Corriere La Lettura 19.4.15
Quanto viaggiavano nel Medioevo
Mercanti, pellegrini e soldati facevano testamento e poi attraversavano il Mediterraneo In cerca di commerci, reliquie e «infedeli» da convertire. Tra gli altri c’era Francesco d’Assisi
di Arturo Carlo Quintavalle
Quanto viaggiavano nel Medioevo
Mercanti, pellegrini e soldati facevano testamento e poi attraversavano il Mediterraneo In cerca di commerci, reliquie e «infedeli» da convertire. Tra gli altri c’era Francesco d’Assisi
di Arturo Carlo Quintavalle
Certo che viaggiavano nel Medioevo: magari i religiosi, i mercanti, i principi e i feudatari, ma viaggiavano davvero, e molto. Alla terra erano legati i servi, quelli che nei documenti di vendita dei terreni venivano indicati come «fuochi», un luogo, una casa, un fuoco appunto, dunque una famiglia. Così viaggiavano sempre — gli altri — per terra o per mare. Il viaggio di terra è difficile: corsi d’acqua senza argini; antiche strade romane, di pietra, che diventano strade di terra; pianure allagate da fiumi e torrenti a primavera e in autunno; coltivi che si rifugiano a mezza costa; foreste nelle zone più alte e paludi nel piano.
Ecco dunque il paesaggio del viaggio medievale, a cavallo, su un carro, a piedi, del quale dobbiamo scoprire i mezzi, gli strumenti e gli attori, quelli che ci suggeriscono due mostre fiorentine, raffinate, dense e intriganti. Da una parte quella del Bargello, associato ai massimi musei medievali europei, sui mezzi e il senso del viaggio medievale; dall’altra quella dell’Accademia, puntata su San Francesco, che propone un nuovo modo di essere cristiani ma anche un diverso senso del viaggio.
Viaggi per terra, certo, ma più facilmente per mare, ed ecco dunque le navi a vela del Medioevo, lunghe una trentina di metri, dotate di ponti, che portano anche 3-400 tonnellate di merci e possono navigare distanti dalle coste grazie all’astrolabio, uno strumento creato dagli arabi ma diffuso nell’XI secolo in Occidente. Il Mediterraneo è il luogo del viaggio ma, dall’invasione araba in avanti, dunque dal VII secolo, è l’islam che domina le rotte, limitando il peso dell’Impero bizantino, fino a quando le repubbliche marinare — Pisa e Amalfi, poi Genova e Venezia — guideranno una trasformazione completa del mercato che si collegherà anche alle Crociate in Terra Santa, parallele alla progressiva cacciata degli arabi dalla Spagna.
I confini fra le due civiltà, cristiana e islamica, sono oggi ancora quelli del Medioevo. Ma, nel Medioevo, si viaggia anche per visitare i luoghi simbolici, le memorie del Cristo e quelle dei santi (se possibile traendone reliquie, a cominciare da quelle della croce fin dal tempo di Sant’Elena, madre di Costantino). Ci sono corpi santi che viaggiano per mare miracolosamente e arrivano in Occidente, come San Giacomo a Compostela, oppure corpi santi che vengono rapiti come quello di San Marco portato da Alessandria d’Egitto a Venezia (828), o ancora come la corona di spine di Cristo portata da Luigi IX a Parigi dove per lei si edifica la Sainte-Chapelle.
L’Occidente poi si popola di imitazioni del sepolcro di Cristo, edifici a pianta centrale che, come il Santo Stefano a Bologna, replicano quel luogo tanto difficile da visitare sotto il dominio dell’islam. Il pellegrino, il nobile, il mercante, il crociato, vogliono riportare certo corpi interi di santi, ma si contentano anche di poco, di qualche frammento di osso, o di una scheggia della vera croce celata in un reliquario, oppure di una eulogia, l’ampolla con l’olio avanzato da lampade che hanno bruciato accanto a una sacra reliquia. Quando tornano, i pellegrini portano i segni del loro viaggio: la conchiglia di Compostela (che è poi quella ripresa come marchio dalla Shell), l’immagine di Pietro e di Paolo o la Veronica, cioè il volto del Cristo impresso su un velo, sempre segno del pellegrinaggio a Roma.
Si parte per il viaggio, che si sia mercante o pellegrino o crociato, facendo testamento, si rischiano attacchi di pirati, tempeste, malattie; i viaggi a Oriente durano anche due anni; ci si incammina salutando la sposa, come in una scultura del XII secolo a Nancy.
Certo il viaggio diventa il simbolo di una nuova storia e anche di una possibile conversione del mondo islamico, quella che Francesco prefigura trasformando di segno, almeno in potenza, la Crociata che partiva dall’idea di eliminare gli infedeli. Francesco vuole il dialogo e nel 1219-1220 è a San Giovanni d’Acri, visita i luoghi santi e, racconta il suo primo biografo, Tommaso da Celano «mentre infuriavano aspre battaglie fra cristiani e pagani, preso con sé un compagno non esitò a presentarsi al cospetto del sultano». Dunque Francesco intuisce le nuove dimensioni di una conversione dell’islam forse comprendendo la crescente difficoltà dell’occupazione della Terra Santa da parte dei cristiani.
Nella grande mostra dell’Accademia scopriamo il formarsi della immagine di Francesco, segno del suo proporsi al mondo. Ecco come Tommaso da Celano (1228) descrive i seguaci di Francesco: «Erano contenti di una sola tonaca, talvolta rammendata dentro e fuori, tanto povera e senza ricercatezze da apparire in quella veste dei veri crocifissi per il mondo, e la stringevano ai fianchi con una corda, e portavano rozzi calzoni».
Ma quale era l’aspetto di Francesco? La descrizione del biografo è importante: «Di statura piuttosto piccola, testa regolare e rotonda, volto un po’ ovale e proteso, fronte piana e piccola, occhi neri, di misura normale e tutto semplicità, capelli pure oscuri, sopracciglia dritte ma piccole, tempie piane, lingua mite, bruciante e penetrante, voce robusta, dolce, chiara e sonora, denti uniti uguali e bianchi, labbra piccole e sottili, barba nera e rara, spalle dritte, mani scarne, dita lunghe, unghie sporgenti, gambe snelle, piedi piccoli, pelle delicata, magro, veste ruvida, sonno brevissimo, mano generosissima». La descrizione è indispensabile per capire la trasformazione dell’immagine del santo nell’arco di poco più di sessant’anni, quelli che separano la sua morte, nel 1226, dagli affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi, dove i lebbrosi, i poveri, i deformi sono scomparsi e l’immagine del santo è sublimata (Jacques Le Goff, Chiara Frugoni).
Voleva questo la nuova ufficiale Vita del Santo scritta da Bonaventura da Bagnoregio e imposta nel 1266 facendo distruggere tutte le precedenti. Ebbene, nella mostra dell’Accademia, scopriamo proprio la trasformazione dell’immagine di Francesco che nel corso del XIII secolo, appunto prima di Giotto, è quella di un povero fra i poveri, per lui dunque non è stata ancora fissata una borghese dignità di abiti e gesti. Ecco dunque il tagliente Francesco di Giunta di Capitino (1230-1235), quello concentrato di Coppo di Marcovaldo (1245-1250), il Francesco dialogante di Margarito d’Arezzo (1262), l’intenso Francesco di Cimabue (1280), il patetico Francesco della stimmate nel codice di Bologna (1280-1290).
Dopo verrà la normalizzazione, il pacato, sublime Francesco di Giotto, costruito nei gesti e nelle espressioni. Eppure proprio quei poverelli, quei francescani continueranno, spesso rischiando il martirio, i viaggi a Oriente, a cominciare da Giovanni da Pian del Carpine che, fra 1245 e 1247, visita il Gran Khan dei Mongoli. Certo non a caso la mostra dell’Accademia è dedicata a Papa Francesco. Viaggiare per convertire? Forse. Certo per conoscere. Abbiamo un grande debito con questi esploratori francescani del mondo.