Corriere 20.4.15
La tragedia degli armeni La battaglia dei genocidi
risponde Sergio Romano
Se non ricordo male, in risposta a un lettore lei scriveva di non condividere la parola genocidio a proposito del massacro degli armeni all’inizio dello scorso secolo. Che cosa pensa delle parole del Papa?
Severino Ferrari
Ufficialmente gli Usa non riconoscono il genocidio armeno: l’opportunismo della realpolitik non dovrebbe avere dei limiti?
Filippo Testa
Caro Ferrari, caro Testa,
Continuo a pensare che la parola genocidio, in questa fase storica, possa essere usata soltanto per la politica praticata dalla Germania nazista contro gli ebrei. Per altre vicende del Ventesimo secolo esistono parole diverse: stragi, massacri, persecuzioni di massa e, soprattutto, pulizia etnica. Soltanto Hitler si è proposto come obiettivo strategico l’eliminazione fisica di tutti gli ebrei in Germania e in ogni Paese politicamente o militarmente controllato dal Terzo Reich.
Ma l’importanza gradualmente assunta dal genocidio ebraico nella letteratura storica e nell’opinione pubblica internazionale, soprattutto dopo il processo Eichmann, ha avuto per effetto la nascita di una sorta di «borsa dei valori» in cui il crimine definito genocidio è quello che ha diritto ai maggiori riconoscimenti, non soltanto simbolici e morali. È accaduto così che alcuni popoli massacrati e perseguitati, anziché accontentarsi di espressioni non meno calzanti, cercassero di ottenere che anche la loro tragedia fosse definita genocidio. Ed è accaduto, inevitabilmente, che il problema divenisse sempre più politico ed elettorale. Sono nate lobby in grado di controllare voti ed esercitare pressioni. Sono state votate leggi che assegnano a ogni collettività perseguitata un giorno del calendario dedicato alla sua memoria. Ne sono state votate altre che puniscono chiunque osi negare o cercare di ridimensionare una vicenda storica. Non basta. Il risultato di questa «gara del genocidio» è l’appiattimento della storia. Quando è promosso alla categoria dei genocidi un avvenimento viene decontestualizzato. I turchi hanno torto quando non riconoscono ancora più esplicitamente i massacri e le stragi di cui gli armeni sono stati vittime durante la Grande guerra. Ma non hanno torto quando ricordano che la questione armena diventa incomprensibile se totalmente isolata dalle crisi di fine Ottocento e dagli eventi della Grande guerra.
Per chi ritiene che gli eventi storici debbano essere certificati da una legge del Parlamento, caro Testa, la sua affermazione è giusta. Ma per chi pensa che le certificazioni parlamentari siano sempre, inevitabilmente, un gesto politico, spesso destinato a compiacere un gruppo di pressione, la mancanza di una legge del Congresso degli Stati Uniti è una manifestazione di saggezza.
Gli americani conoscono i sentimenti di un Paese dove sono veramente rari i cittadini disposti a tollerare che pagine importanti della loro storia, dal Sultanato alla Repubblica, vengano offuscate dalla questione armena. Hanno bisogno della Turchia per le loro basi e per una politica medio-orientale che, a torto o a ragione, considerano necessaria alla loro sicurezza. Dovrebbe barattare la sicurezza contro una certificazione parlamentare che non aggiungerebbe nulla alla storia del XX secolo?