Corriere 23.4.15
Lite sul sindaco (e sulla Festa) Bologna vetrina del caos dem
Il «mediano» Merola emblema dello scollamento centro-periferia
di Dario Di Vico
Di questo passo Virginio Merola riuscirà nell’impresa di aver contro sia i renziani ortodossi sia gli orfani della Ditta. È chiaro a tutti che il sindaco di Bologna non ha le caratteristiche del leader capace di trascinare le folle ma, come è stato scritto, appartiene alla categoria dei mediani. Ai quali è difficile chiedere un lancio illuminante di 40 metri. Il guaio per lui però è che complessivamente i rapporti tra centro e periferia nella politica italiana si stanno slabbrando e questa dinamica non aiuta le amministrazioni in carica. E Bologna non fa più eccezione. Tra un anno si vota per rinnovare il sindaco e la sinistra dem bolognese è partita alla carica chiedendo discontinuità, i renziani non si sono schierati a difesa di Merola e hanno preso tempo e così paradossalmente l’unica voce che in città ha chiesto continuità è stata quella del presidente degli industriali, Alberto Vacchi. Il disagio di Merola è dovuto a più fattori e il primo attiene indubbiamente al suo stile di direzione giudicato ondivago. L’accusa più velenosa suona così: Virginio è uno Zelig, si lascia convincere dall’ultimo con cui parla. E il caso più recente, quello della privatizzazione della multiutility Hera sembra dare ragione a queste critiche. La quota posseduta dai Comuni emiliano-romagnoli dovrebbe passare dal 51 al 38% senza per altro inficiare il controllo pubblico, la Cgil però ha indetto uno sciopero di 8 ore per contrastare quest’operazione e Merola ha fatto da sponda annunciando che il Comune di Bologna non ridurrà la sua quota. Così facendo non ha evitato lo sciopero ma si è fatto smentire prima dalla sua vice-sindaco Silvia Giannini e poi dai tecnici comunali che hanno sostenuto come i soldi che potrebbero derivare dalla vendita delle azioni Hera all’amministrazione servirebbero, eccome.
L’aneddotica sulle giravolte di Merola è ampia, sarebbe però ingeneroso concentrarsi solo su di esse. Il problema non è solo il sindaco in quanto tale ma la qualità del personale politico della sinistra bolognese tanto è vero che anche i suoi critici più severi faticano ad indicare con sicurezza un candidato alternativo e sicuramente talentuoso. Il guaio, dunque, è che il Pd petroniano rischia di assomigliare sempre di più a una paludosa Dc degli anni ’10, un partito-galassia che stenta a individuare una sua linea di condotta e in cui i veti incrociati diventano il lessico prevalente. Il renzismo formalmente ha vinto in città e la defenestrazione della vecchia guardia bersaniana dal programma della Festa dell’Unità inaugurata ieri sera ne è la dimostrazione più feroce. Eppure nelle posizioni-chiave del partito ci sono ancora uomini che vengono da lontano e che non sono riusciti a dotarsi, giusto o sbagliato che sia, di un alfabeto politico diverso. La vicenda di San Lazzaro di Savena dove la giovane sindaco (renziana) Isabella Conti ha azzerato il piano di costruzione di una new town, causando danni significativi ai bilanci delle Coop rosse, e poi ha denunciato alla magistratura presunte minacce da parte di professionisti vicini al partito, segnala l’insofferenza dei nuovi quadri del Pd verso il tradizionale collateralismo. Del resto le coop a Bologna e dintorni hanno una presenza ramificata e sono molte le decisioni amministrative che hanno pesanti ricadute sul loro business, da qui tensioni e contrapposizioni che per ora hanno riguardato il mattone ma che domani potranno investire i servizi sociali. E non solo, visto che proprio il nome della Conti gira come possibile successore di Merola.
La verità è che Bologna tutta avrebbe bisogno di un’iniezione di sana concorrenza e la mancanza di un centro-destra capace di avanzare candidature credibili accentua i vizi del monopolio e scarica tutti i conflitti all’interno del partito-padrone. Producendo un malessere che cova ma non esplode per due semplici motivi: perché accanto a una cultura amministrativa fortemente procedurale ci sono anche tante buone pratiche e perché l’economia reale sta tenendo. Sette anni di Grande Crisi e un terremoto non hanno piegato il modello emiliano che, anzi, sembra tra quelli maggiormente in grado di intercettare la ripresa e le multinazionali, che quando scelgono di investire in Italia riservano un occhio di riguardo per l’Emilia (mentre snobbano il Veneto). Anche l’economia reale, però, ha le sue esigenze e le titubanze di Merola sul Passante Nord, la bretella che dovrebbe servire a liberare la tangenziale e ridurre gli ingorghi, non sono piaciute.