l’Unità 13.11.10
Alle paritarie 245 milioni, cento in più dello scorso anno. Il 5 per mille ridotto a un quarto
Un governo in bolletta dà più soldi alla scuola privata
di Bianca Di Giovanni
Al via il voto in commissione sulla legge di Stabilità. Atteso per oggi il varo per l’Aula. È scontro sui fondi per le paritarie e sui tagli al 5 per mille. Botta e risposta Gasparri-Napolitano. Mpa ancora in prima linea sui Fas.
Sulla legge di Stabilità torna a parlare il Quirinale. Stavolta per rintuzzare le recriminazioni avanzate da Maurizio Gasparri. «Facile esternare, più difficile governare i conti e tenere ferma la spesa», aveva detto il senatore del Pdl. «Il Presidente della repubblica non ha mai sostenuto che “non bisogna fare tagli” alla spesa pubblica», -ha ribattuto il Colle in una nota. Giorgio Napolitano in realtà, aprlando l’altroieri a Padova, aveva messo l’accento su un altro tema, di fatto decisivo per il «gioco» della politica: cioè il «vuoto di riflessione e di confronto sulla questione cruciale: quella delle scelte da compiere e delle priorità da osservare nella destinazione delle risorse pubbliche».
TAGLI SUI PIÙ DEBOLI
Proprio sulle priorità da seguire si è scatenata infatti la bagarre politica nel primo giorno di voto in commissione Bilancio alla Camera. Nella nottata il governo ha depositato la destinazione dettagliata del fondo da 800 milioni, che altrimenti avrebbe rischiato l’inammissibilità. dalla lista delle voci è emerso che alla scuola paritaria sono destinati 245 milioni, quasi il doppio dell’anno in corso (130 milioni), mentre al 5 per mille an-
Francesco Boccia, Pd
dranno appena 100 milioni, quattro volte meno di quanto stanziato nell’anno in corso. Il tutto dopo aver sostanzialmente azzerato tutti i fondi destinati al siociale che avevano creato i governi di centrosinistra. Un taglio di oltre l’80% nel giro di un paio d’anni. Queste le priorità del centrosestra: fare cassa facendo pagare solo i più deboli. Dopo le tariffe dei treni, oggi arriva la sforbiciata all’associazionismo. A questo si aggiungono i pesanti tagli alla sanità, che restano una spada di Damocle sui servizi alle famiglie, nonostante lo stanziamento per eliminare (solo per qualche mese) il ticket sulla diagnostica. Insomma, i più deboli dovranno vedersela da sé per trasporti, servizi, aiuti. Lo Stato se ne va. «Con i tagli al 5 per mille il governo ha messo un altro tassello nella sua strategia di togliere a chi ha più bisogno ha attaccato ieri Rosy Bindi stanziare solo 100 milioni è offensivo perché nessuna associazione potrà portare avanti i progetti di stampo sociale o di ricerca condotti in questi anni e nessuno di conseguenza potrà beneficiarne. Con l'elemosina non si può parlare di sussidiarietà».
Lo Stato se ne va anche dall’istruzione. Aiuta le scuole private, mentre le pubbliche hanno subito già una «cura dimagrante» di 8 miliardi in tre anni, con la cancellazione di qualche centinaio di milioni. «Il governo in agonia completa l’opera di demolizione dell’istruzione pubblica», commenta Mimmo Pantaleo, Flc-Cgil. «Gelmini pensa di salvarsi l’anima, ma dimentica la scuola pubblica», aggiunge Francesca Puglisi del Pd.
Intanto il voto in Commissione inizia con un brivido. Mpa e Fli insistono per distribuire i Fas per il trasporto pubblico locale con la specifica dell’85% di risorse a Sud (come prevede la legge). Il relatore in extremis recupera la formulazione,
l’Unità 13.11.10
Camusso: Cgil con i giovani non più disposti a tutto
di Bruno Ugolini
I manifesti «anonimi» di cui abbiamo parlato celavano la prima iniziativa del sindacato a guida Camusso. Partire dai giovani «invisibili» contro gli attacchi autoritari allo Statuto dei lavoratori.
L’arcano è svelato. Chi ha inondato il web, ma anche le mura delle città con ironici annunci di offerte di lavoro ai precari? Chi ha sottoposto alla pubblica opinione la condizione di una generazione di invisibili? La Cgil di Susanna Camusso. Il neo-segretario del sindacato italiano maggioritario (checché ne pensino Sacconi e Marchionne) ha dato un altro tocco, con questa iniziativa, al proprio biglietto da visita. Lo svelamento è avvenuto durante una conferenza stampa in un cinema romano dove la stessa Camusso, circondata dai giovani della Cgil, ha dato l’annuncio. I promotori sono stati proprio loro, i giovani cigiellini, capeggiati da Ilaria Lani. Hanno dato vita a quella che gli appassionati telematici chiamano, un po’ pomposamente, «Social Guerrilla», una campagna sistematica, circondata da un alone di mistero. È iniziato così un dialogo di massa che ha visto la partecipazione, in poco più di un mese, di oltre 70 mila visitatori al sito «Giovani disposti a tutto» e circa seimila aderenti all’apposita pagina di Facebook. Ragazze e ragazzi che non si sono limitati a leggere, ma che hanno scritto, discusso, interloquito (ben 1.188 commenti e messaggi in bacheca su Facebook). È stata come una pièce teatrale divisa in due tempi. Se nel primo atto i giovani promotori anonimi erano “disposti a tutto” nel secondo (con nuovo sito: www.nonpiu.it) gettano la maschera, pubblicano il talloncino rosso della Cgil, avanzavano alcune proposte (forse un po’ troppe). Ne citiamo alcune: la tassazione delle rendite, investire in ricerca e green economy, puntare sul sistema conoscenza, sbloccare le assunzioni nella scuola, sorpassare le molteplici tipologie di lavoro, aggancio delle retribuzioni di lavoro atipico ai contratti collettivi nazionali di lavoro, un periodo massimo di utilizzo per gli stage, indennità di disoccupazione a tutti i giovani e precari, contribuzione per tutte le tipologie di lavoro e cumulabilità dei contributi versati, garanzia dei versamenti contributivi anche durante i periodi di disoccupazione.
Con l’intenzione di passare dal web alla piazza. Così si è dato vita a quello che chiamano «FlashMob», forme improvvisate di protesta. Già si sono svolte a Firenze e a Roma davanti a Montecitorio. Altre sono previste a Napoli, Parma. L’appuntamento principale è però a Roma, il 27 novembre, nella giornata nazionale organizzata dalla Cgil. Un appuntamento dedicato in modo particolare al futuro e ai giovani. Anche per questo, come ha affermato Ilaria Lani, saranno organizzati ovunque comitati locali di sostegno. La manifestazione cadrà in un momento di grande suspense per il Paese, mentre dal centrodestra proviene, proprio sui temi del lavoro, un attacco senza precedenti. Susanna Camusso ha citato la volontà autoritaria di cancellare non solo l’articolo 18 bensì l’intero Statuto dei lavoratori. È l’offensiva promossa da chi ha in mente un’idea di società «insopportabile».
Ecco perché è importante quel dialogo partito dal Web. Un’iniziativa che testimonia, ha spiegato Camusso, come nella Cgil non tutto sia diretto dall’alto, ma esistano spazi di autogestione. L’organizzazione, per la prima volta nella storia diretta da una donna, cerca le strade del rinnovamento adottando, come in questo caso, anche un linguaggio nuovo. «Non è stato un modo per nascondersi, ma per essere protagonisti in un altro modo». La Cgil intende così contribuire ad abbattere alcuni pregiudizi che coinvolgono il sindacato spesso considerato solo una specie di fortino degli anziani.
DIALOGO CON I GIOVANI
Il dialogo messo in atto con giovani che spesso rifuggono dal contatto sindacale e che è difficile incontrare perché intrisi di «solitudini», ora potrà proseguire anche in altre forme, anche attraverso la contrattazione sindacale. Non sarà facile, visto i tempi che corrono, con un padrone italo-canadese che addirittura ipotizza soluzioni fascistiche come la espulsione della Cgil dalle fabbriche. Una ragione di più per far diventare quell’adesivo rosso creato da giovani («che animano e abitano la Cgil») un simbolo generale da applicare su se stessi e ovunque. Potrebbe essere adottato anche dai metalmeccanici, da portare a Roma il 27: «Non più disposti a tutto».
l’Unità 13.11.10
Pasolini? Di sinistra ma capiva la destra
di Bruno Gravagnuolo
Pasolini fra destra e sinistra? Il quesito può apparire incongruo e senza senso. Fatti salvi ovviamente i critici di estrema sinistra di sempre alle idee di Pier Paolo Pasolini: Gruppo 63, lo scomparso Sanguineti, Asor Rosa. Invece il quesito un significato ce l’ha. Perché serve a inoltrarsi in una storia letteraria e di vita, fatta di originalità creativa e persino «profetica». E poi perché la vicenda fu accompagnata da ostilità e imbarazzi a sinistra, e da odio a destra, con tardive eccezioni, fino alla riabilitazione che oggi spinge il Secolo d’Italia a scorgere nel poeta un autore di destra, un «profeta reazionario» alla Pound.
Come stanno le cose? Per capirlo occorre leggere il libro appena uscito che qui vi presentiamo: Una lunga incomprensione. Pasolini fra destra e sinistra (pr. di Giacomo Marramao, Vallecchi, pp. 342, Euro 16). Scritto da due autori distantissimi, uno di sinistra l’altro di destra, entrambi non pentiti. Che frequentarono anche personalmente il poeta delle Ceneri di Gramsci: Gianni Borgna e Adalberto Baldoni. Il primo già assessore alla cultura con Veltroni, leader della Fgci romana segnato da un tormentato rapporto col Pci, che pure lo espulse nel 1947, a causa della sua omosessualità. Il che non impedì a Pasolini di professarsi sempre comunista, sebbene in una chiave eretica, apocalittica e nostalgica al futuro di una comuntà di relazioni fraterne ed emancipate, non violente. Proprio l’incontro con i giovani del Pci all’inizio dei 70, che Borgna ci narra in modo appassionato (c’erano Veltroni, Bettini, Lucio Caracciolo, Adornato, oltre a Borgna negli incontri in Via Eufrate col poeta), contribuì a reinserire Pasolini nel rapporto col Pci. Fino al giorno inatteso del suo omicidio oscuro, il 2 novembre 1975. E quegli incontri stanno a testimoniare dell’intelligenza di una Fgci che capiva la crisi del comunismo e si apriva a una diversa idea di sinistra: laica, libertaria, critica dell’omologazione consumista. Interessata alla dignità della «soggettività» e all’autonomia dell’arte. Dentro il nesso con la storia e la liberazione dei subalterni (quel che il Pci era e restava).
Tesi di Baldoni: Pasolini fu maledetto a torto dalla destra italiana, che ne fece la sua bestia nera morale («omosessuale», «comunista», «elitario»). Baldoni stesso racconta di aver tirato uova marce alla prima di un film di Pasolini e di essersi accodato al coro spregevole di allora. Prima di farsi artefice ante litteram della scoperta di Pasolini a destra, in articoli e in un libro Noi rivoluzionari, che usavano vari argomenti per quella riabilitazione. La critica di Pasolini ai giovani del 1968. Il (presunto) superamento della distizione destra/sinistra nel Pasolini critico del Potere degli Scritti corsari. Infine la memoria del passato, le radici e i luoghi e il populismo che tralucevano dal pathos verso gli umili. Buoni argomenti, sbagliati altresì. Perché quello di Pasolini era e restava un populismo non violento teso pur sempre al riscatto dei subalterni dal dominio. Se si vuole, un populismo tolstojano apocalittico contro i consumi e la modernità degenerata. Tragico e un po’ alla Walter Benjamin. Preveggente sul «nuovo fascismo» light ed edonista alle porte. E la sua era una sintesi di sinistra, poetica. Che come ogni forte pensiero di sinistra capisce anche ragioni e sentimenti della destra. Senza farsi irretire. Forse anche per questo «scandalo» la sua morte fu catalogata come banale incidente di percorso di un omosessuale. Tutto più facile così.
Che rapporti aveva con la politica italiana?
«Una lunga incomprensione. Pasolini fra Destra e Sinistra» di Adalberto Baldoni e Gianni Borgna (Vallecchi editore, pagine 342, euro 16,00) per capire Pier Pasolini da che parte stava: a sinistra o a destra? Baldoni e Borgna ricostruiscono per la prima volta in questo volume la «lunga incomprensione» che caratterizzò i rapporti tra Pasolini e la cultura politica italiana, ma anche l’attenzione con cui molti giovani di tutto il mondo si confrontarono e si confrontano ancora con le sue idee e con il suo lavoro.
il libro di Belpoliti
Repubblica 13.11.10
Gustatevi tutte le salse di Pasolini
Il gusto della bellezza è determinante nella vita. Ammiro le artiste e la loro forza di imporsi
di susanna Nierenstein
Lo scrittore e saggista Marco Belpoliti usa principalmente tre tipi di titoli. 1. Nomi propri, come per il romanzo Italo, per la monografia Primo Levi e per i numeri della rivista Riga che dirige con Elio Grazioli (ultime uscite: Gianni Celati, Kurt Schwitters; Roland Barthes). 2. Singole parole (Crolli, Settanta), anche articolate (La prova) o appena modulate (Doppio zero; Senza vergogna). 3. Titoli in cui si riuniscono le due modalità: L´occhio di Calvino; La strada di Levi; La foto di Moro. Non fanno eccezione Il corpo del capo o il Diario dell´occhio perché in entrambi i casi il nome comune è un´antonomasia: il Capo è Berlusconi, l´Occhio è quello dello stesso Belpoliti.
Quest´ultima è anche la categoria del nuovo Pasolini in salsa piccante (Guanda). Non tutti indovinano al primo colpo la relazione fra Pasolini e la salsa piccante: è dunque un titolo almeno in parte «teaser», stuzzica la curiosità. Soluzione: lo stesso Pasolini ha detto (ha fatto dire al corvo di Uccellacci e uccellini) che «I maestri si mangiano in salsa piccante», piccante per digerirli meglio.
Da un insolito accostamento Belpoliti ha ricavato così un titolo autoreferenziale, che fa già quello che annuncia. Usa una frase di Pasolini per suggerire di trattare Pasolini con meno solennità e vittimismo, in modo da capirlo meglio e, alla fine, meglio assimilarne la lezione. Prosit.
l’Unità 13.11.10
Abbado: “Così non va... Facciamo musica insieme”
Il Sistema Abreu sbarca in Italia, contro il disagio sociale
di Claudio Abbado
Oggi alla Scuola di Musica di Fiesole un convegno presenta il «Sistema nazionale di orchestre e cori giovanili», progetto per combattere il disagio sociale insegnando musica e promosso da Abbado. Ecco il suo saluto.
D esidero salutare tutti gli amici qui riuniti per un progetto nel quale convivono due aspirazioni. La prima è quella di rendere omaggio a José Antonio Abreu e alle sue realizzazioni. Abbiamo cercato, con alcuni amici musicisti, di accrescere e rafforzare ulteriormente «El Sistema» da lui ideato in Venezuela, che coinvolge un numero enorme di ragazzi: oggi sono più di 400.000 e oltre 2 milioni dall’avvio del progetto 35 anni fa. Abbiamo portato la nostra esperienza facen-
Maestro Claudio Abbado do concerti, insegnando, avvicinando sempre più musicisti europei che andassero in Venezuela a portare il proprio contributo. La seconda aspirazione è quella di aiutare a trasferire in Italia i principi fondamentali del Sistema Abreu. Tant’è vero che, a imitazione del modello venezuelano, in ogni Regione italiana sono già sbocciate molte realtà che è bene ora portare in un alveo comune. I motivi per i quali è urgente e necessario importare nel nostro paese questa realtà sono di-
versi. In primo luogo perché «così non va», qualcosa, nella nostra società, va fatta. Non sono purtroppo assenti, anche da noi, sacche di povertà e disagio dove le prime e più vulnerabili vittime sono i ragazzi. Basterebbero gli esempi segnalati da Roberto Saviano, altra persona a cui tutti dovremmo rispetto per il coraggio con cui continua a denunciare queste situazioni. E allora ecco che fare musica insieme, studiarla e praticarla sono tutti strumenti che rendono possibile il riscatto. Abreu lo ha dimostrato. Una seconda ragione, non meno importante. La gioventù è stata letteralmente depredata da prospettive credibili, per le quali valga lo sforzo e la gioia della realizzazione. Non solo chi è nel disagio, ma forse ancor più chi abita il benessere, viene manipolato per diventare un conformista, un animale compratore, un ebete che si nutre solo di superficialità. Una vita piena di musica e di cultura è sicuramente un argine a tutto ciò. Chi ha avuto il privilegio di crescervi faccia, come proviamo a fare oggi, qualcosa perché altri vi crescano a loro volta.
Repubblica 13.11.10
Amo Israele ma combatto l´illusione delle colonie
Gli insediamenti hanno creato uno stato di apartheid: chi ci vive rifiuta di vederlo
Non si può parlare di letteratura quando si umilia la gente e la si priva dei diritti umani
di David Grossman
"Niente artisti nei Territori occupati amo Israele, ma basta colonie"
Appello di Grossman contro il teatro nell´insediamento di Ariel
La parola "boicottaggio" non compare nella petizione firmata finora da 51 attori, registi di teatro e altri artisti contro il centro culturale di Ariel. Quella del boicottaggio è un´arma grave ed estrema che evoca echi amari nella memoria collettiva ebraica. Considero questa petizione una richiesta di astensione: astensione da qualsiasi iniziativa che oscuri il fatto che Ariel sorge in una zona occupata e la sua esistenza crea una realtà che rischia di portare lo Stato di Israele alla catastrofe. Anche se i coloni proclameranno giorno e notte con squilli di tromba che Ariel esisterà in eterno non saranno in grado di nascondere la loro situazione problematica, sia sul piano morale che pratico, e nemmeno il pericolo – nato dall´enorme e avventata scommessa politica alla base dell´ideologia degli insediamenti – che corre Israele.
Da quando ho scritto Il vento giallo rimango sbalordito dalla capacità di negazione dei coloni che consente loro di convivere con le profonde contraddizioni della situazione in cui si trovano. I più sono indubbiamente lucidi e realistici e le ragioni della loro presenza nei territori occupati non sono sempre ideologiche.
Quindi, il meccanismo psicologico che gli consente di mantenere una vita all´apparenza normale, civile e anche del tutto "borghese" nel cuore di territori occupati, ostili e pieni di violenza, in mezzo a circa due milioni di persone che vivono in condizioni di oppressione e di umiliazione (in larga misura a causa della presenza degli insediamenti) mentre gran parte del mondo si oppone alla loro scelta e alle loro azioni, è estremamente affascinante.
In generale, sembra che quanto più l´ideologia degli insediamenti diventa infondata e pericolosa tanto più i suoi sostenitori sono quasi condannati a esaltarla, a investirla di un sacro senso di missione. A volte mi chiedo se questo sforzo nasca anche dalla paura che filtra in loro, a dispetto di tutto, proprio a causa del loro essere persone lucide, realistiche e corrette in qualunque altro ambito della vita. Una paura causata dalla realtà insostenibile e suicida che il loro modo di agire sta imponendo al paese e a loro stessi.
Se infatti i coloni negano completamente questa realtà insostenibile, nonché le conseguenze dello stato di apartheid che hanno creato, ciò significa che hanno semplicemente e letteralmente perso il contatto con essa. È quasi divertente vedere come, prigionieri del proprio sogno, definiscano "deliranti" o "pazzoidi" i loro oppositori; e la loro paura del risveglio è comprensibile. Quando gli si pone davanti uno specchio che riflette in modo semplice e chiaro l´assurdità e l´avventatezza del processo storico da loro avviato e condotto, non sono in grado di sopportarlo e si fanno prendere da una rabbia parossistica. La petizione è un simile specchio.
Personalmente non "boicotto" i residenti di Ariel, o nessuno dei coloni. Sono interessato a dialogare con loro e nel corso degli anni ho partecipato a numerosi incontri a tale scopo. In gran parte incontri avvincenti e preziosi ma, purtroppo, inutili. Riuscivano a dissipare la diffidenza e l´ostilità, a risvegliare un senso di affetto e di stima, ad abbattere i reciproci stereotipi, ma nessuno dei partecipanti si discostava dalle proprie posizioni. In fin dei conti, anche dopo quattro decenni di dialogo, l´occupazione continua a essere sempre più profonda e ramificata e molti israeliani, tra cui due generazioni già nate in questa realtà, considerano Ariel e tutti i Territori occupati parte legittima e naturale dello Stato di Israele senza capire il motivo di tanto baccano.
La nostra petizione intende minare e scuotere questa illusione, questa menzogna, che è stata ripetuta talmente tante volte da cominciare ad apparire verità. C´è un gruppo di persone qui in Israele, me incluso, per il quale lo Stato ebraico è prezioso quanto la propria anima. Non siamo disposti a rimanere in silenzio quando vediamo il nostro paese dirottato verso il delirio e il fascismo e siamo pronti a pagare un prezzo per la nostra presa di posizione, che sapevamo fin dal principio quanto fosse impopolare. Non demonizziamo i coloni né idealizziamo i palestinesi e conosciamo bene i pericoli e le minacce che Israele deve affrontare. E proprio per questo ci è difficile comprendere come l´ideologia degli insediamenti possa far progredire Israele verso il futuro che merita. Proprio per questo ci mobilitiamo e alziamo un grido.
Sarò felice di condurre un dialogo con i coloni di Ariel qui, in Israele, a casa. Il pensiero di organizzare una "serata letteraria" nel cuore dei Territori occupati, quando a così poca distanza vive gente perennemente umiliata, privata della libertà e dei fondamentali diritti umani, mi appare infatti scandaloso e ripugnante. So bene che ci sono argomenti e ragioni, alcuni molto pesanti, a sfavore della pubblicazione di tale petizione, ma a volte ho il sospetto che alcuni di questi argomenti non siano altro che pretesti per astenersi da un´azione che comporta un caro prezzo a livello personale. E forse, proprio a causa di questa indecisione infinita ed estremamente cauta nell´operare una scelta dolorosa tra i pro e i contro, la maggioranza moderata in Israele ha permesso a una situazione tanto estrema di mettere radici.
Più volte, questa settimana, ho sentito gente che, pur identificandosi con il contenuto della petizione, ritiene che pubblicarla sia stato un "errore tattico". Anche questo è un problema: i sostenitori della pace che temono di essere sospettati di "slealtà" sono sempre più impegnati con la tattica, mentre la destra e i coloni portano avanti una strategia. Sono pochissimi coloro che sono entrati nel merito delle semplici e risolute affermazioni apparse nella petizione. La maggior parte degli israeliani ha reagito con grande sconcerto non alla petizione stessa bensì - così pare - all´ansia che questa ha suscitato e alla sua pretesa nei loro confronti.
Per confrontarsi veramente con il suo contenuto occorre spazzare via l´ondata di kitsch nazionalista che sommerge il paese e lo spinge verso angoli malati e pericolosi. In fin dei conti, se si esamina lucidamente l´incredibile ginepraio entro il quale gli insediamenti hanno spinto Israele e i disastri che possono ancora causare, forse sempre più israeliani avranno il coraggio di reclamare il diritto, un tempo dato per scontato, di vivere in un paese concepibile e realistico.
Ma perché questo avvenga, come i firmatari della petizione hanno cercato di sottolineare, occorre agire, tracciare una linea e colorarla di verde.
(Traduzione di Alessandra Shomroni)
Repubblica “13.11.10
Sono ebreo, non opero un neonazista"
Germania, un chirurgo interrompe l´intervento: il malato aveva tatuata una svastica
Opinione pubblica divisa: "Così ha tradito il giuramento d´Ippocrate"
di Andrea Tarquini
BERLINO La Memoria dell´Olocausto è tanto forte da poter spingere un medico a tradire il giuramento d´Ippocrate, cioè il dovere di curare qualsiasi malato. È accaduto nella ricca Paderborn, in Germania. Un chirurgo di origini ebraiche, visto il tatuaggio nazista del paziente in sala operatoria, si è rifiutato di operarlo.
Ha obiettato ragioni di coscienza, ha informato la moglie del paziente, e ha chiesto e ottenuto che un collega presente anche lui in sala effettuasse l´intervento. Il quale poi è andato a buon fine, ma i media e l´opinione pubblica si dividono. Si chiedono se la reazione del chirurgo meriti comprensione e sia quindi giustificabile, o se la sua scelta di venir meno al suo dovere sia da sanzionare in nome dell´etica medica e dell´etica in generale.
L´evento è stato raccontato ieri da Bild online, l´edizione internettiana del quotidiano più letto d´Europa, appunto la Bild del gruppo Springer. È andata così: all´ospedale di Paderborn, prospera cittadina di antiche tradizioni nel Nordreno-Westfalia, ci si preparava a un intervento di routine. La notizia apparsa sul sito (www. bild. de) non specifica di quale operazione chirurgica il paziente avesse bisogno. E ovviamente non fornisce nessun nome, né del chirurgo, né dei suoi colleghi che lo hanno sostituito in sala operatoria, né del paziente e della sua famiglia. Le leggi tedesche sulla privacy infatti sono tra le più severe del mondo, e infrangerle è un rischio molto serio, che i media ai assumono solo o quasi solo quando gli scandali o le notizie riservate riguardano i vip della politica, dello spettacolo o dello sport.
Quanto è accaduto a Paderborn invece è, in un certo senso, storia di uno scontro tra gente comune, sconosciuti della porta accanto, anche se improvvisamente divisi dal capitolo più tragico della storia tedesca ed europea contemporanea. Ci si preparava a un´operazione di routine (forse un´ernia, o un´appendicite, o la terapia di ferite causate da un incidente stradale). Ma quando il paziente è stato portato sul tavolo operatorio, il chirurgo, un quarantaseienne appunto di origini ebraiche, ha visto l´enorme tatuaggio nazista sull´avambraccio del paziente. Cioè un´aquila del Reich appollaiata su una croce uncinata.
A quel punto il chirurgo non ci ha più visto. Ha chiesto al collega al suo fianco di operare lui, è uscito dalla sala operatoria, è andato direttamente a parlare con la moglie del paziente, che attendeva la fine dell´intervento. «Io non opererò suo marito, signora, non posso, perché sono ebreo, la mia coscienza non me lo permette». L´altro chirurgo ha preso il suo posto, tutto è andato bene. Non si sa se il paziente abbia protestato o sporto denuncia, ma forse potrebbe non convenirgli. Per quanto anche l´omissione di soccorso sia perseguita con severità, nella Repubblica federale qualsiasi esibizione di simboli nazisti è reato penale.