domenica 12 aprile 2015

Il Sole Domenica 12.4.15
Lecaldano e l’etica con e senza Dio
di Armando Massarenti


Senza Dio, il titolo dell’ultimo libro di Eugenio Lecaldano pubblicato da Il Mulino, non ha nulla di provocatorio. È la semplice traduzione della parola greca che sta per “ateo”. E, come nota Lecaldano nell’introduzione, poiché oggi le aperture da parte di Papa Francesco (e iniziative come il Cortile dei gentili, promossa dal nostro illustre collaboratore, il cardinale Gianfranco Ravasi), hanno contribuito a stemperare la tendenza di molti credenti a demonizzare i “senza Dio”, forse è il momento di insistere per eliminare molte forme di discriminazione ancora presenti nella società e, quel che è più grave, nelle istituzioni.
Lecaldano, con il suo stile chiaro e analitico, presenta un excursus prezioso della storia dell’ateismo, dall’antichità ai giorni nostri. Tra i molti risvolti che il tema comporta, quello più importante per il dibattito pubblico riguarda la presunta, congenita immoralità di chi non trova necessario ancorare l’etica alla religione. Si tratta, ancor più che di un pregiudizio, di bassa, spesso subdola, insinuazione. È invece proprio mettendo tra parentesi l’esistenza o meno di un Dio o di un’autorità esterna che ci si possono chiarire le idee relativamente alla morale e alle nostre responsabilità verso noi stessi e i nostri simili. Lo aveva ben compreso Platone quando si chiedeva, con Socrate, se amiamo gli dèi perché essi mostrano di essere virtuosi, buoni o santi, oppure li consideriamo buoni, virtuosi o santi solo perché essi sono dèi. La sua risposta era molto chiara. L’etica viene prima della religione e ci permette di giudicare autonomamente anche la bontà (o la malvagità) delle divinità.
Lecaldano ci ricorda, seguendo la lezione di Bernard Williams, che «l’area nella quale maggiormente si sviluppava l’approfondimento della condotta morale era quella dei poemi omerici e della tragedia. In questi contesti possiamo trovare un’elaborazione rivolta a individuare lo spazio della responsabilità morale che nel mondo greco doveva essere guadagnato non tanto nei confronti dell’ingerenza degli dei, quanto dell’onnipresenza del fato. Così nelle tragedie troviamo diffusa la consapevolezza dell’insanabile drammaticità delle alternative morali che sembrano presentarsi (si pensi al caso di Edipo) anche al di là della responsabilità individuale, oppure che segnano (si pensi al caso di Antigone) una tensione irresolubile tra quella che è la legge voluta da un re e la coerenza di chi vuole farsi guidare dalla coscienza individuale. La presenza del coro nelle tragedie greche – solitamente considerata come una manifestazione dei dubbi degli esseri umani e delle divinità – rende evidente come le divinità siano del tutto incapaci di aiutare gli esseri umani a risolvere in modo soddisfacente i dilemmi morali e come anch’esse sembrino sottomesse al fato».
Oggi come allora la vita morale è complicata e piena di dilemmi e di conflitti. E questo vale per tutti: per i “con” Dio come per i “senza”.