Il Messaggero 10.11.10
Bersani: «Pronti al nuovo governo ma deve segnare una ripartenza»
di Claudio Sardo
ROMA - «Non c’è spazio per i traccheggiamenti. Il Paese non può sopportarli. La maggioranza non c’è più e dobbiamo fare il possibile per formalizzare la crisi di governo». Pier Luigi Bersani ha riunito ieri sera il vertice del partito e ha affidato ai capigruppo il compito di disseminare il terreno parlamentare di ostacoli per ottenere, prima possibile, la caduta del governo. Tra gli strumenti a disposizione del Pd c’è anche la mozione di sfiducia. Sulla mozione, reclamata da Antonio Di Pietro ma considerata da Pier Ferdinando Casini «un favore a Berlusconi», è emerso tuttavia un imbarazzo tattico. I finiani non potrebbero voterla e dunque, se il documento andasse presto al voto, potrebbe trasformarsi in un vantaggio per il Cavaliere. Per questo non sono mancate le riserve nel gruppo dirigente Pd. Dario Franceschini ha annunciato al termine del vertice al Nazareno: «Presenteremo la mozione dopo la legge di stabilità».
La mozione insomma arriverà fra qualche settimana e ora sarà usata più che altro come strumento di pressione. È probabile che il Pd preferisca persino anticipare la mozione di sfiducia al ministro Bondi (su cui più facilmente potrebbe convergere il Fli). Tuttavia, Bersani ha voluto ugualmente lanciare un messaggio di mobilitazione al partito: «Dobbiamo mettere in campo tutte le iniziative per fare in modo che, quando si aprirà la crisi, il Pd si troverà nel posto di combattimento». Ovviamente c’è un messaggio rassicurante anche per Udc e Fli: «Porteremo avanti le nostre battaglie sempre tenendo i collegamenti con le forze di opposizione». Il Pd, insomma, scommette che Fli e Udc non torneranno al tavolo con Berlusconi, almeno prima di una crisi formale, e per questo continuerà a giocare di sponda, come ieri a Montecitorio dove il governo è stato tre volte battuto.
Ieri comunque Bersani ha insistito sul rafforzamento del profilo del Pd. Il 16 novembre il Pd presenterà «alle forze sociali un nuovo patto per la crescita». L’11 dicembre ci sarà poi la manifestazione di piazza. Nichi Vendola aveva chiesto ieri di trasformarla in un’iniziativa comune del centrosinistra. Bersani ha risposto: «Sarà aperta a tutti, ma presenteremo lì la nostra piattaforma».
La proposta del Pd è un «governo di transizione» che «dià il senso della ripartenza del Paese». Un governo per fare la legge elettorale e alcuni provvedimenti per il lavoro. Ma non un governo qualunque: «Il Pd non ci starà a un Berlusconi-bis, né a un governo di ricomposizione del centrodestra» (quindi no a un governo Tremonti). Prima del vertice Walter Veltroni ha annunciato per il 15 gennaio il «Lingotto due», assemblea del suo Movimento democratico nella quale intende rilanciare «la sfida riformista». «L’anomalia di oggi - ha detto Veltroni - è che la maggioranza è in crisi, ma non esiste ancora un’alternativa credibile». Nella riunione comunque la linea del governo di transizione è stata largamente condivisa, mentre un problema si è aperto sulla Sicilia (dopo le accuse a Lombardo). Beppe Fioroni, a nome della minoranza, ha chiesto la gestione unitaria. Bersani gli ha risposto, assicurando che «ci sarà una gestione condivisa della crisi». Marco Follini ha proposto invece che, in caso di elezioni anticipate, le alleanze del Pd vengano comunque decise «con un voto» negli organi di partito.
Repubblica 10.11.10
Il Pd valuta la sfiducia dopo la Finanziaria
I dubbi di Bersani sui finiani
di Giovanna Casadio
ROMA In contatto anche con il Quirinale. Pier Luigi Bersani prima di convocare la segreteria, l´assemblea dei coordinatori regionali e, in serata, il vertice dei big del Pd valuta come prioritario l´appello del presidente Napolitano, ovvero che la crisi politica non intralci l´approvazione «improrogabile» della manovra finanziaria. Perciò, i Democratici pensano sia più opportuno presentare la mozione di sfiducia a Berlusconi dopo l´ok alla legge di bilancio. Non tutti la vedono così nel partito, c´è chi vuole accelerare. Comunque, saranno i capigruppo Dario Franceschini e Anna Finocchiaro a valutare, con le altre opposizioni. Ma il "piano A" che il segretario ha proposto è: «Puntare a un governo di transizione, della durata di un anno, per fare legge elettorale, riforma del fisco e misure di aiuto ai giovani». No a «un Berlusconi bis», che sarebbe «un delirio» o a una semplice riorganizzazione del centrodestra che si trasformerebbe in un «campo d´Agramante». Insomma non ci sarà un sì a ogni ipotesi di governo tecnico, dal momento che ci vuole «discontinuità». Se si va alle elezioni lo schema bersaniano è: Pd forte, nuovo Ulivo e dialogo con l´Udc. A proposito di Vendola che chiede al Pd di fare della manifestazione dell´11 dicembre un appuntamento comune, risponde: «I nostri amici ci danno sempre un sacco di buoni consigli. Ma le decisioni le prendiamo noi». In pratica, sì a una manifestazione aperta a tutti ma la organizza il Pd con una sua piattaforma. In forse l´Assemblea nazionale di Napoli. Infine il 16 novembre nell´incontro con le parti sociali sarà presentato il «nuovo patto» per il paese.
Qualche timore che, dopo l´incontro con Bossi, Fini possa ricucire, i Democratici ce l´hanno. Il segretario ne parla più volte ieri con Di Pietro e Casini. «Lo showdown del governo è una previsione facile, ma l´invito di Napolitano e il buonsenso afferma Marco Follini devono garantire l´approvazione della legge di bilancio per senso di responsabilità istituzionale».
C´è per Bersani la spina nel fianco dei "Modem", il movimento di Veltroni, Fioroni e Gentiloni. Si riuniscono, ieri. Veltroni annuncia un nuovo Lingotto (il 15 gennaio, invitati il "rottamatore" Matteo Renzi, il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino e Bersani), e va all´attacco: «L´anomalia di questa situazione è che la maggioranza è in crisi ma non esiste ancora un´alternativa credibile». Lancia l´allarme: «Il rischio è che per l´elettorato in fuga dalla destra siano Casini e Fini a rappresentare l´alternativa. Il Pd deve riprendere il cammino originario, senza vocazione maggioritaria non ha identità». Non risparmia critiche, anche se, dice, sono «per sostenere il partito»: «Dobbiamo fare il partito dove si possa parlare senza aspettare quello che dice il capocorrente», e sottolinea la «scissione silenziosa» che c´è stata tra gli elettori e il Pd. Nel coordinamento poi, i veltroniani sollevano anche il "caso Sicilia", ovvero l´appoggio a Lombardo. «La situazione è insostenibile, la moralità viene al primo posto», osserva Walter Verini. Gentiloni parla del Pd come «promessa non mantenuta»; Fioroni chiede a Bersani una gestione unitaria e «un gabinetto di crisi».Pressing di Di Pietro: «Sfiduciamo Berlusconi», senza aspettare l´Udc, «amante infedele». In serata nuovo colloquio tra Bersani e Casini. Per il leader dell´Udc, «via Berlusconi il galleggiatore; no a elezioni anticipate; quindi un esecutivo di spessore che raccolga le forze migliori del paese».
come mettere a posto una "mosca cocchiera":
«A proposito di Vendola che chiede al Pd di fare della manifestazione dell´11 dicembre un appuntamento comune, risponde: «I nostri amici ci danno sempre un sacco di buoni consigli. Ma le decisioni le prendiamo noi». In pratica, sì a una manifestazione aperta a tutti ma la organizza il Pd con una sua piattaforma»
estratto dall'articolo di Casadio qui sopra. Vendola all'annuncio della manifestazione fatto da Bersani aveva subito bizzosamente detto "Io non ci vengo!" La cosa, come le sue politiche sanitarie in Puglia in favore di don Verzè, l'amicone del premier del "bunga bunga" era subito piaciuta ai siti berlusconiani. Poi, evidenziatasi una freddezza nella sua stessa base - manifestando una davvero particolare percezione della propria realtà, non ha neanche un seggio in Parlamento - aveva arrogantemente lanciato la propria "offerta" di una manifestazione che non avrebbe dovuto più essere del Pd che l'aveva lanciata ma di una fantomatica "Sinistra delle Alternative" (notare il plurale!). Anche questa uscita ieri era stata subito con favore evidente rilanciata dai siti berlusconiani e in particolare da TgCom, diretto da Liguri... ex sessantottino e fedelissimo maggiordomo di Berlusconi. Vedi qui
http://www.tgcom.mediaset.it/politica/articoli/articolo495426.shtml
l’Unità 10.11.10
Gruppo Everyone
La persecuzione dei Rom
Il Gruppo EveryOne e le ong italiane che si occupano di diritti umani promuovono un appello urgente presso le Istituzioni dell’Unione europea e le Nazioni Unite contro un nuovo provvedimento xenofobo e razziale già varato dal Consiglio dei ministri italiano. Si tratta di un altro pacchetto-sicurezza (decreto legge), preparato dal ministro degli Interni e approvato da un governo ormai in crisi e sempre più ostaggio della Lega Nord. Il pacchetto-sicurezza contiene provvedimenti xenofobi e contrari allo spirito e alle norme dell’Unione europea, in particolare laddove prevede di allontanare i cittadini comunitari (soprattutto quelli Rom) colpiti da discriminazione sociale e razziale e di conseguenza in stato di povertà, costretti a sopravvivere mendicando. Questo progetto di espulsioni di massa viola sia la Direttiva 2004/38/CE (libera circolazione) sia la Direttiva europea 2000/43/CE (non discriminazione) sia la Carta dei diritti fondamentali nella Ue, che protegge i cittadini poveri e appartenenti a minoranze etniche discriminate. Il progetto di repressione xenofoba viola inoltre i diritti delle famiglie, dei fanciulli e degli individui malati o vulnerabili bollati quali “problemi di sicurezza”. Nuovi provvedimenti contro i Rom costituirebbero gravi e intollerabili abusi.
l’Unità 10.11.10
Telelombardia pronta a mandarlo in onda a gennaio. Il Pdl si appella all’Autorità garante
Censurato in Australia Nella versione nostrana spiega che il 67% degli italiani è favorevole
«Ho fatto la mia scelta finale» Spot radicale sull’eutanasia
Ignazio Marino (Pd) «Meglio dare battaglia sul testamento biologico»
di Mariagrazia Gerina
La campagna l’ha lanciata Exit International.Ora i radicali vogliono portarla anche in Italia. Dove però lo stesso testamento biologico è ancora tabù. L’ultracattolica Eugenia Roccella: «Morire non è un diritto».
Immaginate la scena. La tv accesa. E dal piccolo schermo, improvvisamente, un uomo, un po’ dimesso, seduto su un letto con una maglietta bianca che sa di convalescenza. Ha gli occhi cerchiati di nero, la voce didascalica da «pubblicità progresso». «Ho fatto la mia scelta finale, ho solo bisogno che il governo mi ascolti», spiega. Sta parlando di eutanasia. «La vita è questione di scelte dice -, io ho scelto di studiare ingegneria, ho scelto di sposare Tina e di avere due figli splendidi, ho scelto questa maglietta, il taglio di capelli... quello che non ho scelto è di diventare malato terminale, non ho scelto di patire la fame per il fatto che mangiare mi fa male come ingoiare lamette da barba e certamente non scelto che la mia famiglia debba vivere questo inferno assieme a me». Poi ricordatevi che siamo in Italia. E immaginatevi le difficoltà che uno spot del genere, che fa parte di una campagna lanciata da Exit International, potrà incontrare.
Ecco, mandare in onda questo spot, trasmesso in Canada ma censurato in Australia, è la nuova sfida lanciata dai radicali italiani. Per ora, la versione italiana, è visibile solo in re-
te (il video lo trovante anche sul sito de l’Unità). A metterlo online è stata l’associazione Luca Coscioni. Ma Telelombardia ha dato la sua disponibilità a trasmetterlo anche sul piccolo schermo. Sempre che l’Autorità garante delle comunicazioni dia il suo via libera.
L’ambizione spiega Marco Cappato è quella di «sbarcare anche su emittenti nazionali» e dare alla campagna la più ampia diffusione possibile. La raccolta fondi per finanziare, attraverso l’associazione Luca Coscioni, i costi della eventuale messa in onda è già partita. E «se l’Authority dirà no, noi useremo tutti i canali per raggiungere con il video i cittadini italiani, anche a costo di trasmetterlo dall’estero», annuncia Cappato che dell’associazione è segretario. D’altra parte lo spot fa notare Capato «chiede solo che il Governo faccia il suo dovere e ascolti».
Il fatto è che siamo in Italia. E sarà pure il paese in cui, come recita lo spot adattato al pubblico italiano, il 67% degli intervistati nell’ultimo Rapporto Eurispes ha risposto che è favorevole alla legalizzazione dell’eutanasia. Ma per la storia, almeno per ora, resta il paese in cui Beppino Englaro per far morire in pace sua figlia Eluana, in coma irreversibile dal 1992, vinta una battaglia legale estenuante, ha dovuto sfidare anche il governo. La sentenza attesa per quasi vent’anni glielo permetteva, il governo ha cercato di impedirglielo fino all’ultimo con un decreto che imponesse ai medici di proseguire l’alimentazione artificiale. C’è voluto il rifiuto di Napolitano a firmarlo. E la morte di Eluana per convincere l’esecutivo ad accantonare anche il ddl nel frattempo proposto in tutta fretta all’esame del Senato. E tuttavia, un anno e nove mesi dopo, il testamento biologico, in parlamento, è ancora un tabù.
TABÙ ANCHE IL TESTAMENTO
Secondo il Pd Ignazio Marino, spiazzato dallo spot radicale, la frontiera su cui battere resta quella. Dopo aver accantonato il suo ddl, l’attuale maggioranza ha affossato anche il ddl sempre sul testamento biologico presentato dall’ultracattolica Eugenia Roccella: perché Fini, crisi di governo a parte, non lo calendarizza?
Lo spot sull’eutanasia «rischia di diventare uno strumento utilizzato impropriamente da questa maggioranza per dire “noi siamo pro vita, loro pro morte”»
«La scelta tra la vita e la morte non è accostabile alla scelta di un taglio di capelli o altro», tuona immediatamente Eugenia Roccella. Mentre la vice capogruppo del Pdl al senato Laura Bianconi lancia un «accorato appello all’autorità garante». E anche secondo il vicepresidente della Società europea di cure palliative, il video è «fuorviante» ed è a rischio di «strumentalizzazione e confusione». Insomma, lo spot non è ancora andato in onda ma il muro di no è già alto.
da Repubblica
Da senatori del Pd come il professor Ignazio Marino, latore del disegno di legge sul testamento biologico, e Augusto Caraceni dell´Associazione europea cure palliative, che giudica lo spot «fuorviante». «Rischia infatti di diventare uno strumento utilizzato dalla maggioranza per dire "noi siamo pro vita, loro pro morte" rendendo ancora più difficile il percorso della legge sul testamento biologico che attende di essere messa in discussione alla Camera. Io sono contrario all´eutanasia, ovvero a somministrare un veleno per fermare in un momento predeterminato la vita di un´altra persona», ha detto Marino, «va risolta però non solo la questione della libertà di autodeterminazione della scelta delle terapie, ma anche quella del finanziamento offensivo della legge sulle cure palliative: solo un milione e mezzo di euro l´anno».
l’Unità 10.11.10
Addio a Natoli, comunista a sinistra di Togliatti e maoista libertario
Se ne è andato a 97anni uno degli animatori del gruppo romano clandestino del Pci, che fu segretario della federazione romana nonché fondatore del Manifesto. Dirigente degli edili, studioso di Gramsci e dello stalinismo.
di Bruno Gravagnuolo
Un intellettuale poliedrico, completo: medico, urbanista, storico, giornalista, consigliere comunale, deputato. E militante comunista infaticabile, soprattutto fino alla radiazione dal Pci nel 1969, allorquando con Rossanda e Pintor fu una delle anime costitutive e fondatrici del Manifesto. Questo era Aldo Natoli, scomparso ieri l’altro a 97 anni nella sua casa romana. Uomo dal tratto umano vigoroso e aperto, colloquale e intenso, così come ha ricordato Giorgio Napolitano, oggi Presidente della Repubblica e al tempo del Manifesto suo radicale avversario politico. Che oggi rievoca con affetto le sue nozze civili celebrate in Campiodoglio proprio dall’allora consigliere comunista Aldo Natoli.
Nato a Messina il 20 settembre 1913, Natoli diviene medico e inviato all’Institut du Cancer parigino. Da Parigi tesse le fila della clandestinità comunista antifascista con il fratello maggiore Glauco, che all’epoca era incaricato all’Università di Strasburgo. Attività decisiva nella storia dei comunisti romani, che vede coinvolti tra gli altri Pietro Ingrao, Alicata, Bufalini, Trombadori e che gli procura una condanna a cinque anni di carcere scontata nel carcere di Civitavecchia, e abbreviata nel 1942 per indulto. Rientrato in clandestinità Natoli entra nel gruppo dirigente militare del Cln e dà impulso alla rifondazione de l’Unità. In seguito sarà segretario del Pci romano e deputato per quattro legislature. Centrali nell’attività di Natoli furono le lotte degli edili e la battaglia per la riforma urbanistica. Siamo negli anni del «sacco» di Roma e delle giunte Cioccetti, che trovano in Natoli un formidabile oppositore, popolarissimo tra gli operai romani.
Collocato alla sinistra di Togliatti, pur nel solco del «partito nuovo» togliattiano, Natoli è schierato su posizioni ingraiane. Sostiene il «nuovo modello di sviluppo» economico anti-capitalistico, nel solco delle analisi ingraiane attente alla modernità
L’antifascista Aldo Natoli
neocapitalistica degli anni 60. Ed è lungo questa strada, dopo il X e l’XI Congresso Pci, che vedono battuta la sinistra del partito, che Natoli diventa uno dei protagonisti dell’eresia del Manifesto. Una vicenda che nel 1969 si concluderà con la radiazione del gruppo e la nascita del Quotidiano comunista, dopo l’iniziale fase «frazionista» della rivista.
Sull’onda del 1968 e delle lotte operaie, ma soprattutto sull’onda dei fatti di Praga e della Rivoluzione culturale maoista, Natoli teorizza una transizione democratica e di massa al socialismo. In nome di un’utopia marxista radicale, profondamente rivisitata. Anche del maoismo, specie in collaborazione con Lisa Foa, Natoli offre un’interpretazione non marxista-leninista e ortodossa. Ma conflittualista e libertaria, interessata alla specificità cinese e confortata dagli scritti del Mao inedito che con Lisa Foa contribuirà a diffondere. L’altro versante dell’impegno di Natoli fu la storia. Gramsci, e la storia dello stalinismo innanzitutto. Al primo dedica il suo lavoro più imporatante: Antigone e il prigioniero. Tania Schucht lotta per la vita di Gramsci (Editori Riuniti, 1991). Mentre con Chiara Daniele pubblica per Einaudi nel 1997 le Lettere 1926-35. Altro libro importante: Sulle origini dello stalinismo, Vallecchi, 1979. E dentro quei libri un unico rovello: la giustezza del comunismo e il suo ruolo emancipatorio nella storia. Malgrado le degenerazioni e le repliche della storia.
Susanna Camusso (Magazine novembre 2008)
una intervista di Vittorio Zincone
http://www.vittoriozincone.it/interviste/susanna-camusso-magazine-novembre-2008/
Anche lei era coi comunisti italiani?
«No».
Come mai?
«Per spirito laico e libertario. Ero socialista».
Craxiana?
«No. Lombardiana».
l'Unità 10.11.10
I metalmeccanici chiedono a Corso d’Italia di sospendere la trattativa con Confindustria
Susanna Camusso replica: «Sottovalutano le possibilità di discussione con le imprese»
Sul tavolo della produttività nuovo scontro Fiom-Cgil
All’indomani del passaggio di consegne tra Epifani e Camusso, continua lo scontro interno tra la Cgil e la Fiom, che chiede alla confederazione di sospendere il tavolo con Confindustria sulla produttività.
di Luigina Venturelli
Il braccio di ferro tra Fiom e Cgil non si ferma per il passaggio di consegne tra Guglielmo Epifani e Susanna Camusso. Nessuna sospensione di cortesia per la nuova segretaria generale di Corso d’Italia, che a pochi giorni dall’insediamento deve rispondere alle tute blu sulle attuali strategie del sindacato. In particolare, sull’opportunità di sospendere il tavolo di confronto con Confindustria sulla produttività e di proclamare uno sciopero generale dei lavoratori di tutte le categorie.
Queste sono le due richieste messe nero su bianco dal Comitato centrale della Fiom di lunedì scorso. E già declinate dalla Cgil. «Susanna Camusso sta proseguendo quanto definito da Gugliemo Epifani, non mi sembra che ci siano elementi di particolare diversità. Noi invece abbiamo chiesto discontinuità» ha infatti commentato il leader dei metalmeccanici Maurizio Landini, rompendo ieri il silenzio sulla sua elezione.
IL TAVOLO SULLA PRODUTTIVITÀ
A riaccendere la dialettica interna è soprattutto la trattativa in corso sulla produttività, praticamente l’unica in cui si stia discutendo unitariamente su salari e organizzazione del lavoro. «Credo che la Fiom sottovaluti le possibilità di discussione con il complesso del sistema delle imprese» ha spiegato Camusso, ieri a Bologna per un’assemblea dei delegati, parlando delle attese deluse delle aziende che «man mano si sono disamorate per l’assenza di risposte del governo». Per questo «vediamo, misuriamo i contenuti, non abbiamo paura di confrontarci con gli altri».
Ma le tute blu insistono nel chiedere che la confederazione si alzi dal tavolo. Per una ragione di metodo: «Le posizioni della Cgil non sono state discusse in nessuna sede e non mi risulta che ci siano appuntamenti di discussione interna». E una di merito: «Materie quali gli orari non sono di competenza della confederazione ma delle categorie, non c’è titolarità della confederazione a trattare» ha sottolineato Landini. «Quella di cui si parla non è produttività, non raccontiamo balle».
LO SCIOPERO GENERALE
Anche per questo i metalmeccanici continuano a premere perché Corso d’Italia proclami uno sciopero generale. «È la normale conseguenza di quanto avviene» afferma l’organizzazione, citando tra le tante ragioni della protesta le deroghe al contratto nazionale, il nuovo statuto dei lavori e il collegato lavoro.
Ma anche su questo punto Susanna Camusso ha preso tempo: «Lo valuteremo, come abbiamo detto in più occasioni». Per il momento la Cgil è impegnata nell’organizzazione della manifestazione nazionale del 27 novembre, per cui la leader ha chiesto a tutte le strutture «uno sforzo eccezionale, politico e organizzativo, perché a Roma convergano centinaia di migliaia di giovani, lavoratori e pensionati». Per lo sciopero generale, invece, bisognerà attendere: «Noi vorremmo che nella Finanziaria comincino a esserci le risposte che stiamo chiedendo. A quel punto faremo una valutazione: se non ci saranno, dovremo ovviamente aumentare la qualità e l’intensità dell’iniziativa». Anche perché «abbiamo alle spalle tre scioperi generali» e «continueremo a utilizzare questo strumento, ma misurando man mano come e se muterà la situazione politica».
Maurizio Landini è un uomo di Sel, cioè di Nichi Vendola...
il Fatto 10.11.10
Fiom contro Camusso: dialoghi troppo con Confindustria
È già scontro tra Landini e il nuovo segretario della Cgil
Il problema sono le trattative con imprese e governo
di Salvatore Cannavò
A pochi giorni dalla sua elezione alla segreteria generale della Cgil, Susanna Camusso si trova a dover fare i conti con un'offensiva esplicita che le viene lanciata dalla Fiom di Maurizio Landini il quale, consapevole che l'effetto della grande manifestazione del 16 ottobre non durerà in eterno, decide di mettere la Cgil alle strette. Lunedì un Comitato centrale della Fiom, eieri una conferenza stampa.
Il nodo è il tavolo per il nuovo Patto sociale avviato da Confindustria con la partecipazione convinta di Guglielmo Epifani prima e della Camusso poi. Quel tavolo ha finora partorito quattro accordi su "emergenza sociale, mezzogiorno, ricerca e innovazione, semplificazione burocratica" già consegnati al governo. E ora sta per affrontare punti più delicati come fisco, federalismo e produttività. E' su questo punto che la Fiom invita la Cgil a “sospendere il negoziato” per consentire a tutta la Cgil di “poter conoscere e discutere preventivamente le scelte negoziali”. Nessun mandato in bianco, dice la Fiom, soprattutto visto che già ora sono stati consegnati al governo documenti in cui si dice “di incrementare e rendere strutturali tutte le scelte normative che incentivano la contrattazione di secondo livello, che collegano aumenti salariali variabili all'andamento delle imprese”. Una formula che, secondo Landini, mette in discussione il contratto nazionale. Queste posizioni sono state approvate, l'altro ieri, dal Comitato centrale della Fiom dopo uno con la minoranza interna di Fausto Durante, sulle posizioni della Camusso. Ieri, intervenendo a una riunione di delegati a Bologna, Susanna Camusso ha ribadito la distanza da Landini: “Credo che la Fiom sottovaluti una contingenza nella quale si sono aperte delle possibilità di discussione con il sistema delle imprese”. Il punto è tutto qui. La Cgil vuole approfittare della nuova linea della della Confindustria di Emma Marcegaglia che punta a tenere insieme due esigenze: tenere in piedi un tavolo di "concertazione" e continuare a denunciare l'inattività del governo Berlusconi. Venendo meno l'asse degli industriali con il governo – che ha sempre lavorato all'esclusione del primo sindacato italiano – si apre una nuova opportunità per la Cgil di tornare a un tavolo di trattativa e chiudere accordi. Landini però teme che, a fronte di un’evidente crisi del governo, l'ansia di liberarsi di Berlusconi possa indurre la Cgil ad accettare un Patto dalle ricadute negative per il mondo del lavoro. Del resto, lo stesso Gianfranco Fini nel suo discorso di domenica a Bastia Umbria, ha utilizzato come base programmatica di un eventuale nuovo esecutivo i punti individuati da imprese e sindacati, compreso quello sulla produttività che va ancora perfezionato. E la Fiom inizia a preoccuparsi di un governo di responsabilità nazionale come quello di Ciampi del 1993. Così come teme il consenso che ha riscosso a sinistra l'insediamento di Susanna Camusso, che potrebbe portare a una "normalizzazione" della Cgil, riducendo il peso della linea dura della Fiom. Ecco perché Landini è passato all'offensiva, organizzando anche un'assemblea dei delegati Fiat il prossimo 18 novembre alla presenza del segretario Cgil – e la campagna "Io sto con la Fiom" per sostenere il tesseramento, oltre a rilanciare ma anche rilanciando sulla legge per la democrazia sindacale. La Fiom ha raccolto centomila firme su una legge di iniziativa popolare che la Cgil non apprezza perché renderebbe più difficile i rapporti con Cisl e Uil (che non amano molto l'idea del voto diretto dei lavoratori sugli accordi). Questa proposta, però, oggi avrà un momento di visibilità perché l'Italia dei Valori ha deciso di farla propria e di portarla in Parlamento e lo spiegherà oggi in una conferenza stampa in cui, a fianco di Antonio Di Pietro e Maurizio Zipponi (responsabile Lavoro del partito) ci sarà proprio Landini.
Repubblica 10.11.10
Cuba, la rivoluzione del mercato
Dopo 13 anni Raúl convoca il Congresso del Pcc: ratificherà l´apertura al privato
Libera impresa e tagli al pubblico impiego, sbloccate le transazioni immobiliari Anche l´Avana contagiata dal modello cinese
di Omero Ciai
Tanti distinguo e molte premesse sul socialismo come «unico sistema capace di vincere le difficoltà e conservare le conquiste della rivoluzione del ‘59», ma il dado è tratto: la rivoluzione di Raúl avrà il battesimo di un Congresso del Partito comunista cubano. Il primo, convocato per il prossimo aprile, dopo 13 anni. Il documento precongressuale si chiama Lineamenti di politica economica e sociale in distribuzione da ieri sull´isola riassume e sviluppa le riforme annunciate dal nuovo presidente cubano che ha sostituito alla guida del paese il fratello Fidel nell´estate del 2006.
Per la prima volta Cuba abbandonerà l´ortodossia economica tanto cara al líder maxímo e tenterà la strada della convivenza fra regime politico a partito unico ed economia di mercato. La chiave di volta delle riforme sarà il taglio di circa mezzo milione di impieghi statali e l´espansione del settore privato con la concessione di circa 250mila licenze per la formazione di nuove imprese e il lavoro in proprio. Scomparirà la "libreta" di razionamento per l´acquisto nei negozi di Stato, verrà liberalizzato il mercato immobiliare (a Cuba oggi le case le assegna lo Stato) e verranno ridotti anche i servizi sociali gratuiti (scuola e sanità). Il documento precisa che «nell´aggiornamento del socialismo la priorità sarà ancora la pianificazione e non il mercato». Quella statale rimarrà «la forma principale dell´economia» ma sarà promosso un sistema imprenditoriale privato con «imprese forti e ben organizzate». Un´altra riforma importante e molto attesa dai cubani sarà quella che eliminerà gradualmente il doppio regime monetario (oggi ci sono il peso che è la moneta con la quale i cubani ricevono lo stipendio e il peso convertibile, che ha un valore pari al dollaro e con il quale si comprano la maggior parte dei prodotti, dalla carne alle verdure).
Non solo: Raúl sembra dare già per scontata la formazione, grazie all´apertura economica, di una classe medio-alta privilegiata quando propone tra l´altro lo sviluppo di una rete importante di campi da golf, spiagge e condomini di lusso. L´intenzione è che il VI Congresso del Pcc si occupi solamente di economia ma sarà inevitabilmente anche l´ultima occasione di discussione pubblica della generazione, ormai ultra ottantenne, che ha partecipato alla rivoluzione del 1959. Al termine dell´assise infatti è previsto un profondo ringiovanimento di tutte le cariche politiche più importanti.
Fedele al calendario rivoluzionario, Raúl ha scelto l´anniversario della Baia dei Porci (17 aprile ´61) come data per il Congresso. Come a dire che il suo non è un salto nel buio e che anche suo fratello condivide la nuova rotta. Con vent´anni di ritardo l´Avana s´avvia, grazie a Raúl, sulla strada che auspicava Gorbaciov nel suo viaggio a Cuba prima che Fidel applaudisse al fallito putsch conservatore che mise fine alla sua leadership e all´Urss.
Corriere della Sera 10.11.10
Le cifre dell’ambiente In tre anni fondi tagliati di più della metà
di Alessandro Arachi
Perso un miliardo di euro, parchi e ricerche a rischio
I bilanci sono decisamente disastrati. Sotto la soglia della sopravvivenza. Dal 2008 a oggi, infatti, è stato tagliato quasi un miliardo di euro, circa i due terzi della somma totale a disposizione del ministero dell’Ambiente. Non solo. Da qui al 2013 sono in previsione ulteriori tagli, oltre 200 milioni di euro nel complesso. Sui parchi l’ultimo allarme è stato lanciato ieri, dal ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo: «Dopo i tagli che sono stati fatti ai fondi per i parchi, sarò costretta a chiuderne almeno la metà».
ROMA Sui parchi l’ultimo allarme è stato lanciato ieri, con disperazione. Ma già più e più volte il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo aveva avvisato, cercando di attirare l’attenzione: dopo i tagli che sono stati fatti ai fondi per i parchi, sarò costretta a chiuderne almeno la metà.
La verità, tuttavia, è che a dare un’occhiata ai bilanci del dicastero dell’Ambiente usciti dalla manovra economica, si può vedere come i parchi siano soltanto la punta dell’iceberg della disperazione.
I bilanci sono decisamente disastrati. Sotto la soglia della sopravvivenza. Dal 2008 ad oggi, infatti, è stato tagliato quasi un miliardo di euro, oltre la metà della somma totale a disposizione del ministero dell’Ambiente. Non solo. Da qui al 2013 sono in previsione ulteriori tagli, oltre 200 milioni di euro nel complesso.
Per capire meglio: si è partiti nel 2008 da un miliardo e 649 milioni si è arrivati oggi a 738 milioni, si punta al 2013 ad un cachet di poco più di 500 milioni. Tradotto: in certi casi non si riesce neanche a pagare le bollette. Il taglio per il 2011 riguarda diverse voci.
Come nel caso dei parchi, sicuramente. Dai 57 milioni di euro a disposizione si è tagliato quasi il 40% arrivando a 35 milioni. I conti sono facili: oltre 29 milioni di euro servono solamente per pagare gli stipendi. Rimangono 7 milioni per tutto. E tutte le bollette non si pagano di certo.
Andando avanti a sbirciare il bilancio, la situazione non è certo più rosea. Avete presente l’Ispra? L’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale? Quello che si occupa un po’ di tutto quanto avviene nel nostro Paese in tema di ambiente dal punto di vista scientifico, dal capodoglio che si spiaggia al fiume che esonda?
Anche per l’Ispra vale il discorso dei parchi: i tagli dei fondi lo portano sotto la soglia di sopravvivenza. Già prima si barcamenava al limite con 87 milioni di euro, di cui 80 andavano tutti a coprire le spese del personale. Ora di milioni gliene sono rimasti solamente 79 e, oltre a non pagare gli stipendi, l’Ispra deve dire addio anche a tutte le convenzioni esterne. Quelle che, alla fine, permettevano di operare più di tutti sul nostro territorio.
Arrivati alla voce dei Fondi Fas (Fondi aree sottosviluppate), bisogna guardarla e riguardarla più volte per credere alle cifre scritte. In bilancio sono rimasti solamente i 900 milioni di euro per il disastro idrogeologico, tagliati comunque di oltre il 20%. Niente altro.
Le bonifiche? C’erano a disposizione 3 miliardi di euro in questa voce. Ora? Zero. Non c’è nemmeno un centesimo. Tradotto, semplicemente: lo Stato non può più pagare bonifiche. Punto. Azzerate anche le risorse per il progetto della Valle del Po (180 milioni) e tutto quello che riguarda le risorse naturali e culturali per lo sviluppo (265 milioni).
E le sorprese non sono finite. Con questi tagli entro due anni viene messa a rischio qualsiasi attività di controllo e di intervento in mare.
Adesso, infatti, sta per entrare in attività il contratto di Castalia, la società preposta a questi controlli. Ma una volta terminato questo i fondi rimasti non lasceranno spazio ad altri contratti.
C’erano, infatti, 23 milioni di euro alla voce di monitoraggio marino costiero. Nel 2011 ce ne saranno 16 milioni. E anche in questo caso: stipendi, bollette, spese correnti. La sopravvivenza non viene garantita.
Il ministero dell’Ambiente, insomma, potrebbe anche chiudere i battenti.
Corriere della Sera 10.11.10
«È triste quel Paese che accusa Galileo» La difesa di Milton
di Nuccio Ordine
La lotta per emancipazione della scienza e tolleranza
«È quasi uguale uccidere un uomo che uccidere un buon libro. Chi uccide un uomo uccide una creatura ragionevole, immagine di Dio; ma chi distrugge un buon libro uccide la ragione stessa»: John Milton (1608-1674) dedica pagine straordinarie in difesa della libertà di stampa, della molteplicità delle opinioni e della tolleranza. La sua Areopagitica (pubblicata nel 1644) si presenta come un grido d’allarme contro ogni forma di censura. Un denso pamphlet che, nonostante il suo forte legame con alcune vicende storiche legate alla presa di potere del Parlamento inglese, conserva un vigore ancora attuale, in grado di smascherare coloro che al servizio di qualsiasi Chiesa (religiosa o laica) si arrogano il diritto di decidere cosa sia meritevole di essere proibito.
Per Milton il controllo della stampa non serve a «sopprimere quei libri scandalosi, sediziosi e diffamatori» ma serve solo «a scoraggiare ogni studio e a soffocare la Verità».
Liquidare, infatti, «le opinioni per la loro novità o perché sgradevoli al comune consenso» significa invitare a diventare «ignorante e indolente». E la tragica esperienza personale di Galileo («invecchiatosi prigioniero dell’Inquisizione perché pensava in astronomia diversamente da quanto i censori francescani e domenicani pensavano») testimonia come le «condizioni servili in cui il sapere era stato ridotto» avessero offuscato l’antica «gloria dell’ingegno italiano». Lo scrittore inglese — che dichiara di aver incontrato lo scienziato pisano nel 1638 in occasione di una sua visita a Firenze e che lo ricorderà successivamente in tre libri del Paradiso perduto — proprio in quel viaggio italiano fu «ritenuto felice», da alcuni dotti, «d’esser nato in un tale posto di libertà del pensiero quale supponevano fosse l’Inghilterra» a differenza, invece, dell’Italia dove «ormai da molti anni» si pubblicavano testi in odore di «adulazione e banalità».
Ecco perché la legge sulla censura, promossa dal Parlamento inglese nel 1643, avrebbe sicuramente frenato la crescita culturale del Paese, come il papismo aveva frenato lo sviluppo scientifico e civile dell’Italia. Per Milton, non si può controllare la conoscenza come si controllano le balle di lana nei mercati, perché il sapere non merita nessun tipo di schiavitù. Non a caso nella Sacra Scrittura la «verità è paragonata a una fonte che scorre». E «se le sue acque non fluiscono in perfetta continuità, imputridiscono in uno stagno melmoso di conformismo e di tradizione». Non solo. La verità è anche lacerata «in mille pezzi» che «mai troveremo».
Bisogna combattere «questa tradizione pretesca di ammassare libere coscienze e libertà cristiane in canoni e precetti umani»: basterebbe «un po’ di generosa prudenza, un po’ di tolleranza reciproca» per tentare di «collegarsi e unirsi in una comune e fraterna ricerca della Verità». La verità, infatti, «non ha bisogno di censure per vincere»: essa, al contrario, ha bisogno del dissenso, del confronto, della plurivocità, della molteplicità, della diversità. Solo attraverso il dialogo tra i più differenti punti di vista sarà possibile «unire quei pezzi separati ancora mancanti». I veri nemici della verità, infatti, sono coloro che, in nome della propria verità, impediscono agli altri di cercare.
Milton ne è sicuro: «Prima di ogni altra libertà, datemi la libertà di conoscere, di esprimermi e discutere liberamente secondo coscienza». I libri e la cultura non sono «per nulla cose morte» ma contengono «in sé una potenza di vita che li rende» straordinariamente attivi. Difendere i libri e la cultura significa difendere la libertà e la crescita civile e sociale di un Paese. Una lezione ancora viva per politici e ministri che, dietro ai cespugli, assistono incuranti allo sgretolarsi della nostra memoria storica (si veda la tragedia di Pompei), al degradarsi delle scuole, delle università e della ricerca. Solo nell’ignoranza, come suggerisce bene Milton, prospera un’umanità docile e conformista, ossequiosa del potere. La cultura, invece, è pericolosa e sovversiva. Come ricorderà, due secoli dopo, anche l’anonimo prete della Roma belliana: «Li libbri nun zò robba da cristiano: fiji, pe carità, nu li leggete».
il Fatto 10.11.10
La sfida disperata del “manifesto”
Rischio chiusura. Lutto per la morte del fondatore Aldo Natoli
di Beatrice Borromeo
Il calabrone non vola più. Diceva Luigi Pintor, uno dei padri fondatori del manifesto, che il suo giornale è come un calabrone, la stessa metafora usata dagli economisti per descrivere l’Italia: ha le ali troppo pesanti per volare, per le
leggi della fisica non dovrebbe stare in aria eppure, da 40 anni, il calabrone comunista sopravvive in edicola.
Solo che, da quando il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha cancellato il diritto soggettivo delle testate ad accedere ai contributi pubblici, nel bilancio del manife-
sto sono venuti a mancare 3 milioni e 700 mila euro all’anno. E tra edicola e abbonamenti vende appena 20 mila copie, zoccolo sempre duro ma insufficiente, mentre dalla pubblicità incassa 1,7 milioni all’anno. Soldi che non bastano a coprire i costi di una redazione di 90 persone, da sei mesi senza stipendio. “C’è un riccone in Italia che può comprare il manifesto per farlo restare così com’è?”, si è chiesto scherzando ma non troppo sulle colonne del Corriere della Sera un altro dei padri del manifesto, Valentino Parlato. Perché l’autotassazione dei lettori che ha salvato il quotidiano fino a oggi (come le vendite a prezzi maggiorati o la richiesta di comprare a 50 euro il best of del giornale) non basta più, e anche le linee di credito dei banchieri simpatizzanti si sono prosciugate.
IL DIRETTORE del manifesto Norma Rangeri non prende sul serio l’ipotesi del cavaliere bianco, anche perché molti in redazione (e tra i lettori) preferirebbero chiudere che consegnarsi a qualcuno che possa dettare la linea politica a un progetto culturale e giornalistico che da sempre si compiace di essere “autonomo, libero e senza padroni”. Il problema è che di soluzione alternative non se ne vedono. La Rangeri fatica a immaginare una via d’uscita dal profondo rosso che vive il quotidiano comunista: “Dobbiamo riuscire a sopravvivere per i prossimi tre mesi e raddoppiare la pubblicità”. Ma anche lei sembra considerarlo più un miracolo che un progetto industriale: per attrarre gli inserzionisti serve una crescita delle vendite, difficile da ottenere senza investire sul prodotto (il manifesto è praticamente l’unica testata ancora in bianco e nero). E i soldi per farlo proprio non ci sono.
“Non vogliamo morire a 40 anni ma in redazione c’è profondo sconforto. Mandare in stampa un giornale che da sei mesi non paga chi ci lavora è difficilissimo. Questa volta la possibilità di chiudere è seria”, dice la Rangeri mentre prepara un paginone per ricordare Aldo Natoli, storico fondatore del quotidiano, scomparso due giorni fa a 97 anni. “Gli volevo bene, ma non lo sentivo da tempo – spiega un altro del gruppo fondatore, Lucio Magri – e poi odio i necrologi, così vincolati a ricordi appiattiti”. Da un autobus di Londra, Luciana Castellina ricorda al telefono che Natoli “diceva che il Partito comunista era una giraffa, perchè si distingueva dagli altri. E Aldo era la giraffa nella giraffa, un intellettuale raffinatissimo e unico”. Per la Castellina la fine del manifesto – fondato nel 1969 da un gruppo di dirigenti del Pci espulsi dal partito perché si rifiutavano di avallare l’invasione sovietica della Cecoslovacchia – è dovuta alla “scomparsa della politica tutta” più che alla sconfitta della sinistra radicale e alla sua assenza in Parlamento.
IL MANIFESTO, sostiene la Castellina, “non può che essere la prima vittima della morte della politica. Era nato legato a un concetto, a un movimento. Non è mai stato un giornale in senso tradizionale, era un vero soggetto politico”. E quindi, lo ammette proprio Valentino Parlato, non ci può essere molta speranza: “Un quotidiano comunista fatica a sopravvivere se i comunisti non esistono più. L’unico che ancora li nomina è Berlusconi”.
neo-leghismo e filo-fascismo, questo è Sansonetti...
il Fatto 10.11.10
Sansonetti riabilita i moti di Reggio
Una Lega del sud al grido di “Boia chi molla”
di Enrico Fierro
Da pupillo di Bertinotti a moderno seguace del Cardinale Ruffo, passando per Ciccio Franco e i suoi “Boia chi molla”. Da quando Piero Sansonetti, ex direttore di “Liberazione”, è “sceso” a Cosenza per dirigere il quotidiano “CalabriaOra”, si è imposto un solo obiettivo: stupire. Effetti speciali a gogò che però non sono riusciti a cancellare la brutta storia del licenziamento di un suo giovane giornalista minacciato dalla ‘ndrangheta. La politica in Calabria è stanca, ecco che Sansonetti la rianima con un colpo di teatro: il leghismo alla ‘nduja. “C’era il vento del Nord, ci sarà il vento del Sud”, è il titolo del convegno che “CalabriaOra” terrà a sabato a Lamezia Terme. “Boia chi molla” è la parola d’ordine. Era lo slogan della “rivolta di Reggio”, una delle pagine più buie della storia italiana, un misto di eversione, interessi politici e mafia, che Sansonetti riabilita. Altro che slogan fascista, scrive in un editoriale, “Boia chi molla lo inventarono gli insorti della Repubblica napoletana e fu ripreso da Carlo Rosselli”. Di quelle parole Sansonetti si riappropria per una sua personalissima riscrittura della storia calabrese. La rivolta di Reggio non fu fascista, come per quarant’anni ha sostenuto la sinistra, ma vera rivolta di popolo. E la manifestazione unitaria dei sindacati del 1972, centinaia di migliaia di lavoratori e studenti da tutta Italia, “fu sbagliata, sbagliatissima” (altro editoriale di fuoco), perché animata da una “logica da occupazione militare”, e poi quello slogan “Nord e Sud uniti nella lotta era insensato”. E ora, a proposito di ribellione del Sud, Sansonetti dice: “È un’esigenza vitale, visto che il partito più potente d’Italia è dichiaratamente nordista. C’è un insopportabile squilibrio di poteri che si può superare solo con la rivolta e la ricostruzione di una classe dirigente del Sud”. Ma il giudizio di Sansonetti su “Boia chi molla” ha smosso le viscere di un personaggio mitico della sinistra calabrese, Peppino Lavorato, amico fraterno di Peppe Valarioti, il segretario del Pci di Rosarno ucciso dalla mafia nel giugno del 1980, sindaco e poi parlamentare. “Sansonetti ha aperto una riflessione sui moti di Reggio che io contesto. Altro che storie, ci sono atti e sentenze che dimostrano come quella rivolta fu un fatto eversivo, si stava preparando il terreno di massa al consenso per una svolta fascista. Non dimentichiamo che poi venne il tentativo di golpe del principe Borghese. Allora Pci e sindacati difesero la democrazia. L’ho scritto in un articolo inviato a CalabriaOra che però non è stato mai pubblicato”. La mafia, qui gli editoriali di Sansonetti sono chiarissimi fin dai titoli: “Antimafia sì, forcaioli no”. E i consensi non sono mancati. “Egregio direttore – scrive il deputato Pdl Giovanni Dima – le truppe del giustizialismo sono già schierate e pronte e dare battaglia...lei sarà accusato del delitto di lesa maestà”. Entusiasmi anche a sinistra. “Se tutto è mafia, niente è mafia”, scrive il consigliere regionale Nicola Adamo (rinviato a giudizio nell’inchiesta “Why Not?”). Insomma, un rimescolare le carte continuo. Se Susanna Camusso, la nuova segretaria della Cgil, si pone come obiettivo una grande manifestazione antimafia in Calabria, Sansonetti la redarguisce duramente. Editoriale: “I calabresi non sono mafiosi, sono disoccupati”. Tesi centrale: “I problemi essenziali di questa regione sono due: il lavoro e il reddito”. La ‘ndrangheta c’è ed è forte, ma nel “benaltrismo” sansonettiano non è il problema dei problemi.
Sergio Genco è il segretario della Cgil calabrese, è in macchina e non ha il tempo per polemizzare: “Sto andando a Locri dove quella mafia che qui non è il problema centrale ha appena sparato a tre lavoratori, vado in ospedale a trovarli, mi scusi”. Infine il convegno, bei nomi. C’è Peppe Bova, consigliere regionale sospeso dal Pd, famoso per aver speso in un anno 211mila euro di benzina prontamente rimborsatigli dalla Regione, un imprenditore come Antonino Gatto, presidente di Despar Italia, la cui ascesa economica è stata ricostruita nella relazione dell’Antimafia sulla ‘ndrangheta, Enza Bruno Bossio, l’imprenditrice del Pd rinviata a giudizio per una storia di finanziamenti della 488 dalla procura di Lecce, più Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno e Nicola La Torre. Conclusioni di Giuseppe Scopelliti, il governatore della Calabria che ai suoi concittadini deve ancora una spiegazione credibile sulla sua partecipazione ad un pranzo organizzato da imprenditori ritenuti legati a cosche importanti della ‘ndrangheta reggina. E’ il “nuovo vento del Sud”.