mercoledì 15 aprile 2015

Repubblica 15.4.15
“Ho visto annegare tra le onde anche decine di bambini mentre il barcone affondava”
di Alessandra Ziniti

 

UN GIORNO e una notte in mare, in 550, ammassati uno sull’altro, nel vecchio barcone che ondeggiava paurosamente ad ogni minimo movimento. Le donne stringevano al seno i neonati e per mano i bambini. «Ce n’erano tantissimi», dice in lacrime una ragazza appena sbarcata a Reggio Calabria dalla nave Orione che l’ha raccolta insieme a circa 150 dei suoi compagni di viaggio. «Ma eravamo molti ma molti di più. Su quella barca ci hanno fatto salire in 550 e quasi nessuno sapeva nuotare. Quando hanno visto arrivare i soccorsi hanno cominciato ad agitarsi, gridavamo di stare fermi ma la gente era disperata, senza acqua, senza cibo. La barca si è rovesciata non c’è stato scampo. Ho visto bambini scomparire tra le onde, madri annegare nel tentativo di salvarli ». Sono testimonianze atroci quelle raccolte dagli investigatori della squadra mobile di Reggio Calabria e dagli operatori di Save the Children, testimonianze che — se confermate — racconterebbero la più grave strage del mare, persino peggiore dei due naufragi di Lampedusa di ottobre 2013.
I volontari dell’organizzazione che da tempo rilancia l’allarme sulle migliaia di minori non accompagnati che affrontano i viaggi nel Canale di Sicilia confermano: «I superstiti ci hanno raccontato di 400 morti annegati, dispersi in acqua al momento del naufragio al largo delle coste libiche. E tra loro ci sarebbero moltissimi ragazzi bambini — dice Carlotta Bellini — . Impossibile per loro salvarsi quando l’imbarcazione si è rovesciata. È una situazione gravissima”.
Sono racconti dell’orrore quelli dei sopravvissuti di quest’ennesima strage, avvenuta domenica mattina mentre — come purtroppo spesso accade — il peschereccio era stato avvistato da un mercantile. «Quelli che stavano sotto premevano per uscire, in tanti hanno cominciato a sbracciarsi per richiamare l’attenzione della nave e la barca ha cominciato a inclinarsi. A quel punto hanno iniziato a muoversi tutti per cercare di non cadere in mare e l’imbarcazione si è sbilanciata, imbarcava acqua, si è ribaltata in pochi istanti», racconta un altro giovane sopravvissuto. Il naufragio sarebbe avvenuto a poca distanza dal mercantile che era stato dirottato sul posto in cui era stata segnalata la presenza dell’imbarcazione instabile sotto quel carico disumano di migranti. E nel giro di pochi minuti il mare si è trasformato in una distesa di braccia levate a chiedere aiuto, disperati che si aggrappavano gli uni agli altri, e si contendevano qualsiasi oggetto galleggiante. E poi, purtroppo, anche di corpi senza vita. Sette quelli recuperati e poi sbarcati a Trapani. E ora a Reggio c’è anche chi cerca disperatamente sorelle, fratelli, figli, genitori.
Sono racconti, quelli dei sopravvissuti, che — oltre al dramma del naufragio — aprono squarci drammatici sulle torture che i profughi sono costretti a subire nei mesi di prigionia in Libia prima di affrontare il mare.
«Nei pressi di Tripoli abbiamo vissuto per 4 mesi in una vecchia fabbrica di sardine. Eravamo più di 1.000 persone. Mangiavamo una sola volta al giorno e non potevamo fare nulla. Se qualcuno parlava con un amico o un vicino, veniva picchiato. Tutto questo per estorcere altri soldi. Ti facevano chiamare a casa, dicendo che stavi per morire, e nel frattempo ti picchiavano così i tuoi familiari sentivano le tue urla», racconta Bherane, di 17 anni. È un ragazzo dell’Africa subsahariana come gli altri sopravvissuti che la scorsa notte, ancora sotto shock per il naufragio, sulla nave Orione hanno alternato preghiere di ringraziamento per la nascita di una neonata partorita da una giovane eritrea alle lacrime per la morte di una loro compagna di viaggio, anche lei incinta che non ce l’ha fatta a sopravvivere.
Tra i profughi che ce l’hanno fatta sono molti, ancora una volta i minori non accompagnati: solo nello scorso weekend 317 dei circa 450 bambini sbarcati tra Sicilia, Calabria e Puglia erano da soli.
«Molti di loro hanno vissuto esperienze atroci di violenza subita e assistita, e hanno perso amici, parenti o i genitori, anche negli ultimi naufragi — dice Valerio Neri direttore generale di Save the Children — . Secondo i racconti, la situazione in Libia è sempre più fuori controllo, e inaudita la violenza anche per le strade».