figlia di Gaspar, Freya, che la rivoluzione ce l’ha nel sangue (il padre fece ricorso alla Corte suprema di Giustizia per chiamarla così, come la dea dell’amore norrena, ma quella scelta fu bandita da tutto il territorio nazionale e lei restò legalmente senza nome), preziosa testimone di quegli anni. È lei a raccontare dei sette mesi di prigione del padre, punito per una rivelazione scomoda sul colpo di Stato in Guatemala del 1954 e sul successivo rimpatrio degli esuli argentini voluto da Peròn. Aveva svelato che i rifugiati imbarcati nei sette aerei di Stato verso l’ambasciata in realtà erano finiti dritti in prigione. Che Guevara non si era fidato.
La dea nordica
È Freya a raccontare, con la freschezza del ricordo diretto, l’aria che si respirava a Cuba dopo la rivoluzione, l’entusiasmo dopo la fallita invasione americana della Baia dei Porci, con tutto il popolo che accoglieva i reduci vittoriosi da Playa Giròn. «Cuba era una festa. I barbudos, i guerriglieri della montagna, erano ammirati al loro passaggio nelle strade. Quando salivano sulle guagnas, i mezzi di trasporto pubblico, gli uomini cedevano loro il posto. Si cominciò a usare il termine “compagno” anche tra i cittadini. Tutti erano compagni. Fidel, Camilo Cienfuegos, il Che, spiegavamo costantemente al popolo le difficoltà e i loro progetti. Fidel a volte teneva conferenze che duravano ore. Era sempre molto didascalico. Ricordo un momento in cui Fidel chiese al suo compagno: Vado bene Camilo?». Ricostruisce le prime battaglie politiche seguite passo passo dal padre Gaspar, «Cuba, territorio libero di America», «Cuba, territorio libero dall’analfabetismo», «Cuba, territorio libero dalla poliomielite».
Gaspar scompare nel giugno del 1966, a 65 anni, un anno prima del Che, che morirà il 9 ottobre del 1967 in Bolivia, nel tentativo disperato di organizzare anche lì la rivoluzione. Ma la cugina-scrittrice non si ferma a lui. Abbraccia cugini perduti, intervista vicini di casa, si arrampica con i suoi capelli bianchi per le strette strade dei vecchi quartieri di Cuba. L’ultima porta che apre è quella che la conduce verso la verità e il dolore.
Desaparecido
È la porta della casa di Carmen, la compagna di Ariel, il desaparecido, mamma di una bambina, Ariela. «Era il 21 maggio del 1977 – racconta Carmen alla cugina siciliana – arrivarono alle due di notte. Dormivamo nella stanza di sopra e Ariela nella stanza accanto, aveva un anno. Colpirono la porta al piano di sotto ma ruppero la serratura bloccandola, non riuscivano ad entrare. Iniziarono a urlare di aprire. Ariel diceva: aspettate perché la porta è bloccata. Allora salirono da dietro, entrarono dal terrazzo del tetto, erano in dieci. Afferrarono Ariel, gli presero l’orologio e il marsupio coi soldi, poi gli permisero di salutare me e la bambina che avevo stretta in braccio. Piangevamo. Io scappai subito via con la bambina in braccio. Loro poi tornarono a casa e vi stettero per più di quindici giorni, ruppero tutto, mangiavano e dormivano usando le nostre cose».
Ariel è uno dei 30 mila desaparecidos del Sudamerica, oppositori torturati e gettati di notte dagli aerei nel Rio de la Plata o nell’Oceano. Beatrice Mortillaro così è arrivata al traguardo: la storia finisce da dove è partita, come un testamento esistenziale e civile. Ha chiuso il cerchio. Con la consapevolezza che soltanto la memoria consola. Soltanto la scrittura, il ricordo, il non dimenticare.
Nell’Avana rossa Il cugino Gaspar Mortillaro, figlio di Filippo e padre del desaparecido Ariel, insieme con Ernesto Che Guevara a Cuba. Gaspar era professore di filosofia all’Università e segretario dell’Istituto «Julio Mella»