giovedì 9 aprile 2015

Corriere 9.4.15
La sfida di Banhofer al nazismo


Era il dicembre del 1931. Un giovane libero docente evangelico, parroco degli studenti della scuola tecnica di Berlino, avido lettore del volume dalla copertina violetta di Otto Dibelius, Il secolo della Chiesa , va ad ascoltare una lezione dell’ammirato teologo, sovrintendente generale della Chiesa luterana a Berlino. E racconta ad Erwin Sutz la scena esilarante che gli si palesa: «Dibelius ci ha edotto in una conferenza sul fatto che la Chiesa ha 2.500 studenti di troppo, e che perciò ai teologi si potranno avanzare richieste particolari, tra le quali in primo luogo la disponibilità al martirio, in una lotta in cui sarebbero intrecciati ideali politici e religiosi! (...). Gli ascoltatori scalpitavano come pazzi: viva la “Chiesa violetta”».
L’ascoltatore acuto e graffiante di quella infantile tracotanza era Dietrich Bonhoeffer: giovane teologo di alto lignaggio accademico (il bisnonno era lo storico della Chiesa Karl August von Hase, chiamato da Goethe a Jena, il nonno era il predicatore di corte Karl Alfred), la cui figura e la cui opera segnano un prima e un dopo della storia del cristianesimo.
Bonhoeffer non è un uomo costretto a vivere sotto il nazismo: avrebbe potuto restare negli Stati Uniti o a Londra, dove lo aveva portato il suo lavoro di teologo e dove sognò un concilio di tutte le Chiese per annunciare la pace di Cristo al mondo in delirio. Tornato in patria lavora nel seminario clandestino della Chiesa confessante, nella quale era entrato anche Dibelius: e accetta di entrare nel controspionaggio tedesco, posizione essenziale per una azione di resistenza che mirava ad uccidere Hitler. Arrestato il 5 aprile del 1943, si rese conto, dopo il fallimento del complotto di Canaris, di essere senza scampo e dalla prigione di Tegel scrisse, in forma di pensieri, lettere e poesie, testi che compivano il percorso teologico iniziato con la tesi sulla Communio sanctorum nel 1927 e proseguito nei corsi (quello del 1932 esce in italiano, il 22 aprile, col titolo Tra Dio e il mondo da Castelvecchi editore, traduzione di Nicola Zippel, pp. 64, e 9).
Così in quella serie di testi che verrà raccolta col titolo Resistenza e resa , Bonhoeffer, segna uno stacco nel modo di pensare Dio con una «fede concreta». Attorno a questo interrogativo della responsabilità si dipanerà la sua vita di prigioniero fino al 9 aprile 1945, quando, in una Germania ormai sconfitta, Bonhoeffer viene portato al castello di Flossenburg, sottoposto a un processo rocambolesco per salvare le forme e impiccato, poco prima dell’arrivo degli Alleati.
Bonhoeffer non vive questo tragitto con l’animo febbricitante degli scalpitanti esaltati della «Chiesa violetta», ma con la dolorosa tenerezza di chi ha visto la duplice «sostituzione vicaria» della Chiesa e del m ond o, collocati l’una là dove dovrebbe stare l’altro, in uno spostamento nel quale il Cristo si rivela tale «per il mondo» e non «per se stesso».
Lo aveva già scritto in una predica del 1932: «È mai possibile che il cristianesimo, iniziato in modo così rivoluzionario, ora sia per sempre conservatore? (...) Se è davvero così, non dobbiamo meravigliarci che anche per la nostra Chiesa torni il tempo in cui sarà richiesto il sangue dei martiri. Ma questo sangue, ammesso che ne abbiamo ancora il coraggio, l’onore e la fedeltà di versarlo, non sarà così innocente e luminoso come quello dei primi testimoni. Sul nostro sangue ci sarà il peso di una nostra grande colpa: la colpa del servo inetto, che viene buttato fuori nelle tenebre». Ma nel riconoscersi così scopre la grazia a caro prezzo. E al tempo stesso scopre che solo « il Christus intercedens ci rende certi della grazia di Dio».