mercoledì 22 aprile 2015

Corriere 22.4.15
La visione della Chiesa primitiva tra senso del peccato e apocalisse
di Pietro Citati

Il Pastore di Erma , che viene pubblicato nella traduzione e con il commento di Manlio Simonetti ( Seguendo Gesù , volume II, a cura di Manlio Simonetti, Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori, pagine XVI-662, e 30), è uno dei testi più diffusi e conosciuti dell’antichità cristiana. Fu indirizzato ai fedeli di Roma, nella prima metà del II secolo, affinché conducessero una vita più cristiana; e poco mancò che venisse compreso nel canone delle Scritture ispirate. Il Pastore offre una prima curiosità: scritto così poco tempo dopo i Vangeli, immaginiamo che sia gremito di rinvii e allusioni all’Antico e al Nuovo Testamento. Invece i passi che riecheggiano i testi biblici sono pochissimi, come se Il Pastore avesse conosciuto una vita sotterranea, dimenticando i suoi modelli e i suoi fondamenti.
I grandi temi teologici sono due. Il primo è l’esaltazione di Dio creatore: «Il Dio delle potenze celesti, che con grande e indicibile forza e suprema intelligenza ha creato il mondo e con gloriosa volontà riveste di bellezza la sua creazione»; «Uno solo è il Dio che ha creato e ordinato tutte le cose, che le ha fatte passare dal non essere all’essere, che contiene tutte le cose, e non può essere contenuto». Più originale è il secondo tema: la preesistenza del Figlio di Dio alla propria creazione. Egli è insieme una roccia antichissima e una porta recente. «Il Figlio di Dio è nato prima di tutta la sua creazione, e riguardo a questa è stato consigliere del padre. Per questo la roccia è antica. La porta è recente perché solo alla fine degli ultimi giorni egli si è reso visibile». A differenza che nei Vangeli, il Figlio di Dio non porta né il nome di Gesù né quello di Cristo. Talvolta è una figura pallida: talvolta è il Messia atteso da Israele; o invece un angelo di autorità singolare.
Ciò che attrae e persuade del Pastore di Erma è la semplicità, l’innocenza, l’ingenuità del tono: quel discorrere ad ogni fedele di Erma con la parola dello stesso fedele, come se ognuno di essi scrivesse questa prosa fluida e persuasiva. Il timbro della voce di Erma si riflette nell’orecchio di chi ascolta e il riflesso di quei timbri commuove e incanta. Non c’è mai nulla di austero. Ciò che importa è la gioia con cui si prega il Figlio di Dio. «Rivestitevi di Gioia, che è sempre grata e bene accetta a Dio, e godete di lei». La tristezza è il peggiore e il più rovinoso tra tutti gli spiriti umani. L’uomo triste agisce sempre male. La sua preghiera non ha mai la forza di salire fino all’altare celeste, dove invece trionfa e folleggia la Gioia cristiana.
Prima che Erma scrivesse Il Pastore , è stato commesso un peccato, non sappiamo da chi e come: anzi sono stati commessi molti peccati. Tutto il libro è uno slancio prodigioso di pentimento, un appello a Dio e agli angeli, perché facciano rinascere l’innocenza nel cuore di Erma e di tutti i fedeli. «Per i servi di Dio una sola è la possibilità, pentirsi. Il fatto di pentirsi significa comprensione. Pentirsi è un atto di grande intelligenza». Bisogna volgersi a Dio, e al Figlio di Dio e chiedergli perdono senza esitare, senza dubbi, senza incertezze: il dubbio è la parte più cattiva e insensata della nostra anima; noi dobbiamo cancellarlo col soccorso della forza e dell’energia di Dio. Sul dubbio Erma scrive frasi e pagine bellissime: la semplicità del suo spirito è squisita e sottile, nata dalla più profonda maturazione.
Il pentimento è una condizione di pazienza. «Sii paziente e assennato. Se sarai paziente, lo spirito santo che dimora in te sarà puro… Il Signore sta dove c’è pazienza, mentre il diavolo sta dove c’è collera». «La pazienza è piena di forza e di efficacia, di solidità, di floridezza che si dilata largamente: è gioiosa, allegra, priva di preoccupazioni». Chi ha pazienza è anche puro: bisogna custodire incontaminata la nostra casa affinché lo Spirito che dimora in lei le renda testimonianza. «Sta’ attento che non ti venga mai in mente che questa tua carne è corruttibile: se contamini la tua carne, contamini anche lo Spirito Santo e non vivrai».
Il Pastore è un intreccio di visioni e di rivelazioni, che pullulano e sgorgano l’una dall’altra, si imitano, si copiano, senza esaurirsi e finire mai. Non si vede una visione: si entra in una condizione visiva, dove si abita costantemente. Mentre Erma si reca in campagna a glorificare le opere del Signore, camminando cade nel sonno. Uno spirito lo prende e lo porta attraverso un luogo impraticabile: un luogo disceso e dirupato a causa delle acque. Dopo aver attraversato questo corso d’acqua, Erma cade in ginocchio: prega il Signore e gli confessa i suoi peccati. Mentre prega, il cielo si apre: egli vede una donna (la Chiesa) che lo saluta. Egli la guarda e dice: «Signora, che fai qui?» Lei risponde sorridendo: «Sono stata trasportata in cielo per denunciare al Signore i tuoi peccati. Nel tuo cuore è entrata la concupiscenza. Non ti sembra che sia male per un uomo giusto se nel suo cuore entra la concupiscenza?». Quando la donna finisce di parlare, i cieli si rinchiudono ed Erma resta addolorato e tremante sul suolo della terra. Dice tra sé: «Come potrò salvarmi?» Intanto viene a lui una vecchia signora (di nuovo la Chiesa) con un libro nelle mani: si mette a sedere da sola e lo risaluta.
La nuova visione è apparentemente diversa: una grande torre edificata sulle acque con pietre squadrate e lucenti: non si vedono giunture; sembra che la torre sia stata costruita con una sola pietra levigata. La torre è, un’altra volta, la Chiesa. Le pietre squadrate bianche, che combaciano così bene tra loro, sono apostoli, episcopi, dottori e diaconi, che hanno vissuto secondo la santità della fede. «Sono sempre stati in accordo tra loro, in pace, e si sono prestati ascolto l’un l’altro. Per questo le connessioni — commenta Erma — combaciano così bene».
Poi Erma vede un olmo e una vite. Le due piante — egli riflette — si prestano soccorso. La vite è una pianta che porta frutto, mentre l’olmo è sterile: ma se la vite non si appoggia all’albero, non può produrre frutti perché cade a terra e il frutto si guasta. Quando viene il tempo secco, l’olmo, che trattiene l’umidità, nutre la vite, e questa, continuamente irrigata, produce molteplici frutti.
Infine il Pastore conduce il suo fedele in Arcadia, sopra un monte arrotondato: lo fa sedere sulla cima, gli mostra una pianura, attorno alla quale ci sono dodici monti. In mezzo alla pianura, gli fa vedere una grande roccia bianca quadrata, che sembra contenere in sé stessa tutto il mondo: è il Figlio di Dio. La roccia è antica, ma vi è stata aperta una porta: l’apertura sembra recente, come recente è l’incarnazione del Figlio di Dio.
Erma non è né un teologo né un poeta del male, per quanto siano incessanti le tentazioni che attraversano le sue visioni. Il diavolo non deve suscitare timore né in Erma né nei fedeli cristiani, perché è senza forza. «Non abbiate alcun timore per le minacce del diavolo — egli dice — perché egli è senza forza, con i nervi di un morto».
Erma ha appena finito di scrivere Il Pastore quando l’angelo di penitenza entra nella sua casa e si siede sul suo divano, accanto al Pastore. L’angelo chiama Erma e gli dice: «Ho affidato te e la tua casa a questo Pastore affinché ti protegga. Se vuoi essere protetto da ogni sorpresa e violenza, avere buon esito sia nel parlare sia nell’operare e praticare integralmente l’equità, osserva i precetti che egli ti ha dato e potrai vincere ogni malvagità. Se avrai osservato i suoi precetti, calpesterai ogni cupidigia e dolcezza di questo mondo e avrai felice esito in ogni opera futura. Adotta saggezza e modestia e di’ a tutti che egli gode di grande onore e dignità presso il Signore e di grande potenza nel suo ufficio. Solo a lui è stato dato il potere di invitare tutto il mondo alla penitenza».