martedì 21 aprile 2015

Corriere 21.4.15
Il dovere di agire per salvare i profughi
di Mauro Magatti


Questa volta la politica non può autoassolversi. Sono almeno dieci anni che i barconi solcano il Mediterraneo. E da settimane si sapeva dell’esistenza di condizioni adatte ad un afflusso straordinario di migranti. Il disastro era annunciato. E ciò nonostante nessuno ha mosso un dito. Per quanto sia incredibile, fino a domenica i vertici della Ue hanno continuato a ripetere che la questione non li riguardava. Anche i ripetuti appelli di papa Francesco sono caduti nel vuoto.
Chi è morto in mare ormai non potrà vedere restituita la propria vita. Per la loro sorte, l’Europa intera è colpevole di ignavia. Adesso, è per le decine di migliaia che premono sulle coste libiche che occorre agire. Oltre che per la nostra dignità.
È dovere umanitario salvare chi sta per annegare in mare. Ma, al punto in cui siamo, non si tratta più solo di questo. Non basta la generosità per affrontare la crisi. Occorre un’azione politica.
Ma la politica dov’è?
Sta dove ormai da troppo tempo si è ritirata: lontana dai fatti veri e troppo appresso agli umori della opinione pubblica. Non è ingeneroso dire che, in questi anni, i leader europei, nazionali e locali hanno trattato la questione nel modo in cui sono usi fare con qualunque altro problema: tema rilevante se e solo se ha effetti sul consenso (immediato). Così, le destre a cavalcare spudoratamente la paura e il fastidio dei tanti che si sentono minacciati da quanto sta accadendo. E la sinistra ad accontentarsi di dichiarazioni generose in tema di accoglienza e solidarietà, salvo poi nei fatti correre dietro alle destre per non perdere voti. Come è accaduto nei giorni scorsi con la rivolta dei candidati pd alle Regionali. Tutto secondo copione. Nella sostanza, una politica miope e impotente, incapace di prendere l’iniziativa anticipando i problemi così da evitare le conseguenze peggiori. Senza capire che la ricerca del consenso a breve termine finisce per essere la causa della inazione e, per questa via, della perdita di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni: dato che non risolve i problemi, che ce ne facciamo della politica, del governo, della Ue?
Da 48 ore la politica europea sembra avere avuto un sussulto. Prendiamolo per buono. Anche se è difficile scacciare il sospetto è che, passata l’emozione, tutto torni come prima; con i veti incrociati tra destra e sinistra e tra Paesi del Sud e del Nord Europa.
È chiaro però che, di fronte al quadro che si è creato (oltre ai rivolgimenti che investono vaste aree del mondo islamico, lo spappolamento di interi Paesi: in primis, la Siria e la Libia), senza una assunzione di responsabilità politica, nazionale e internazionale, si rimarrà incastrati nel dilemma inaccettabile tra buttare a mare i profughi o aprire indiscriminatamente l’accoglienza. Dove tutti perdono: i migranti che muoiono e le democrazie che si consumano.
Nel dibattito che vedrà impegnate le istituzioni europee nei prossimi giorni è bene fissare alcuni paletti.
In primo luogo, l’emergenza va gestita in rapporto alla strategia di medio termine che si vuole perseguire. Non si dimentichi che affrontare la questione dei migranti vuol dire decidere le basi del nostro futuro. È da questa vicenda che passa la chiave dei rapporti che avremo con il Nord Africa, il Medio Oriente e l’Islam moderato. Perché quello che l’Europa sarà nella mente dei popoli islamici — e viceversa — dipenderà dall’intelligenza con cui sapremo affrontare le questioni che si nascondono dietro i tanti volti spaventati dei barconi.
In secondo luogo, al punto in cui siamo, occorre decidersi ad intervenire sia sulle coste libiche sia negli scenari dove la guerra — in specie civile — è più forte. Certo, è necessario determinare come, chi e con quali mezzi e obiettivi. Ma non si può più eludere la questione.
Infine, non ci si nasconda dietro un dito: l’ultima cosa che manca, in questo momento, sono i soldi che vengono immessi in grandi quantità da Fed e Bce nei circuiti finanziari. Per le risorse, basterebbe creare un canale di finanziamento ad hoc sotto diretto controllo dalla Commissione europea. A mancare è la visione politica del problema, cioè la capacità di prospettare all’opinione pubblica una soluzione dignitosa e che stia in piedi.
Nel suo stile, di fronte all’urgenza, Renzi ha usato parole opportune. Ma la questione è intricata e occorrerà lavorare duramente e a lungo per costruire le condizioni politiche adatte per tracciare una via d’uscita. Si muova con la stessa determinazione che ha dimostrato su altri temi elettoralmente più remunerativi. Le elezioni sono tra tre anni. Non ci sono alibi: per l’Italia e per l’Europa la possibilità di esistere politicamente incrocia oggi il destino dei profughi in mare.