martedì 28 aprile 2015

Corriere 28.4.15
La nuova mappa dei talenti mondiali Nel 2030 verranno da Cina e India
La corsa dell’Asia. I rettori: «Spinta dalla demografia, ma l’eccellenza è ancora qui»
di Agostino Gramigna


Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) non c’è da preoccuparsi per il livello dei laureati nel mondo, in crescita costante. E l’espansione «dell’economia della conoscenza» assorbirà tutti i talenti. Intanto però, sempre l’Ocse, c’informa che nel 2030 Cina e India avranno in due il cinquanta per cento dei talenti mondiali. E che l’asse, Usa-Europa-Giappone, sta perdendo il monopolio dei laureati.
Le proiezioni della classifica (l’Italia è molto indietro) si basano su dati che certificano una rivoluzione già in atto: nel 2000, nei cosiddetti «Paesi sviluppati» c’erano 51 milioni di laureati nella fascia d’età dai 25 ai 34 anni. Nei Paesi del G20 non appartenenti all’Ocse, ovvero il blocco di nazioni in via di sviluppo costituitosi nel 2003 (da non confondere con il G20 dei Paesi industrializzati creato nel 1999) il loro numero era soltanto di 39 milioni. Nell’ultimo decennio questo divario è quasi scomparso: 66 milioni dell’Ocse contro i 64 milioni del G20. Se questo trend dovesse continuare, il numero di 25-34enni con titolo universitario in Paesi come Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Russia, Arabia Saudita e Sudafrica supererà di quasi il 40% i coetanei dei Paesi europei e americani. Ecco perché il pool mondiale dei talenti già nel 2020 non sarà più concentrato negli Usa, Giappone ed Europa. C’è da preoccuparsi?
Per Stefano Caselli, Prorettore all’internazionalizzazione della Bocconi, lo scenario non è allarmante. Il caso di India e Cina si spiega con demografia e Pil. «Hanno spinto su crescita economica e investimenti in cultura. Il dato demografico poi fa sì che lì la selezione sia durissima: questo forma talenti». Cita il caso di una studentesse indiana che lamentava di avere un curriculum non esaltante. «Era arrivata quinta in una gara di matematica con 500 mila concorrenti». Malgrado non sia difficile immaginare le conseguenze di questa rivoluzione, Caselli è convinto che le eccellenze accademiche in Europa e negli Usa siano tante. «Nella classifica dei 30 atenei migliori al mondo, di cinesi e indiani ce ne sono pochi».
L’Università di Padova è stata fondata nel 1222. Il rettore, Giuseppe Zaccaria, ricorda che già ottocento anni fa era un ateneo internazionale: «Da tutta Europa volevano venire a studiare a Padova. Siamo abituati alla concorrenza. Detto questo non basta più contare su tradizione e storia. Di recente firmato abbiamo firmato un accordo a Shanghai per lo scambio di ricercatori. Ma solo di eccellenza. Fino a qualche anno fa si puntava al cinese, qualunque fosse, tanto per dire di essere internazionali». Per molti, è solo una questione di tempo prima che Cina ed India raggiungano il livello accademico europeo o americano. L’evoluzione però non allarma Caselli: «L’Occidente non è ferma: la risposta è già nella maggiore integrazione universitaria tra management e tecnologia».
Anche il rettore di un’altra Università milanese (Bicocca), Cristina Messa, è convita che in Italia non manchino atenei e laureati di eccellenza. «Il problema è che non si coltivano i tanti talenti nascosti».
La classifica Ocse resta però un campanello d’allarme. Ne è convinto Zaccaria: «Sorrido se penso che cinque anni fa una Fondazione di banche aveva deciso di dare borse di studio a ricercatori stranieri. E sa cosa ci dicevano alla Fondazione? Non prendete da Cina e India, sono Paesi poco sviluppati. Non è il caso di fare assistenzialismo».