mercoledì 8 dicembre 2010

l’Unità 8.12.10
In piazza per la spallata
Bersani: cambiamo l’Italia
Due milioni a San Giovanni «Sarà una festa di liberazione»
18 treni speciali, 1500 autobus
Il Pd sabato in piazza per la «spallata» al governo. Quanti saranno? «Non uno in meno di quanti ne portò Berlusconi nel 2006 contro Prodi», annnunciano dal Nazareno. Bersani chiuderà con un lungo intervento.
di Maria Zegarelli

Dare la «spallata» finale al governo Berlusconi e iniziare una nuova fase per la politica e il paese, insomma fare della manifestazione del Pd di sabato prossimo a Roma una Festa della liberazione, a tre giorni dal voto di fiducia alle Camere. Possibilmente portando a Roma «non una persona di meno di quelle che portò Berlusconi nel 2006 contro la Finanziaria del governo Prodi», butta lì Lino Paganelli parlando con Nico Stumpo, responsabile organizzazione del partito. Riguardando le dichiarazioni trionfali dell’allora Fi i conti dovrebbero essere presto fatti: oltre due milioni di persone. «Noi di numeri non ne diamo, sarà la piazza a parlare», frena Stumpo, malgrado il clima di grande ottimismo che si respira nel quartier generale al Nazareno.
GLI ORGANIZZATI
A Roma sabato arriveranno 18 treni speciali, «tutti quelli che possono mettere a disposizione le FFss», oltre ai gruppi che hanno acquistato i biglietti su treni normali; 1500 pullman da tutta Italia (venti dei quali messi insieme dal Movimento dei Moderati piemontesi) e mille persone dalla Sardegna con i traghetti per un totale di circa centomila manifestanti «organizzati». Due i cortei che si snoderanno lungo la città partendo alle 14 da piazza della Repubblica e da piazzale dei Partigiani per confluire in piazza San Giovanni, il cui allestimento è stato curato dall’architetto Malfatto. Un grande palco «che sarà lo specchio della piazza», con gente normale, di tutte le generazioni, che leggerà gli articoli della Costituzione, «il nostro riferimento costante», e con artisti come Neffa la cui «Cambierà» è entrata nella colonna sonora scelta dal segretario Pd per le ultime iniziative del partito (lo slogan della manifestazione è non a caso “con l’Italia che vuole cambiare”), come Nina Zilli, Roy Paci e Simone Cristicchi, oltre alla Med free Orkestra, la banda di piazza Vittorio che vanta musicisti provenienti da 18 nazioni diverse. Ombrelli e scaldacollo rigorosamente Pd, rossi?, anche se le previsioni annunciano sole su Roma.
IL DISCORSO DEL SEGRETARIO
Bersani chiuderà la manifestazione con un suo intervento «che sarà lungo e articolato» perché raccontano i suoi collaboratori sabato non sarà soltanto un giorno di protesta, «ma anche di proposta, quella del partito democratico per cambiare il Paese con un proprio progetto politico di società». Nel suo discorso Bersani parlerà della crisi politica e del ruolo che deve avere il Pd per traghettare l’Italia oltre il pantano in cui si è arenata, ma affronterà anche i temi della crisi economica, del lavoro, della ricerca. Ci saranno tutti gli stati generali del Nazareno ma sul palco soltanto il segretario, un segnale alla base, ai manifestanti ma al partito stesso: si parla con una sola voce. Un messaggio al paese, soprattutto adesso, in una fase in cui l’evoluzione di questa crisi è tutt’altro che scritta, malgrado i segnali rassicuranti che arrivano dai fedelissimi del premier, malgrado le cifre astronomiche (per le persone normali, ovvio) di cui parla l’ex Pd Massimo Calearo che in questi giorni vengono offerte in cambio di un sì alla fiducia: dai 350mila al mezzo milione di euro. Il percorso politico a cui lavora il Pd è la caduta della maggioranza parlamentare e un governo di transizione per affrontare le riforme più urgenti compresa la legge elettorale e poi tornare alle urne.
Ottimista al riguardo Massimo D’Alema che in un’intervista che verrà trasmessa oggi su La7, nel programma Exit dice: «Le elezioni si vincono e si perdono. Abbiamo perso nel '94, abbiamo vinto nel '96, abbiamo perso nel 2001, abbiamo vinto nel 2006, abbiamo perso nel 2008: la prossima volta vinciamo. È il nostro turno: ci stiamo organizzando per vincere e durare a lungo». Ma per raggiungere l’obiettivo bisogna scaldare i cuori degli elettori più scettici a raggiungere quelli di chi è tentato di restare a casa e mancare l’appuntamento con le urne. Prima ancora bisogna invertire la curva dei sondaggi e puntare la risalita dei consensi. Bersani sa bene che passa da lì anche la tenuta interna del partito, come sa che c’è chi è pronto ad andare all’assalto della dirigenza.

il Fatto 8.12.10
Perché Renzi è andato a Arcore?
Malumori Democratici Bersani: “Si può pensare male”
di Giampiero Calapà

Che cosa è andato a fare il sindaco di Firenze Matteo Renzi due giorni fa ad Arcore in gran segreto? “Sono stato ad Arcore – ha confermato Renzi – non c’erano né Emilio Fede né Lele Mora. Solo io e Berlusconi e ci siamo dati del tu”. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, però, lo ha rimproverato: “Meglio fosse successo in sedi istituzionali. Così si può capire male”. Male? A cosa si riferisce Bersani? Nel corso della giornata di ieri si sono rincorse le voci – provenienti da ambienti dello stesso Pd che non sono mai stati felici di farsi rottamare – rispetto a un Renzi già in passato più volte ospite del premier a Palazzo Grazioli. E, addirittura, secondo le “malelingue” Renzi sarebbe finito in alcune intercettazioni di Denis Verdini, in cui il coordinatore del Pdl avrebbe espresso apprezzamenti fino a chiedere ai suoi di sostenere Renzi alle primarie per le elezioni del sindaco di Firenze. Insomma, un Renzi convocato dal solito Berlusconi dei dossier pronti all’uso. Ma Palazzo Vecchio, sede del Comune di Firenze , smentisce tutto:
“NON SALTERÀ mai fuori una fotografia di Renzi a Palazzo Grazioli perché il sindaco non sa neppure dove si trova e di intercettazioni di quel tenore non sappiamo nulla, non esistono”. Nelle carte note dell’inchiesta sulla P3, nata da quella dell’area Castello di Firenze,ilnomediRenzicomparesoloin relazione a quel volo promesso da Riccardo Fusi, ex presidente dell’azienda edilizia Btp e grande amico di Verdini, per permettere a Renzi (in quel momento presidente della Provincia) di non far tardi ad una trasmissione televisiva. La promessa venne fatta ad Andrea Bacci, che presiedeva il Cda di Florence Multimedia (società creata da Renzi per la comunicazione della Provincia di Firenze): il 12 dicembre 2008 in un colloquio telefonico Bacci chiede espressamente a Fusi un elicottero per Renzi: “Scusami Riccardo... abbi pazienza… Matteo deve andare di corsa a Milano in trasmissione… alle “Invasioni Barbariche”... dalla Biscardi... i treni sono tutti in ritardo di due ore... due ore e mezzo e non so come... è bloccata... lui ha bisogno di andarci in elicottero... ce l’hai disponibile?”. Riccardo Fusi ribatte che per le condizioni meteorologiche avverse l’elicottero non può decollare. Insomma, il meteo impedisce il volo. Ma il 3 aprile Bacci telefona di nuovo a Fusi alludendo ancora a Renzi: “Lunedì pomeriggio alle 3 e mezzo... io avevo bisogno... dell’elicottero... sempre per la nostra persona... insomma… avre bisogno dell’elicottero alle 3 e mezzo per andare a Milano... e ritornare giù alle 7 e mezzo”. Per Fusi questa volta non ci sono problemi: “Va bene Andrea, non ti preoccupare, ti organizzo io... dove... lo porti a Calenzano te... per partire di qui... o te lo mando a Peretola?”. Renzi smentì tutto a stretto giro di posta: “Mai volato su un aereo di Fusi, non ho mai chiesto a Fusi o ad altri imprenditori l’utilizzo per fini personali o istituzionali di un elicottero, non so perché Andrea, che è un mio amico, lo abbia fatto”.
Ieri mattina, dopo le uscite di Repubblica e Libero che hanno riferito dell’incontro di Arcore, Renzi ha consegnato a Internet, alla sua pagina Facebook, la sua spiegazione, alla quale a Roma, nel suo partito, i più mostrano di non credere. Così Renzi: “Ho incontrato Silvio Berlusconi, che mi ha gentilmente fissato l’appuntamento che gli avevo chiesto qualche settimana fa. Ho chiesto al presidente del Consiglio di mantenere gli impegni per Firenze che il Pdl si era preso in campagna elettorale, a partire dalla legge speciale. Dieci giorni fa ho corso persino una Maratona per dimostrarlo (e ancora mi fanno male le gambe, ma avevo dato la mia parola). Se il Governo vuole mantenere gli impegni, l’occasione più logica è il decreto mille proroghe che va in votazione a stretto giro: non sarà una legge speciale, ma potrebbe esserci un gesto di attenzione per Firenze”.
ANCHE il suo socio-fondatore dei “Rottamatori” Giuseppe Civati ha preso le distanze: “Avrei preferito una sede istituzionale (anche perché Arcore porta parecchia sfortuna, ultimamente) e un momento diverso da questo, con B. che sta per cadere (o, almeno, lo speriamo tutti)”, anche se non rinuncia a pungere Bersani in difesa dell’amico: “Mi pare che qualcuno stia esagerando con la dietrologia, anche perchè lo stesso Bersani, ad Arcore, ci sarebbe andato anche a piedi, ricordate?”. L’incontro di Arcore è stato possibile grazie all’intermediazione di Enrico Marinelli, personaggio noto a Firenze per esser amico di Berlusconi. Renzi ha raccontato: “Abbiamo discusso delle questioni concrete che riguardano Firenze. Qualcuno mi ha detto che non dovevo andare ad Arcore. Io gli incontri istituzionali del Comune li faccio in Palazzo Vecchio. Se il premier invece riceve nella sua abitazione, io vado nella sua abitazione e alla fine ringrazio dell’ospitalità“. Perché, però, la visita è rimasta segreta? Palazzo Vecchio risponde: “Il nostro sogno era avere la certezza del contributo di scopo, 17 milioni di euro per Firenze. Berlusconi in persona ha chiesto riservatezza, perché sul mille-proroghe ci sarà l’assalto alla diligenza”. Un Berlusconi crepuscolare, con la mannaia della sfiducia del 14 dicembre sul collo, chiede riservatezza per regalare i soldi a un sindaco Pd, con un provvedimento approvato da un governo magari dimissionario? L’interrogativo resta aperto.

il Fatto 8.12.10
Ma nelle carceri non cambia nulla
di Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone

Nelle ultime settimane mi è capitato varie volte di esprimere giudizi in pubblico sulla legge di recente approvata che consente di scontare l’ultimo anno di pena in un regime di detenzione domiciliare. Ho letto e riletto i contenuti di quel provvedimento e ho avuto modo di verificare che risulta sostanzialmente inutile. Il sovraffollamento penitenziario rimarrà tale e quale. Oggi, ricordo a Marco Travaglio, la popolazione detenuta è composta da quasi 70 mila detenuti, mentre i posti letto sono 44 mila. Ci sono quindi 26 mila persone accampate in celle di fortuna. Per tutti i detenuti il dettato costituzionale (pena umana e funzionale alla rieducazione) è oramai un mito. Si è costretti a vivere in non più di tre metri quadri a testa (così violando le norme internazionali) bagno alla turca compreso.
PARTO dai punti di dissenso con l’analisi fatta ieri da Marco Travaglio: 1) Non tiene conto che quelle poche migliaia di persone (e non delinquenti come lui li chiama) che usciranno dalle nostre malmesse prigioni sono nella maggior parte dei casi i detenuti-tipo che abitano le nostre carceri, ossia poveri, disagiati sociali e psichiatrici, tossicodipendenti, stranieri. Fra loro non vi sono né mafiosi, né assassini, né narco-trafficanti, né pedofili né colletti bianchi. Di questi ultimi, d’altronde, non vi è traccia nelle patrie galere; 2) L’indulto non è stato un insulto ma un “eccezionale” provvedimento di clemenza che avrebbe dovuto essere usato – come affermò il presidente della repubblica Giorgio Napolitano all’indomani della sua approvazione – per riformare il sistema penale e quello penitenziario. La dura campagna mediatica che ne seguì ha impedito ogni possibile proposta riformatrice e ha indurito i sentimenti dell’opinione pubblica sempre più orientata verso pulsioni di vendetta piuttosto che di giustizia; 3) Va superata l’idea che le misure alternative alla detenzione (lavoro all’esterno, semilibertà , affidamento ai servizi sociali o in una comunità di recupero) siano una negazione della certezza della pena. Esse sono a loro volta una pena.
In un sistema giuridico avanzato va trovato il modo per diversificare le sanzioni. Il lavoro socialmente utile, ad esempio, è meno costoso nonché più vantaggioso della detenzione in termini di prevenzione speciale e generale. Inoltre le statistiche ci dicono che meno dello 0,2% di quelli che sono in misura alternativa commette un reato durante l’esecuzione della stessa e che chi ottiene un beneficio ripaga lo Stato con tassi di recidiva molto più bassi rispetto a coloro i quali scontano tutta la pena in galera, abbrutendosi e aumentando il proprio spessore criminale; 4) Infine, l’ultimo argomento di dissenso con Marco Travaglio, riguarda l’uso forte delle sue parole che rischiano di alimentare sentimenti di insicurezza e richieste di galera, proprio ora che le carceri sono piene di esseri umani oltre il limite del tollerabile.
L’ULTIMA cosa di cui abbiamo bisogno è legittimare o sollecitare l’opposizione anti-berlusconiana a fare l’ennesima pericolosa campagna sulla sicurezza (quella precedente di sinistra ha prodotto la lotta ai lavavetri e ai rumeni). I ricchi raramente finiscono in galera. Men che meno i colletti bianchi. Fra quei detenuti in via di scarcerazione che avrebbero potuto usufruire del provvedimento sulla detenzione domiciliare avrebbero potuto esserci: Alberto Grande, 22 anni, morto suicida nel carcere di Ancona, Giancarlo Pergola, 55 anni, morto suicida nel carcere di Foggia, Gheghi Plasnicj, 32 anni, morto suicida nel carcere di Bologna, Antonio Gaetano, 46 anni, morto suicida nel carcere di Palmi, Rocco D’Angelo, 53 anni, morto suicida nel carcere di Carinola. Solo per citare gli ultimi detenuti che si sono tolti la vita. Nessuno può accusare noi di Antigone – che da anni monitoriamo e denunciamo le condizioni di vita nelle prigioni italiane – di collusione o intelligenza col nemico berlusconiano. Questa legge però non è un indulto né un insulto. È un inefficace, provvisorio e emergenziale atto di consapevolezza della tragedia in cui versano le prigioni italiane. Una tragedia che richiederebbe ben altro coraggio politico e l’approvazione di riforme di sistema. Ne cito alcune: la introduzione del crimine di tortura nel codice penale, l’istituzione di un organismo indipendente di controllo dei luoghi di detenzione, la decriminalizzazione della vita dei consumatori di droghe, la depenalizzazione dello status di immigrato irregolare, la cancellazione di quelli leggi (ex Cirielli sulla recidiva in primis) che hanno trasformato il diritto penale in un diritto che giudica le persone e non i fatti da loro commessi.
IL PUNTO di convergenza con l’analisi di Marco Travaglio riguarda la natura sommaria e elitaria della giustizia penale ai tempi di Berlusconi (tale per colpa delle leggi ad personam ma anche di quei giudici che applicano burocraticamente le leggi mandando in galera gente come Stefano Cucchi): inflessibile con i poveri e generosa con i ricchi, clemente con chi ha un buon avvocato e inesorabile con chi si affida al difensore d’ufficio.

l’Unità 8.12.10
Dal Senato Associazioni umanitarie, parlamentari e Onu hanno spinto il governo ad agire
250 profughi sono da settimane in ostaggio. Trattativa tra servizi egiziani e capi tribù
Eritrei in catene e picchiati Appello all’Italia: salvateli
Associazioni per i diritti umani, parlamentari, l’Unhcr: uniti nell’accogliere il disperato grido d’allarme dei 250 profughi in ostaggio dei trafficanti di uomini nel Sinai. L’incontro al Senato. Una battaglia di civiltà.
di Umberto De Giovannangeli

Quel grido disperato «irrompe» a Palazzo Madama. Dal deserto del Sinai ai palazzi della politica di Roma. Una richiesta di aiuto, ed anche una denuncia di chi poteva agire e sin qui non lo ha fatto. ««Fate presto, fate qualcosa, oggi hanno ricominciato a picchiarci, siamo pieni di lividi e qualcuno ha le piaghe per le percosse» A implorarlo sono i profughi tenuti in ostaggio nel deserto del Sinai ormai da oltre un mese e raccolto dall'agenzia Habeshia, che ieri mattina, in un incontro presso la Sala stampa del Senato, ha rilanciato un appello alle istituzioni italiane affinché facciano pressione sul Governo egiziano per far sì che i circa 250 profughi eritrei, etiopi, somali e sudanesi prigionieri possano essere sottratti ai trafficanti di uomini da cui dipende la loro vita. L'iniziativa, promossa dall'associazione «A Buon Diritto» presieduta da Luigi Manconi e dal Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), è stata voluta per porre l'attenzione del mondo politico sul ruolo dell'Italia in una nuova tragica vicenda di cui sono vittime i profughi che scappano da scenari di guerra e da condizioni di vita insopportabili. A farsi carico di questa «battaglia di civiltà» parlamentari del Pd Pietro Marcenaro. Jean-Leonard Touadi, Guido Melis, Livia Turco, Luigi Zanda Radicali Rita Bernardini, Matteo Mecacci, Donatella Poretti e anche Flavia Perina e Benedetto Della Vedova di Futuro e Libertà, Savino Pezzotta e Paoloa Binetti (Udc). Ad aggiornare la situazione sulle condizioni di vita dei profughi è don Mussie Zerai, sacerdote cattolico eritreo, direttore dell'agenzia Habeshia.
IL RACCONTO
«Ho chiamato alle 9:30 di stamattina (ieri, ndr) per chiedere la situazione attuale spiega Zerai -. Ogni ora che passa è sempre più drammatica». I rapitori hanno ripreso a picchiarli perché non ritengono più sufficienti i 500 dollari a ostaggio versati dalle famiglie domenica, e hanno alzato le pretese. Don Zerai è in contatto con un giovane eritreo di 26 anni che ha sentito per telefono sia ieri a mattina che nel pomeriggio, e nella seconda telefonata gli ha descritto una situazione che va peggiorando. In grave difficoltà anche le donne incinte e quello con bimbi piccoli: «Non ci laviamo da un mese ha raccontato una di loro viviamo nella spazzatura, come in una putrefazione». Alcuni sono feriti a causa delle botte prese, soprattutto con lo scadere degli ultimatum lanciati dai trafficanti sabato e domenica, quelli che non hanno versato neanche un centesimo sono stati picchiati selvaggiamente. «Parlano di teste fracassate, braccia e gambe rotte. C’è chi zoppica e chi sanguina, c'è un'urgenza di cure».
I RESPINGIMENTI
«La politica dei respingimenti ha spostato i flussi migratori verso Est con l'aggravante di una situazione geopolitica ben più complessa e con una crescita della violenza che nè l’Italia, né l'Ue possono tacere perché conseguenza di una politica di chiusura delle frontiere», rimarca Christopher Hein, direttore del Cir. «I profughi hanno cercato altre vie e una di queste è andare verso l'Egitto spiega Hein -, non con l'intenzione di rimanerci perché non ci sono garanzie e possibilità di ottenere protezione nonostante l'Egitto abbia ratificato la convenzione sui rifugiati...». A porre sotto accusa le politiche dei respingimenti è anche Laura Boldrini, portavoce in Italia dell'Alto commissariato per i rifugiati dell' Onu (Unhcr). «È chiaro che saremmo tutti molto felici se la diminuzione degli arrivi sulle coste italiane corrispondesse ad una diminuzione del bisogno di fuggire dal proprio Paese di origine afferma -, ma sappiamo bene che non è così. Si continua a fuggire dalla Somalia, dall'Eritrea, dalla Costa d’Avorio e da altri Paesi, ma la gente non arriva più in un posto sicuro». Per Boldrini, infatti, oltre ad un intervento necessario per liberare gli ostaggi trattenuti nel deserto, in Italia e anche in Europa occorre un'attenta analisi sulle politiche migratorie. «Non possiamo considerare questa vicenda una cosa che non ci appartiene sottolinea la portavoce dell’Unhcr L’Italia riduce gli aiuti per la Cooperazione allo sviluppo e chiude al tempo stesso le frontiere. Con politiche dei respingimenti l'unica conseguenza reale è stata la riduzione drastica delle domande d'asilo, quest'anno saremo a circa 10 mila. L'unico effetto della politica dei respingimenti è stato il contrasto alla fruibilità del diritto di asilo, non all'immigrazione irregolare». L’Unhcr ha preso contatto con il Governo egiziano che ha assicurato l’impegno per localizzare gli ostaggi e organizzare il loro rilascio.
EVACUAZIONE UMANITARIA
I promotori dell’incontro del Senato danno vita a un’iniziativa politica estremamente significativa: una lettera a firma Manconi, Hein e dei parlamentari presenti al ministro degli Esteri Franco Frattini e alla rappresentanza dell’Unione Europea a Roma affinché si lavori per una operazione di «evacuazione umanitaria» che, sotto la tutela dell’Ue, consenta il trasferimento dei 250 profughi nel Continente e la loro distribuzione nei diversi Paesi membri secondo la disponibilità di ciascuno di essi.. E in serata giungono dall’Egitto notizie che alimentano la speranza: e in corso il negoziato fra i servizi di sicurezza egiziani e i capi tribù del Sinai per arrivare alla liberazione degli immigrati tenuti in ostaggio mese dai trafficanti di essere umani. Lo hanno riferito fonti della sicurezza locale all' Ansa, indicando che insieme ai 250 eritrei ci sono circa altre trecento persone, provenienti da vari Paesi africani.

l’Unità 8.12.10
Riscoperte
Da Creta all’India nel nuovo libro del Nobel un viaggio straordinario
Eros e civiltà (e trasgressione...) in tre millenni di storia umana
Escort e lap dance? No grazie Quando l’osceno era sacro
In libreria «L’osceno è sacro» di Dario Fo (a cura di Franca Rame, Guanda, pp.293, euro 20). L’osceno non quotidiano, l’osceno catartico: ecco un libro che ci fa riflettere davvero sulla trivialità. Di ieri e di oggi.
di Gaia Manzini

Anni luce dal bunga bunga, lustri da escort e accompagnatrici, dalla lap dance e sex and the city, dall’età di lulù e dalla depilazione brasiliana, prima dei cento colpi di spazzola (e prima pure delle spazzole), esisteva tutto un esercito di tòpole, che l’immaginario voleva gaudenti, più rubacuori, rubiconde e rubizze, di una rubi qualsiasi.
Già, perché nella tradizione popolare il sesso femminile impazza che è una bellezza dall’Alto al Basso Medioevo: la parpàja (farfalla), il mügnaghìn (albicocchina), la ciumachèlla, la pèrsega (pesca), la ciùccia, la cumachèna, lo sticchiu, il coño, la móna, la fessa, la muscarella (il muschio), il brolo tenerin de dolzo parfùmo (ma qui solo come «auto definizione»). Tutta una storia di trivio e giullarate, che Fo richiama a memoria per riabilitare l’osceno come tale, nella sua funzione giocosa e vitale, parte (ma, attenzione, solo parte) della cultura di un popolo.
Osceno che non è all’ordine del giorno (se no che osceno sarebbe?). Osceno che è e vuole essere osceno, per liberare da vizio e perversione. Osceno catartico, dunque sacro.
E, allora, ecco che non mancano all’appello miti greci ed etruschi, riletture apuleiane e cretesi giochi rituali. E poi, conte popolari che con bretoniano surrealismo mettono in scena sticchi parlanti e dotati di vita propria, che espongono le loro lamentazioni per l’onore calpestato e la dignità vilipesa, direttamente al Padreterno. Oppure storie di fanciulle siciliane violate e di satiri bavosi, che perseguono l’impunità grazie a la defénsa, la legge promulgata a loro favore da Federico II, come racconta Cielo d’Alcamo. Nobiluomini, che con le braghe ancora calate, potevano estrarre duemila augustari, gettarli sulla violata a mo’ di risarcimento e scampare così il carcere e il tribunale. Storie che ricordano pericolosamente tanti fabulazzi odierni, di quelli che fioriscono rigogliosi tra le pagine dei giornali, tra menzogne e agnizioni, finzioni e stratagemmi che manco Plauto...
LA PARPÀJA DIMENTICATA
Poi, storie dell’XI secolo, come quella di Alessia, la donna che non vuole concedersi allo sposo, Giavàn Petro, tonto e poco virile, e inventa che la sua parpàja è stata dimenticata alla casa paterna. Storie di falloforie e fanciulle gaudenti che cavalcano tori con mosse circensi. Storie sacre di ceri da chiesa che evocano altro, e che la tradizione popolare porta in processione e simbolica corsa verso anfore, che dicono di vita e fertilità. Storie desunte e rielaborate da Le mille e una notte. Infine, storie trecentesche di falli falliti, come quello di Bellomo. Falli che mettono in imbarazzo per la loro ingordigia e prontezza di riflessi, e allora, per un incantesimo, cadono insieme ai loro attributi, e così, tutti scissi l’un dall’altro, con personalità precise e a tutto tondo, falli, ammennicoli e «cavalieri sfallati (immagine da augurarsi profetica per l’oggi della nostra storia politica) diventano un’ottima compagnia di giro. Comici che neanche allo Zelig.
Come da copertina, gli splendidi bassorilievi indiani di Khajurhao, nel Madhya Pradesh, rappresentano pratiche erotiche e formosità femminili dalle avvenenti proporzioni. Eppure non c’è nulla di volgare. Nonostante le guide della città attirino i turisti con slogan di basso livello, «The most exciting tour in your life», una volta arrivati si assiste a uno spettacolo di pura e autentica bellezza. L’osceno, dunque, serve a trascendere se stesso e a restituire all’oggetto in questione piena dignità. Ma un problema rimane: se il triviale è parte della cultura d’un popolo, che dire quando (come capita dalle nostre parti) il triviale diventa la cultura di un popolo? Forse la ripetizione continua, la duplicazione arbitraria di fatti osceni e volgari, deve averci ormai anestetizzati alla trivialità... be’ allora, chiedo a Fo, cosa dovremmo fare? Ormai che i giochi sono fatti, a quale osceno sacro possiamo votarci?

Corriere della Sera 8.12.10
Così le emozioni degli altri influenzano le nostre azioni
I neuroni delle dinamiche sociali: effetto gregge, bolle speculative
di Massimo Piattelli Palmarini

Il settore di studi chiamato neuro-economia non cessa di stupirci. I ricercatori attivi in questo campo, in essenza, studiano le basi neuronali delle attività psichiche che hanno un impatto diretto sulla vita economica, sia individuale che collettiva. La più recente scoperta, questa volta, ma non certo per la prima volta, made in Italy, è stata appena pubblicata sulla rivista internazionale «Neuroimage» da un gruppo di ricerca interdisciplinare dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano impegnato in un ampio progetto di neuroscienze della decisione sotto la guida del Cresa (Centro di ricerca in epistemologia sperimentale e applicata) e il Cnc (Centro di neuroscienze cognitive), diretti rispettivamente da Matteo Motterlini e Stefano Cappa.
Questa scoperta consiste nella rivelazione degli effetti delle emozioni di rimpianto e di sollievo associate agli esiti della scelta. Sono stati descritti per la prima volta, infatti, i meccanismi cerebrali per mezzo dei quali le emozioni che provano gli altri, di fronte all’esito delle loro scelte, influenzano anche le nostre decisioni successive. Specifiche aree del nostro «cervello sociale» si attivano, «specchiandosi» nell’esperienza degli altri, proprio come se imparassimo per esperienza in prima persona.
Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), lo studio ha preso in esame diverse lotterie in cui si poteva vincere o perdere denaro, indagando le reazioni di fronte a un soggetto che — avendo scelto una lotteria — rimpiangeva di non aver partecipato a quella vincente o, al contrario, era sollevato per non aver partecipato a quella perdente. In un precedente lavoro, due degli autori di questa ricerca, Nicola Canessa e Matteo Motterlini, avevano già descritto un meccanismo a specchio per tali emozioni, mostrando che la corteccia orbitofrontale, la corteccia del cingolo anteriore e l’ippocampo, associati all’esperienza di rimpianto, sono attivate anche quando si osservano gli esiti delle decisioni di un’altra persona. Proprio come davanti a uno specchio, il nostro «cervello sociale» reagisce per empatia di fronte al rimpianto altrui. Questo nuovo studio estende tale risultato, ponendo tale meccanismo di risonanza empatica al centro delle modalità di apprendimento sociale attraverso l’interazione con gli altri. I dati rivelati da questo raffinato esperimento mostrano che ad essere influenzata è la nostra propensione a rischiare, che diminuisce dopo aver osservato l’altro provare rimpianto per avere perso denaro a causa di una scelta azzardata, e, invece, aumenta dopo aver osservato l’altro provare rimpianto per una scelta conservativa.
Un classico fenomeno di «influenza sociale» — spiega Canessa — che viene per la prima volta tracciato con precisione in termini di attivazioni neurali e che agisce in maniera specifica per i diversi tipi di apprendimento: «Quando dagli altri impariamo a rischiare di più, infatti, lo facciamo mediante il nucleo caudato e la corteccia parietale posteriore (coinvolti in elaborazioni "fredde e razionali" relative ai possibili esiti delle scelte, per esempio in termini di valore atteso). Quando, al contrario, dagli altri siamo influenzati a rischiare di meno o a non rischiare affatto lo facciamo mediante la corteccia orbitofrontale e l’amigdala (che attribuiscono un valore emotivo negativo al rimpianto anticipato) e, degno di nota, la corteccia somatosensoriale e la materia grigia periac queduttale (strutture coinvolte, rispettivamente, nei meccanismi di percezione e modulazione del dolore, il dolore per le conseguenze di una decisione troppo rischiosa. La prima è la regione che registra le sensazioni corporali, la seconda è la materia grigia che circonda una cisterna di liquido cerebrale, ndr) ». La comprensione dei meccanismi neurobiologici dell’influenza sociale sulle decisioni economiche in condizioni di rischio — spiega Motterlini — promette di rendere conto di fenomeni che riguardano i mercati finanziari come l’«effetto gregge» e le «bolle speculative».
«Questo modello di apprendimento attraverso le decisioni altrui si applica infatti anche in borsa, proprio attraverso il meccanismo che vi consente di imparare da scenari ipotetici facendovi sentire tutta la spiacevole differenza tra il guadagno presente e il guadagno che sarebbe potuto essere. Quanto è maggiore questa distanza, tanto maggiore il rimpianto, e tanto più fortemente influenzata sarà la scelta di investimento successiva, che si "adatterà" in questo specifico senso al flusso e riflusso del mercato. I mercati salgono e compriamo perché non possiamo rimpiangere di esserne stati fuori. La bolla scoppia e corriamo a vendere, perché non possiamo rimpiangere di esserne stati dentro. Un effetto rafforzato dal fatto — documentato qui per la prima volta a livello di correlati neurali — che quando prendiamo decisioni di investimento il confronto non è solo con quanto avremmo potuto guadagnare (o perdere) noi stessi, ma anche con quanto stanno guadagnando (o perdendo) gli altri ai quali ci rapportiamo».
Gli stessi ricercatori di questo studio, cioè, oltre a Motterlini e Canessa, Federica Alemanno, Daniela Perani e Stefano Cappa, avevano già mostrato che il rimpianto altrui «risuona» in maniera più forte nel cervello femminile. Ora sappiamo anche che, in maniera proporzionale al loro livello di empatia, le donne «apprendono socialmente» meglio degli uomini, soprattutto quando si tratta di rischiare di meno.
È legittimo chiedersi, se questi correlati neuronali ci dicono davvero qualcosa di nuovo e di importante. L’interesse di queste conferme risiede, innanzitutto, in un fattore comune a tutte le scienze: cioè che uno stesso risultato, quando ottenuto in modo convergente mediante tecniche diverse, viene rafforzato. Inoltre, non è affatto una metafora dire che proviamo dolore per una perdita economica e, all’opposto, gioia per una vincita. Sono proprio gli stessi neuroni attivati, rispettivamente, dal dolore fisico e da una gratificazione fisica ad attivarsi. La verifica non potrebbe essere più reale di così.
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Corriere della Sera 8.12.10
Einstein pacifista: «Chi ama la guerra non usa il cervello»
L’etica rigorosa di un genio della fisica
di Sandro Modeo

Gli adepti — tanti, troppi — della piccola moda imperante del «politicamente scorretto» si astengano. Il mondo come io lo vedo (la prima raccolta di scritti filosofico-politici di Albert Einstein, uscita in Germania nel 1934) non fa per loro. Intendiamoci: a parte qualche passaggio, questo mix di micro-saggi, lettere, discorsi e invettive evita ogni tentazione utopistico-consolatoria: solo che il disincanto del grande scienziato non cede per un attimo al cinismo e all’amoralismo tanto cari all’ideologia del potere e della sopraffazione «inevitabile». In ogni pagina, Einstein è conscio dei vincoli biologici nell’operare del Sapiens, riassunti in una frase di Schopenhauer letta da ragazzo («Un uomo può fare come vuole, ma non volere come vuole») e sa bene che ogni battaglia etico-civile è una «dura lotta» contro «la massa degli indifferenti e dei malconsigliati», maggioranze opache funzionali alle «mire inutili di pochi gruppi interessati». Ma nello stesso tempo insiste su come proprio uno spicchio così esiguo di libero arbitrio implichi una responsabilità enorme: tanto che in molti punti sembra di risentire, come un basso continuo, il finale del discorso di Marco Lombardo a Dante nel Purgatorio («Ben puoi veder che la mala condotta/ è la cagion che ’l mondo ha fatto reo/ e non natura che ’n voi sia corrotta»).
È questo disincanto costruttivo a innervare ogni diagnosi e proposta della visuale einsteiniana. Lo scienziato è tra i primi, per esempio, a vedere la grande crisi economica degli anni Venti e Trenta (per tanti aspetti simile alla nostra), causata non tanto da motivi contingenti, quanto dall’ambivalenza di quei progressi tecnologici («lame taglienti nelle mani di un bambino») che portano, insieme a grandi benefici, i disagi di nuovi sistemi produttivi da ridefinire e correggere. E allo stesso modo il suo pacifismo, pur fondato su un antimilitarismo radicale (chi ama marciare e combattere «è stato fornito del suo grande cervello per sbaglio; gli sarebbe bastata la spina dorsale»), si traduce nella proposta concreta di un mondo inclusivo e precocemente «globale», in cui vengano riassorbiti — con la severità del diritto internazionale — patriottismi equivoci e nazionalismi pericolosi.
Vero liberal democratico avverso a tutti i totalitarismi ( in primis a quello tedesco, fondato su una «malattia mentale» della collettività), Einstein crede alla necessità della cooperazione, della socialità e di uno Stato regolatore, ma anche all’autonomia dell’individuo e della sua spinta creativa: non a caso, è un cultore della società americana, cui pure non risparmia critiche, come l’eccessivo conformismo e il culto del denaro.
E proprio il culto del denaro — insieme a quello del successo pubblico — gli sembra incompatibile con la coscienza di un soggetto evoluto. Da scienziato — e da scienziato che rivendica la sua identità ebraica, cioè l’educazione all’indipendenza di giudizio e al sapere fine a se stesso — Einstein capovolge il luogo comune: ingenuo non è il «lavoratore intellettuale» con le sue elucubrazioni, ma chi — ormai anestetizzato ogni stupore conoscitivo — si trascina «come morto». Sono le pagine più alte del libro, che si spalancano sul rapporto tra scienza e religione. Per Einstein, la scienza aiuta a capire come l’unico Dio pensabile non sia quello che «premia o punisce», concepito dai nostri antenati per la paura della morte e della malattia: ma quello in cui confluiscono «il mistero dell’eternità della vita e l’idea della meravigliosa struttura della realtà». Lo scienziato — insieme all’artista — ci aiuta così a penetrare quest’idea di trascendenza attraverso la «comprensione dei nessi causali»; nel caso di Einstein, di dinamiche come l’incurvarsi dei raggi luminosi sotto il peso della gravità, una delle conseguenze più stupefacenti della relatività generale.
In questa prospettiva, anche l’etica diventa «una faccenda puramente umana», sciolta da dogmi e sacralità sovra determinate. In continuità col suo amato Spinoza, Einstein avverte un legame tra il «sentimento religioso cosmico» e la responsabilità delle nostre azioni; ed è un legame tutt’altro che astratto, che può orientarci nel «breve soggiorno» in questo frammento dell’universo conosciuto.

Liquidazioni!
al prezzo di un euro oltre al prezzo del quotidiano...!
Corriere della Sera 8.12.10
L’esplorazione dell’ignoto nell’universo e nella psiche

Tornano domani «I Classici del Pensiero Libero», grandi libri che hanno trasformato il mondo, in edicola con il «Corriere della Sera» al prezzo di un solo euro più il costo del quotidiano. Dopo Blaise Pascal e Mary Wollstonecraft, è la volta di due illustri indagatori dell’ignoto. Domani esce il libro di Albert Einstein Il mondo come io lo vedo, nel quale il grande scienziato espone la sua concezione filosofica, con prefazione di Giulio Giorello, mentre sabato 11 dicembre vanno in edicola i Tre saggi sulla teoria sessuale dell’inventore della psicoanalisi, Sigmund Freud, con prefazione di Armando Torno. La prossima settimana sarà il turno di due britannici che hanno dato un grande contributo alla conoscenza umana: uno nel campo delle scienze naturali, l’altro in quello delle scienze sociali. Giovedì 16 dicembre esce L’origine delle specie di Charles Darwin, il naturalista inglese che formulò e diffuse la teoria dell’evoluzione dei viventi per selezione naturale, con prefazione di Edoardo Boncinelli. Sabato 18 dicembre va in edicola La ricchezza delle nazioni di Adam Smith, lo studioso considerato il fondatore della scienza economica moderna, con prefazione di Michele Salvati. Visto il grande successo registrato dai «Classici del Pensiero Libero», i lettori che non riescono ad acquistare i volumi in edicola possono richiederli come arretrati al proprio rivenditore di fiducia o riceverli a casa, chiamando il servizio clienti del «Corriere della Sera» al numero 02.5036.6771. In entrambi i casi non è previsto sovrapprezzo rispetto a quello di copertina. Gli abbonati, invece, possono richiedere l’opera completa senza sovrapprezzo, sempre telefonando al numero 02.5036.6771.

Corriere della Sera 8.12.10
Freud, il guastafeste che minò le certezze della civiltà europea
In viaggio nelle profondità dell’inconscio
di Paola Capriolo

È destino di tutte le teorie scontare il proprio successo con una progressiva perdita di fascino; così le idee della psicoanalisi impregnano ormai a tal punto la nostra cultura da apparirci a volte addirittura banali, quasi appartenessero al patrimonio dei luoghi comuni che tutti noi, volenti o nolenti, condividiamo sin dagli anni della formazione. Per riscoprirne l’importanza occorre risalire molto indietro, a quegli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo in cui il dottor Sigmund Freud curava le «malattie nervose» nel suo studio di Vienna, ricavando dall’esperienza clinica alcune conclusioni destinate a fare epoca. Allora, ai tempi del ballo Excelsior e delle più trionfalistiche esposizioni universali, erano altri i luoghi comuni attraverso i quali gli uomini intendevano se stessi: si dava cioè per scontata l’esistenza di tutta una serie di rassicuranti antitesi. Da un lato la sanità psichica, dall’altro la perversione; da un lato la vita adulta, dove il desiderio sessuale, nei tempi e nei modi opportuni, assume la sua innegabile importanza, dall’altro il candore dell’infanzia, angelicamente ignara delle miserie della carne; da un lato l’uomo civile, il borghese europeo illuminato dalla duplice fiaccola della ragione e del progresso, dall’altro i suoi rozzi antenati, i cui processi mentali non possono che essergli completamente estranei. Insomma, un comodo dualismo, grazie al quale la civilizzazione giunta all’apogeo riesce a escludere dal proprio orizzonte quanto non è in grado di assimilare.

Qualcuno, è vero, aveva già messo in dubbio questa concezione, ma erano filosofi, poeti, artisti, gente insomma da non prendere troppo sul serio; ora invece è un medico, in sobrio stile scientifico, a dire ai suoi contemporanei: scusate, ma le cose stanno diversamente. Dove voi scorgete un’antitesi, esiste in realtà un rapporto genetico, evolutivo, quella che definite normalità è solo l’ultimo e più tardo strato che si costruisce, quando tutto va bene, su una serie di strati anteriori che ai vostri occhi apparirebbero ben poco edificanti e che sopravvivono, sepolti in zone della mente non accessibili alla coscienza, ma sempre pronti a riemergerne: nella nevrosi, certo, nella malattia; o anche semplicemente nel sogno, nel quale ognuno di noi rivela la propria insopprimibile parentela con il «selvaggio», con il «folle», con il bambino che non è affatto un angelo, ma un essere dalla sensualità debordante, se non addirittura un «perverso polimorfo».
Tutto ciò doveva risultare piuttosto sconvolgente per lo spettatore medio del ballo Excelsior, non avvezzo, come il suo omologo odierno, a discorrere con gli amici del proprio complesso di Edipo e a usare con disinvoltura espressioni quali «narcisismo» o «fase orale»; e a volte si ha il sospetto che neppure Freud fosse sempre a suo agio con simili risultati. Dopotutto, è un uomo del suo tempo, un uomo della civilizzazione; ed è soprattutto un razionalista, il lucido erede di una Aufklärung ulteriormente affilata, e resa più scettica e problematica, da una robusta dose di pessimismo schopenhaueriano. Persino all’ipotesi dell’inconscio, di questo fondamento irrazionale della vita psichica, giunge per tener fede alla razionalità obbedendo al più classico e irrinunciabile dei suoi princìpi, quello secondo il quale nulla avviene senza una causa; e il «lieto fine» di tutta la peripezia pulsionale dell’infanzia e della pubertà per lui, come per i suoi contemporanei, può essere soltanto uno: il raggiungimento di una vita sessuale ordinatamente rivolta alla procreazione.
Il mondo in cui è nato, la civile comunità dei popoli votati al progresso, gli appare come una nave che galleggia sopra un abisso, ma una nave ben costruita e capace di tenere l’acqua. Occorrerà la scossa della Prima guerra mondiale perché questa certezza si incrini, dando luogo a pagine di accorata bellezza, come occorrerà il passaggio dalla belle époque alle tragedie del Novecento perché la dottrina psicoanalitica possa assumere pienamente la propria funzione storica: esprimere e rispecchiare, nella teoria, la crescente inquietudine che l’uomo del nuovo secolo è costretto a provare dinanzi a se stesso.
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il Riformista 8.12.10
Buenos Aires riconosce la Palestina e infiamma i rapporti con Gerusalemme
«Stato libero e indipendente». Questa la formula della Casa Rosada, che però si rimette agli accordi che le «parti raggiungeranno durante il processo di pace». È il settimo paese dell’America Latina a fare questo passo.
La comunità ebraica in Argentina conta più di 200mila persone, ed è stata vittima di due sanguinosi attentati all’inizio degli anni 90 i più gravi accaduti in America Latina con un bilancio finale di 107 morti e più di 500 feriti. La presenza araba è invece molto più numerosa, come dichiara al Riformista il presidente del Centro islamico argentino (Cira), Samir Salech: «Tra la prima e la terza generazione siamo quasi 3 milioni, di cui 400mila sono musulmani».
DI Giulia De Luca


il Riformista 8.12.10
Il nuovo film di Peter Weir sui gulag forse non arriverà nei cinema italiani
“THE WAY BACK”. Fino a oggi nessun distributore nazionale lo ha annunciato nei propri listini, nonostante il nome del regista e un cast di tutto rispetto. Un nuovo caso “Katyn”?
di Massimo Benvegnù

il Fatto 8.12.10
L’accusa di Stoccolma: si è rotto il profilattico
Le due donne prima consenzienti, poi a novembre decidono di rivolgersi alla giustizia
di Alessandro Oppes

   La lunga fuga di Julian Assange si è conclusa. Un arresto “consensuale” per il fondatore di Wikileaks, negoziato dai suoi avvocati con la polizia britannica dopo che il mandato di cattura internazionale emesso dall’Interpol aveva reso sempre più complicata la sua posizione. E anche se le accuse che gli vengono mosse – un caso di molestie sessuali denunciato da due giovani donne svedesi – formalmente non hanno niente a che fare con la bomba mediatica scatenata dall’esplosione del Cablegate, a nessuno è sfuggita la straordinaria tempistica di questa vicenda giudiziaria. Il 18 novembre (quando i 5 prestigiosi giornali internazionali avevano già ricevuto e stavano elaborando l’enorme mole di scottante materiale diplomatico che si preparavano a pubblicare) la procura di Stoccolma ha deciso a sorpresa la riapertura del dossier contro l’ex hacker australiano. L’indagine era partita due mesi e mezzo prima, eppure non sembrava che dovesse portare alla formulazione di pesanti accuse, tanto che ad Assange era stato consentito di lasciare la Svezia. E invece, il primo dicembre, scatta l’ordine d’arresto , dietro il quale i legali di Mr. Wikileaks sospettano ci sia l’intervento di diversi servizi di intelligence.
NONOSTANTE la procuratrice svedese, Marianne Ny, abbia più volte assicurato di non aver ricevuto “pressioni politiche di nessun tipo”, la vicenda giudiziaria del fondatore di Wikileaks continua a presentare parecchi lati oscuri, con risvolti degni di un intrigo internazionale. Il mandato di cattura si basa su una figura giuridica chiamata “sex by surprise”, compresa nella legislazione svedese sulla violenza sessuale e applicabile a “qualunque atto di costrizione vincolato al sesso”. Secondo l’avvocato di Assange, Mark Stephens, si tratta di un delitto che – nel caso in cui venisse provato – può essere normalmente estinto con un multa di 715 dollari. Un po’ poco, insomma, per trattare l’ex hacker australiano alla stregua di un pericoloso terrorista, ricercato dalle polizie di tutto il mondo. Tanto più che il reato, previsto in Svezia, non è contemplato nel codice penale britannico e neppure in quello statunitense. I fatti per i quali Assange è accusato risalgono allo scorso mese di agosto, quando si trovava a Stoccolma per un seminario sul tema “Guerra e ruolo dei media”, organizzato dal Brotherhood Movement, un gruppo di ispirazione cristiana legato al partito socialdemocratico. La giornalista che curava l’ufficio stampa della conferenza, Anna Ardin, un passato da femminista radicale, si offrì di ospitarlo nel suo appartamento, sebbene prima non lo conoscesse. Quella sera, dopo cena, ebbero un rapporto sessuale durante il quale – entrambi lo riconoscono – il preservativo si ruppe. Sul momento la giornalista non sembrò dare importanza all’incidente, tanto che continuò a ospitare Assange a casa, e organizzò anche una festa in suo onore. Ma nei giorni successivi entra in scena un’altra ragazza, Sofia Wilden, ventenne di Jonkoeping, una cittadina a poche decine di chilometri da Stoccolma, fidanzata con l’artista statunitense Seth Benson. Vede Assange in tv e si propone di fare di tutto per conoscerlo. Così si presenta tra i volontari che lavorano all’organizzazione del seminario. L’incontro con il fondatore di Wikileaks ha subito l’effetto sperato.
LUI ACCETTA l’invito ad andarla a trovare a casa, e permette anche alla ragazza di pagargli il biglietto del treno (non aveva contanti e non voleva usare la carta di credito). Julian e Sonia fanno sesso due volte, la prima con il preservativo, la seconda senza protezione , ma a detta di Assange in modo consenziente. Sembra che debba filare via tutto liscio. Ma poi la giovane ci ripensa e si spaventa, almeno così dice. Una volta tornata a Stoccolma parla con Anna, e scopre che anche lei ha avuto l’incidente del condom rotto. È a questo punto che le due donne si coalizzano e decidono di presentarsi in tribunale. Violenza, stupro? No, niente di tutto questo. L’unico rimprovero che viene mosso ad Assange è quello di essersi rifiutato di sottoporsi, dopo i rapporti avuti con le ragazze, a una prova per accertare se era affetto da Hiv o da altre malattie veneree. Un “ménage à trois” pagato a caro prezzo.

Agi 8.12.10
Cinema: Belloccho, da noi vince la commedia conciliante col potere

(AGI) - Roma, 8 dic. - "Mi fa piacere che 'Vincere' sia molto apprezzato negli Usa: ha affascinato piu' nel mondo che in Italia, dove la gente accorre in massa a vedere la commedia conciliante con il potere. Per quel che mi riguarda vado oltre 'Vincere', la cui immagine si sta ritrovando in Italia: ho il progetto 'Italia mia' che si occupa drammaticamente di cose italiane vere ed inventate". Cosi' il regista piacentino Marco Bellocchio parla del lusinghiero settimo posto di 'Vincere' nella classifica dei 10 migliori film dell'anno, secondo il prestigioso 'New York Magazine'. Ma si dice pronto "ad andar oltre" con il progetto 'Italia mia' sulla situazione del Paese nell'era berlusconiana. "Al momento il progetto sta pero' incontrando gravi difficolta' per i finanziamenti", ha raccontato all'Agi, "Ma non mi arrendo: bisogna lavorare, fa bene alla salute e alla mente. E' chiaro che cerchero' di fare questo progetto in tempi di democrazia autoritaria". Raccontare dunque l'Italia dell'era Berlusconi e' la nuova, grande sfida di Bellocchio che e' 'maestro' nella 'trasfigurazione' della realta', come ha fatto in 'Vincere' e prima in 'Buongiorno, notte'. "A me non interessa fare un pamphlet contro personaggi reali ma", spiega, "raccontare con la metafora la situazione drammatica del Paese". La 'trasfigurazione' della realta' e non il 'documentario', mediante il linguaggio delle immagini in cui Bellocchio eccelle. "Certo, il contesto politico-sociale e' davvero misero", afferma, "e in questa miseria politico- sociale pero' riemergono, ancora di piu', persone di grande spessore, e penso a Riccardo Lombardi, una figura grande e potente". Il regista di 'Diavolo in Corpo', che piu' di tanti altri ha saputo nel corso degli anni cambiare 'pelle' e 'stile', non demorde dunque. "Cerchero' di far questo film", senza rinunciare allo stile. "Oggi", conclude, "in Italia la gente accorre in massa a vedere la commedia conciliante con il potere rispetto alla stagione 'contro' il potere: altrove, negli Usa, in Francia e nel mondo il dramma e la tragedia come 'Vincere', affascinano rispetto al genere farsesco molto conciliante, come la satira garbata dei telefoni bianchi". (AGI) Pat