L'unico italiano in concorso "rischia" di ammaliare la giuria di Cannes
Con "Vincere" Bellocchio squarcia (di nuovo) la storia d'Italia
di Roberta Ronconi
Cannes. Marco Bellocchio continua a battere sui nervi tesi della storia italiana, e lo fa con coraggio e senza sconti (nemmeno a se stesso), con una generosità che gli riconoscono più i critici stranieri che non gli italiani.
A Cannes il maestro italiano arriva con Vincere, film che sta sollevando un polverone in Italia, e questa volta polverone storicamente giustificato. La vicenda del figlio segreto del duce e della sua presunta prima moglie (scomparsi tutti i documenti ufficiali) è ferita ancora così infetta da provocare negazioni isteriche. Dopo quelle esagitate di Alessandra Mussolini dalle solite poltroncine di Vespa, è ancora di questi giorni la pubblicazione sul settimanale Oggi di documenti sulla "follia" di Ida Dalser, malattia mentale i cui segni erano, secondo la pubblicazione, evidenti ben prima della nascita del piccolo Benito Albino. Smentiscono, qui da Cannes, con forza Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli, autori del documentario Il segreto di Mussolini a cui Bellocchio si è in gran parte ispirato. Così come da oltre mezzo secolo tentano di gridare la loro contro-verità le genti delle zone del Trentino dove Ida era cresciuta e amata. Furono loro, i conterranei di Ida e della sua famiglia, tra i pochi a difenderla, anche contro la giustizia fascista. Soprattutto le donne che videro in lei una madre-martire, gettata a marcire in un manicomio come suo figlio, dove entrambi morirono senza essersi mai potuti rincontrare.
Una storia nascosta sotto il tappeto dell'ipocrisia italiana, scomparsi e distrutti tutti i documenti. Salve solo poche lettere, da cui trapela una donna disperata ma lucida, che dopo la passione travolgente per Mussolini e il suo abbandono è determinata solo a tener viva la verità. Sua e di suo figlio. A costo della libertà, della giovinezza, della vita. A costo di tutto, pur di risultare nelle pagine della Storia come la prima moglie, madre del primogenito del duce. Una avanguardista, futurista, rivoluzionaria, donna a cavallo tra un femminismo ante-litteram e l'adorante donna del capo.
Tra Antigone e Aida, «la nostra è una storia piena di eroi, soprattutto uomini, antifascisti - spiega Bellocchio -. Avevo voglia invece di raccontare la storia originale di una donna che si oppose a Mussolini fino allo stremo, dopo aver condiviso con lui le prime idee rivoluzionarie e averlo amato con passione».
Interpretato con impressionante professionalità da Giovanna Mezzogiorno e da Filippo Timi (più facile, per lui, entrare nei panni del giovane esaltato Mussolini), per il racconto cinematografico Bellocchio sceglie la strada del melodramma, privilegiando così nell'intento la follia amorosa a quella storica. Questa seconda la lascia raccontare per intero ai documenti dell'Istituto Luce che da metà film in poi sostituiscono completamente la parte del duce-finzione con quello reale. Nell'opera si crea una frattura tra la potenza dell'invenzione e la freddezza del documento. Frattura che non si sana e che - a nostro avviso - impedisce la nascita del capolavoro.
Ma poco importa, la densità di Vincere rimane in gran parte intatta. Rafforzata proprio dal soggetto, dal disvelamento storico, dall'intenzione - peccato, poi tradita - di vedere la grande tragica storia di un paese attraverso gli occhi di una piccola, fragile, potentissima, innamorata, tragica donna che alla fine delle sue pene è capace di scrivere al suo Benito: «Va' là Duce che sei solo un pover'uomo».
Di collegamenti con il presente e con il caso Berlusconi-Lario, Bellocchio è costretto a parlare sotto sollecitazione dei giornalisti italiani: «Sono restio a fare paragoni tra Mussolini e Berlusconi, anche se le analogie sono ovvie. Il fatto è che la sinistra si è rotta i denti nello scontro frontale contro il Berlusconi brutto e cattivo. Dimenticandosi in questo accanimento del suo ruolo politico». In realtà, nella mania tutta italiana di fare una lettura politicizzata del cinema, più che all'anti-berlusconismo, in Bellocchio pesa il profondo, inossidabile anti-clericalismo. Quello che con forza gli fa rivendicare la sua «laicità di fronte a una chiesa cattolica che ha le chiese vuote ma che ci riempie i giorni con le notizie su Ratzinger». Sanguigno come di rado, il regista si scaglia contro quei Patti lateranensi che nel '29 vede allearsi «un'ideologia cattolica criminale - si scalda nell'intervento - con il cinico calcolo di Mussolini. Un'alleanza vergognosa che porterà il Papa a definire Mussolini come "l'uomo della provvidenza"».
Vincere esce oggi nelle sale italiane, distribuito da 01. Già venduto in Francia e osannato come pochi dalla rivista-bibbia del cinema Variety , il film scritto da Bellocchio assieme a Daniela Ceselli ha dalla sua anche l'avvolgente fotografia di Daniele Ciprì. Vederlo è il minimo, amarlo soggettivo.
Repubblica 21.5.09
La Chiesa irlandese nella bufera "Abusi sessuali su migliaia di bimbi"
Rapporto shock: per 40 anni violenze "endemiche" negli istituti religiosi
Scoperti 2500 casi avvenuti tra il 1940 e il 1980. Il primate Brady: "Dispiaciuto profondamente"
di Enrico Franceschini
LONDRA - È una delle pagine più nere della storia d´Irlanda, e della storia della Chiesa cattolica: l´abuso sessuale sistematico e ampiamente diffuso ai danni di bambini e adolescenti di entrambi i sessi, in scuole, orfanotrofi, riformatori e altri istituti gestiti da ordini religiosi cattolici irlandesi. Una macchia vergognosa, di cui finora si conosceva l´esistenza attraverso documentari televisivi, film di denuncia come il pluripremiato "Magdalene" di qualche anno fa, inchieste dei giornali e indagini preliminari. Ma adesso la Child Abuse Commission, la commissione istituita dall´allora primo ministro irlandese Bertie Ahern, per fare luce su questo indegno scandalo, ha concluso i suoi lavoro dopo nove anni di inchieste e presentato un rapporto che fotografa con esattezza le dimensioni e i dettagli di quanto è avvenuto.
Il risultato suscita orrore: un dossier con le testimonianze di 2500 vittime di violenze, avvenute tra gli anni ‘40 e gli anni ‘80, negli istituti gestiti da preti e suore in Irlanda. Racconti atroci, di uomini e donne oggi adulti che ricordano di essere stati picchiati in ogni parte del corpo con le mani e con ogni tipo di oggetti, seviziati, stuprati, talvolta da più persone contemporaneamente.
E´ la cronaca di una discesa agli inferi, tenuta nascosto per decenni, poi trapelata qui e là, ma solo ora svelata in tutta la sua mostruosa realtà. Che questo sia avvenuto nel paese più cattolico d´Europa, dove la Chiesa ha per lungo tempo sovrastato con la sua influenza ogni aspetto della società civile, è ancora più grave e raccapricciante, commenta la stampa irlandese. Il rapporto non è una lettura facile. «Credevo che mi avrebbero rivoltato le budella», dichiara un testimone. Altri parlano di «predatori sessuali che colpivano sistematicamente e abusavano sessualmente i bambini più vulnerabili». Le vittime erano spesso giovani "difficili", orfani, disabili, abbandonati, che speravano di ricevere dalla Chiesa il conforto che non avevano mai conosciuto e si ritrovavano invece inghiottiti in un feroce cuore di tenebra. La pedofilia e l´abuso sessuale nei confronti dei bambini erano un fatto «endemico», conclude il documento.
Il fatto che questo orrore sia venuto pienamente alla luce, per iniziativa del governo, è un segno di quanto sia cambiata l´Irlanda negli ultimi vent´anni: oggi è colpita come tanti dalla crisi economica, ma è un paese irriconoscibile, trasformato dalla globalizzazione, moderno e aperto. La Chiesa cattolica irlandese piega la testa: il cardinale Sean Brady dice di essere «profondamente dispiaciuto» per gli abusi sessuali. «Mi vergogno che dei bambini abbiano sofferto in un modo così orribile in queste istituzioni», afferma in un comunicato l´arcivescovo di Armagh e Primate di tutta Irlanda.
Tra gli ordini religiosi investigati dalla commissione ci sono anche le Sisters of Our Lady of Charity Refuge, le suore che gestivano la Magdalene Laundry di Dublino, il soggetto dell´omonimo film del 2002. Ma le resistenze di associazioni religiose e del ministero dell´Istruzione hanno prolungato l´inchiesta, cosicché molti dei carnefici sono già morti; e in base a restrizioni legali la commissione non ha potuto nominarli, tranne nei rari casi in cui un prete o una suora abbia già subito una condanna giudiziaria.
Repubblica 21.5.09
Botte, umiliazioni e violenze sessuali nei racconti degli ex bambini
Sadie, Thomas e gli altri "Eravamo i loro schiavi"
di e. f.
"Il Rapporto non basta Quello che oggi chiediamo è che quegli istituti vengano perseguiti dalla giustizia"
LONDRA - Sadie O´Meara aveva 15 anni quando gli ispettori dell´assistenza sociale la strapparono alla madre, che non era sposata - una colpa imperdonabile nell´Irlanda bigotta e clericale del primo dopoguerra - e la consegnarono alle Sisters of Our Lady of Charuty of Refuge, le Magdalene Sisters, le famigerate suore protagoniste del film che tanto scalpore ha suscitato quando è apparso nelle sale di tutto il mondo nel 2002. «Mi misero a lavorare in una delle "Magdalene Laundries", le lavanderie dove ragazze orfane o private della famiglia venivano sfruttate come schiave», racconta. «Ci facevano alzare alle sei del mattino, marciare in un cortile, assistere alla messa, senza mangiare un boccone e neanche bere un bicchiere d´acqua. Ogni mattina c´erano ragazze che svenivano in chiesa per la debolezza». Sadie è una dei testimoni che hanno parlato con la commissione governativa d´inchiesta, per la compilazione del rapporto di 2500 pagine pubblicato ieri a Dublino. «Dormivo in una cella simile a quella di una prigione. La notte mi chiudevano dentro a chiave. C´era un letto di ferro e un secchio d´acqua come unica forma d´igiene. C´erano sbarre alla finestra, da cui si vedeva solo un grigio cortile. Il cibo era immangiabile. E poi la cosa peggiore erano le botte, le umiliazioni costanti, le violenze sessuali. Mia madre morì mentre ero dentro, non me lo dissero nemmeno».
Una sua compagna di sofferenze, che preferisce non rendere pubblico il proprio nome, testimonia gli abusi sessuali a cui era sottoposta dalle suore del medesimo istituto. «Scrissi una lettera per rivelare cosa stava accadendo lì dentro e riuscii a darla a un uomo che ci portava il pane. Ma lui la restituì alla madre superiora, che mi convocò nel suo studio e mi fece picchiare così selvaggiamente da aprirmi delle ferite nella carne viva delle gambe». Thomas Wall, un orfano di Limerick, fu affidato all´orfanatrofio dei Christian Brothers all´età di tre anni. «Da quando ne avevo otto, fui abusato sessualmente e violentato dai sacerdoti dell´istituto», racconta. «Se piacevi a qualcuno, era finita, non avevi scampo. Non c´era modo di nascondersi o difendersi, avevano accesso a te 24 ore su 24. Mi sono rimaste le cicatrici delle percosse che ho subito». Tom Hayes, anche lui orfano, finì nel medesimo orfanotrofio, ma oltre alle violenze dei preti gli toccarono quelle dei ragazzi più grandi: «Era la norma essere svegliato nel mezzo della notte e stuprato dai tuoi compagni. Da adulto non sono più riuscito ad avere rapporti normali». Dice John Kelly, un´altra vittima di abusi sessuali: «Il Rapporto non basta. Vogliamo che quegli istituti siano perseguiti e puniti dalla giustizia».
Corriere della Sera 21.5.09
Un rapporto di 2575 pagine. «Intervenga il Pontefice»
Abusi sui minori irlandesi L’inchiesta del governo accusa gli istituti cattolici
«Migliaia di casi». Il cardinale Brady: provo vergogna
di Fabio Cavalera
LONDRA — Thomas Wall è oggi un signore di sessant’anni e porta dentro di sé l’incubo di quelle giornate trascorse nella scuola-riformatorio gestita dalla congregazione dei «Fratrum Christianorum», i Brother Christians di Glin, la città irlandese sul fiume Shannon. Lì dentro la vita quotidiana era segnata dagli orrori. «Ero un bambino e ogni giorno un presule abusava di me. No, non c’era modo di evitarlo, era così per tutti, ventiquattro ore su ventiquattro, la tua intimità veniva violata». E i piccoli dovevano piegarsi alle perversioni degli uomini di Chiesa o dei compagni più grandi che avevano la «supervisione» notturna sulle camerate.
Accadeva pure negli altri istituti della contea di Limerick, sempre sotto l’insegna dei «Fratrum Chritianorum» il cui motto è «Facere e docere», fare e insegnare. Ma ciò che facevano e insegnavano era qualcosa di orribile, di disgustoso. Come anche in altri collegi dell’Irlanda: ad esempio governati dalle «Sorelle della Pietà» le quali scambiavano le opere di bene per un diritto assoluto di appropriazione dei minori che imprigionavano. Sadie O’Meara era un’adolescente: «Mi rinchiudevano a chiave la sera, il cibo era fetente, alle finestre c’erano le sbarre, mi maltrattavano, non mi dissero neppure che mia madre era morta». Era questa la regola: scuole lager, orfanotrofi lager.
Un rapporto choc di 2575 pagine e si alza il sipario su un teatro raccapricciante nel quale «stupri, molestie e abusi erano endemici». È durata nove anni l’inchiesta della commissione presieduta dal giudice dell’alta corte, Sean Ryan, e alla fine i risultati rivelano che le «industrial schools» irlandesi per 35 mila bambini e ragazzi abbandonati o in difficoltà, devianti o senza più i genitori, un network di 250 istituti organizzati dagli ordini religiosi cattolici per oltre mezzo secolo, fino alla chiusura decisa negli Anni Novanta, sono stati il palcoscenico segreto di crudeltà «che avevano lo scopo di provocare dolore e umiliazione».
Centinaia di testimonianze descrivono il clima di schiavitù e di terrore. In una scuola della contea di Galway, remota, fondata nel 1885, per decenni tre presuli si sono accaniti contro i giovani. In un’altra la «San Giuseppe » per i sordi, a Cabra, i superiori hanno coperto, persino davanti agli ispettori, le scorribande punitive sugli ospiti. Sei riformatori hanno accolto mister John Brander, un educatore. Solamente di facciata. Era un «serial sexual and physical abuser», un maniaco violento. Fino a che ha concluso la «carriera » in prigione. E al riformatorio di San Patrizio tenevano addirittura un registro con il diario delle punizioni corporali inflitte dallo «staff religioso». Nella istituzione controllata dalle «Sorelle della Pietà», nella contea di Waterford, i ragazzi e le ragazze erano malnutriti, in compenso riempiti di alcol.
Uno scandalo che sconquassa la Chiesa cattolica nel Regno Unito. Quasi tutti i responsabili degli abusi e delle violenze sono garantiti da «immunità penale » perché nel 2004 la magistratura, su appello delle Congregazioni, assicurò l’anonimato degli aguzzini. Ora i vertici ecclesiali invocano il perdono, promettono il repulisti. Il Primate della Chiesa irlandese, Sean Brady, è esplicito: «Provo vergogna». Il comitato che tutela le vittime delle violenze scoperte dalla commisione si ribella. «Tocca al Papa convocare un concistoro speciale per investigare le attività della Chiesa cattolica in Irlanda».
Repubblica 21.5.09
Nuova legge in arrivo. E i vescovi non si oppongono
Testamento biologico la Svizzera batte tutti
di Valerio Gualerzi
Il clero elvetico: "Prendiamo atto, è il frutto della società nella quale viviamo"
BERNA - In un celebre film Orson Welles sentenziava che secoli di pace avevano fatto degli svizzeri un popolo incapace di andare oltre l´invenzione dell´orologio a cucù. Non è vero. «Anni e anni di guerre di religione ci hanno fatto capire che il dialogo è un valore fondamentale», spiega Alberto Bondolfi, docente di Teologia a Losanna. L´ultimo esempio arriva dalla approvazione della riforma del codice civile in materia di diritti del malato con l´introduzione dell´obbligo per tutti i Cantoni di garantire le «direttive anticipate», quello che in Italia chiamiamo testamento biologico.
Se il contenuto delle modifiche ci può essere da esempio, il metodo con cui ci si è arrivati è una vera lezione. «La nuova norma - spiega Olivier Guillod, docente di diritto privato all´Università di Neuchatel - prevede la possibilità di lasciare indicazioni sulle cure mediche alle quali si vuole o non si vuole essere sottoposti in caso di perdita della capacità di intendere e di volere», compresa l´alimentazione e idratazione artificiale. «Si tratta di indicazioni vincolanti - precisa - alle quali il medico deve attenersi». «La norma - ricorda invece Bondolfi - prevede la possibilità di indicare un "rappresentante terapeutico" delle ultime volontà al quale si può dare carta bianca». Ma ciò che visto da Roma appare straordinario è la serena concertazione con la quale si è arrivati a riformulare la legge. Gli svizzeri sono chiamati ad esprimersi via referendum su qualsiasi dettaglio della vita, ma a nessuno è venuto in mente di convocarne uno per fermare la riforma. «La Chiesa cattolica - spiega il professor Andrés-Marie Jerumanis, membro della Commissione bioetica dell´episcopato svizzero - non è voluta entrare nel merito, prendiamo atto che le "direttive anticipate" sono il frutto della società nella quale viviamo: faremo sentire la voce profetica della Chiesa per evitare che questo primo passo ci possa portare alla deriva». Il tanto deriso orologio a cucù degli svizzeri segna un´ora che in Italia non è ancora arrivata.
Corriere della Sera 21.5.09
Un libro di Hans van Wees sullo spirito bellicoso dalla Grecia al fondamentalismo d’oggi: se l’esercito coincide con il popolo
Guerra, madre di tutte le cose (compresa la letteratura)
La lezione da Tucidide a Tacito: senza conflitto non c’è racconto
di Luciano Canfora
Il fenomeno della guerra è talmente centrale nelle società antiche, sin dall’epoca greca arcaica, che ogni aspetto della realtà ruota intorno a essa: dalla inclusione nella cittadinanza dei soli maschi in quanto guerrieri al linguaggio amoroso che si esprime per l’appunto in termini di guerra e conquista. Il riflesso più evidente è nella storiografia: quando non c’è guerra non c’è racconto. Lo dichiarano con diversa profondità Diodoro di Sicilia (XII, 26) in epoca cesariana e Cornelio Tacito, che scrive all’inizio dell’epoca antoniniana ( Annales, IV, 32) e quasi esprime una qualche invidia per gli storici del passato — pensando soprattutto a Tito Livio — che hanno avuto ben altra materia, «guerre gigantesche e terribili conflitti civili», e non invece quella «pace immobile e appena appena increspata di conflitti » che è per l’appunto la sua materia. E infatti archetipo di ogni successivo libro di storia fu l’Iliade, nella quale non soltanto la materia privilegiata è la guerra ma non manca nemmeno il «conflitto civile», che lì si presenta come scontro tra i capi, magari per il possesso di una schiava. Per Tucidide, che, secondo Luciano di Samosata, «dettò le norme dello scrivere storia », scrivere storia è innanzitutto scrivere della guerra e di quanto le è connesso, a cominciare dalla guerra civile. E il rapporto col passato per intendere la grandezza del presente lo si misura, secondo lo storico ateniese, comparando questa, «grandissima», con le altre guerre.
È stato calcolato (Yvon Garlan) che la città greca di cui conosciamo meglio la storia, Atene, fu mediamente in guerra ogni due o tre anni tra il 490 e il 336, cioè nel periodo che per noi è meglio documentato. Ma se allarghiamo lo sguardo ad altri aspetti del reale, non troviamo che conferme di questa impostazione mentale da cui non si può prescindere se si vuol comprendere il fulminante aforisma di Eraclito secondo cui il Polemos (la guerra) è «padre di tutte le cose». Così la «virtù» ( areté) è, nella poesia greca, innanzitutto «virtù guerresca», e «morire combattendo nelle prime file» è, per Tirteo, la «bella» morte.
«Quando Roma sottomise l’Italia», scrisse il maggior interprete tardo ottocentesco delle civiltà antiche, Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, «chi vinceva e poi comandava era il populus Romanus, cioè l’esercito romano: poiché questo è il significato vero e proprio di populus.
L’esercito coincide con il popolo. Questo populus sceglie i suoi magistrati nei comizi centuriati, vale a dire si raduna per compagnie, e ogni centuria o compagnia ha un voto». E descrive la «cerimonia» del voto (la cui scarsa corrispondenza alla nozione di suffragio «uguale » è ben nota) con dettagli determinanti: «I cittadini eleggono i magistrati nel luogo dell’adunanza e delle esercitazioni militari davanti alle porte della città, sul campo di Marte (…). Chi vota porta l’abito di pace, dunque la città è indifesa e perciò vengono collocati corpi di guardia per proteggerli da un improvviso attacco dei vicini. Questa istituzione è molto antica: implica che un tale pericolo è sempre presente ».
Il Wilamowitz spiegava, in linguaggio semplice e accattivante, questa realtà di compenetrazione totale tra esercito e popolo agli ufficiali tedeschi nel Belgio occupato, nel giorno di Pasqua del 1918, in una conferenza, poi pubblicata, dal titolo Esercito e popolo negli Stati dell’antichità.
Le sue parole, che rendono, con efficacia e piena aderenza ai fatti, la situazione antica, avevano, e volevano avere, implicazioni più attuali. Le quali appaiono a noi non poco inquietanti. Larvatamente, e neanche tanto, lo studioso suggeriva, offrendo quella ricostruzione storica, un modello alla Germania in guerra (in quel momento vincente), un modello positivo, volto a squalificare il primato della politica e dei politici professionali sull’esercito in armi. Era, se si vuole, un appoggio a quella che alcuni storici hanno chiamato la «dittatura del generale Ludendorff».
Incrinare questa immagine della realtà antica non è facile. Certo, ci sono state correnti di pensiero volte ad auspicare la «pace comune», soprattutto quando fu chiaro che nessuna egemonia era più possibile; e certo le occasioni panelleniche (feste di tutti i Greci a Olimpia e altrove) imponevano una sospensione dei conflitti, anche se, in tali occasioni, le rivalità latenti prendevano non di rado altre forme. Ma non va dimenticato che la più importante cerimonia civica annuale in Atene, occasione per un impegnativo intervento autocelebrativo affidato al politico più in vista, era la sepoltura di coloro che, nell’anno, erano morti in guerra. Ed è notevole come nei superstiti discorsi legati a tali cerimonie una parte rilevante venga riservata a descrivere come si fa la guerra, e come invece la fanno, e vi si preparano, i «nemici».
Come nota Hans van Wees nel suo impegnativo e sistematico volume La guerra dei Greci, ora tradotto in italiano dalla Libreria editrice Goriziana (pp. 432, e 30), ogni straniero ( xenos)
era potenzialmente una figura percepita come ostile; «nella cultura, nella società, nella politica e nell’economia dei Greci c’era molto che spingeva le comunità a ricorrere alla violenza ». Il pregio di questo libro, molto scrupolosamente documentato, consiste nel non perdere mai di vista i dati essenziali (riepilogati in un capitolo intitolato «I Greci contro il mondo »), ma, al contempo, nel dare rilievo a tutte le sfumature e le distinzioni, indispensabili perché il quadro non risulti unilaterale. Perciò parla anche di «miti» da sfatare: ma il grande pregio non è nei presupposti ideali, è nella raccolta empirica dei dati.
In effetti il «modello greco» di guerra inesausta, di autostima nei confronti del «barbaro » e di preventiva ostilità e senso di superiorità verso di esso, suggestiona da tempo i moderni: non solo il solitario Nietzsche, che in epoca di classicismo accomodante e un po’ oleografico mise l’accento sulla durezza del Pericle tucidideo, esaltatore sia del bene che del male che gli Ateniesi hanno fatto agli altri, ma anche, al tempo nostro, la produzione storiografico-pubblicistica di un curioso personaggio di successo come Victor Davis Hanson ( Massacri e cultura. Il volto brutale della guerra). Hanson apriva
Massacri e cultura (Garzanti) con il capitolo programmatico intitolato «Perché l’Occidente ha vinto», che prende le mosse dalla battaglia di Cunassa e dall’Anabasi senofontea assunta come simbolo del destino di vittoria e della superiorità dell’Occidente. Hanson compiva, cioè, con il modello Cunassa (dove i Greci vincono comunque, anche all’interno di uno schieramento che nel suo complesso perde), la stessa operazione ideologica che avevano fatto i Greci quando avevano stabilito che la vittoriosa guerra contro Troia era l’antecedente remoto delle altrettanto vittoriose guerre contro i Persiani. Sembra passata invano la lezione del Mondo e l’Occidente di Arnold Toynbee (Sellerio), del libro cioè che è stato, alla metà del Novecento, il migliore antidoto contro il «fondamentalismo » occidentalistico (e nessuno sospetterà che Toynbee fosse un agente del Kgb!). Ben venga dunque un saggio, come quello di van Wees, che, pure con argomenti non sempre persuasivi, delinea la realtà greca della guerra dando alle sfumature tutto lo spazio che meritano.
Repubblica 21.5.09
Oliver Sacks
Mio padre medico si vergognava dei miei libri
di Douwe Draaisma
Sul "Times" era uscita una recensione positiva del mio primo lavoro. Lui mi disse con area funerea: "Sei sul giornale!"
Pubblichiamo parte dell´intervista a Oliver Sacks contenuta nel libro di Douwe Draaisma Le età della memoria (Bruno Mondadori, pagg. 144, euro 15) in uscita in questi giorni. L´autore, psicologo all´università di Groninga, affronta in particolare il fenomeno delle "reminiscenze", cioè quel flusso di ricordi lontani che affiora in tarda età, proprio quando la memoria comincia a funzionare con più difficoltà.
Chi inizia a scrivere la sua autobiografia si mette al lavoro con i suoi ricordi, ma la motivazione che lo spinge a scrivere un´autobiografia sembra spesso la conseguenza di una situazione inversa: sono i ricordi che si mettono al lavoro con lo scrittore.
«Nel 1993, mentre mi avvicinavo al mio sessantesimo compleanno», scrive Oliver Sacks ripensando alla stesura della sua autobiografia Zio Tungsteno, «cominciai a sperimentare un fenomeno curioso, l´emergere spontaneo e non richiesto di ricordi precoci, ricordi rimasti assopiti per più di cinquant´anni. E non solo ricordi, ma veri e propri stati d´animo, idee, atmosfere, e le relative passioni, ricordi soprattutto della mia infanzia».
Quando Oliver Sacks, nell´ottobre del 2005, è venuto a Groninga per una conferenza, ha accettato di rilasciare un´intervista su ciò che il tempo fa ai ricordi e su ciò che i ricordi fanno al tempo. La conversazione, inaspettatamente, ha preso una piega malinconica. Sacks stava male e questo sembrava rafforzare la sua propensione a riflettere sul rapporto con i suoi genitori, sul corso preso dalla propria vita e sulla vecchiaia.
Quarant´anni di America non sono passati invano per Sacks, che si presenta con un berrettino arancione e scarpette da ginnastica cool. Ma senza berretto e con le scarpe sotto il tavolo, seduto davanti a me, c´è di nuovo innegabilmente l´inglese che lui è per nascita. Non vi è traccia di accento americano. Sacks parla con fare timido, con dolcezza e precisione.
«Quando avevo cinquant´anni non avevo ancora mai preso in considerazione la possibilità di scrivere la mia autobiografia. Ma verso il mio sessantesimo compleanno ho notato che cominciavano ad affiorare spontaneamente dei ricordi di avvenimenti, persone, oggetti ai quali non avevo più ripensato dai tempi della mia fanciullezza. In quello stesso periodo mi hanno chiesto di scrivere un pezzo sui musei scientifici di Londra. Quei musei, per la mia formazione, sono stati più importanti di qualsiasi altro corso di studi. Una volta iniziato a scrivere sui musei e anche su mio zio Tungsteno era come, be´, come urinare: non potevo più fer-marmi».
Lei scrive che non riesce ad ascoltare Nachtgesang di Schubert senza dover pensare, "con nitidezza quasi insopportabile", a sua madre che cantava in piedi vicino al pianoforte. Perché "insopportabile"?
«Perché mi rendo conto che lei non c´è più, che questo è il passato, che non puoi tornare al passato, che lei è morta, che quel tempo è morto, ma anche perché c´è un´insopportabile penosità nella musica di Schubert. Dopo la sua morte per un po´ l´unica musica che riuscivo a sopportare era quella di Schubert».
La scrittura dell´autobiografia ha cambiato il suo modo di pensare riguardo alla memoria?
«Già non credevo, per cominciare, che i ricordi si fondassero sulla semplice riattivazione delle tracce cerebrali. I ricordi sono delle ricostruzioni, e il modo in cui si ricostruiscono dipende tra l´altro dall´età. Avevo messo in conto che avrei dimenticato parecchio. Ma la presenza di ricordi, ricordi molto vividi, rivelatisi non tanto ricostruiti quanto completamente fabbricati, mi ha davvero sorpreso.»
Ripensa talvolta al corso preso, professionalmente, dalla sua vita?
«Sì, e pure di recente, nel treno verso Groninga. La vita di un dottore è diversa da quella di un ricercatore. Io dipendo da persone che bussano alla porta, mi telefonano, mi scrivono. C´è di certo meno coerenza nella mia vita. La mia forza creativa risiede, credo, nelle digressioni inventive verso soggetti esotici. Per la mia carriera non avevo in mente un tragitto chiaro. Ma più libri scrivo, più vedo i miei temi in prospettiva. Vedo con maggior chiarezza quale sia il mio orientamento intellettuale, quale sia il mio valore. Adesso posso commuovermi quando dei giovani mi raccontano di aver deciso di diventare dottori dopo aver letto i miei libri alla scuola media. Tuttavia, ora che sono entrato nella mia ottava decade, spero di avvicinare un po´ di più i miei temi tra loro, di cercare una sintesi. I colleghi qualche volta mi chiedono: "Sacks, dov´è la tua teoria?". Ma io non sono portato per le teorie generali, io fornisco i casi e gli esempi che devono formare il materiale per una simile teoria».
E adesso che è stato insignito di tutta una serie di dottorati di ricerca, appartenenze onorarie, premi letterari e scientifici?
«Credo di essere stato un buon dottore per i miei pazienti. Un paio di giorni fa ho visto la signora Herbst. Ho ascoltato con attenzione, suggerito alcune cose, io conosco la mia disciplina come neurologo. Entrambi i miei genitori erano bravi dottori e loro avrebbero visto che anche io sono un buon dottore, pur avendo sensazioni contrastanti su molte cose che facevo. Nel 1970, dopo la pubblicazione di Emicrania, un giorno entrò nella mia stanza mio padre, cinereo, tremante, con il Times in mano: "Sei sul giornale!". Era sconvolto. C´era un pezzo sul mio libro, definito equilibrato e brillante, ma mio padre riteneva che un medico non dovesse finire sul giornale. Vigeva allora un´etica medica rigorosa, con le A proibite: adultery, alcohol, addiction e anche advertisement. Mio padre trovava doloroso il fatto che avessi reso pubblico in tal modo il nostro nome».
Suo padre visse fino al 1990, cambiò mai opinione sulla sua opera?
«In seguito divenne più benevolo, più mite. Forse perché facevo qualcosa che piaceva fare anche a lui, era bravo a scrivere lettere e a raccontare storie. Forse era orgoglioso di me, anche io ero orgoglioso di lui. Era un tipo modesto, troppo modesto. In Inghilterra, nella medicina, c´erano due livelli, i medici di famiglia, che erano gli operai, e gli specialisti, che si sentivano socialmente e intellettualmente al di sopra dei dottori comuni. Ma mio padre nel fare diagnosi era straordinario, vedeva cose che agli specialisti erano sfuggite. Quando raggiunse l´età di novant´anni gli dissero: smetti adesso di fare visite a domicilio. Ma lui replicò: io smetto col resto e continuo con le visite a domicilio. Sfiorò i 95. Dedicò settant´anni di esperienza e dedizione a quelle visite a domicilio. Lasciai l´Inghilterra per andarmene dai miei genitori e da quella rigida gerarchia medica. Volevo spazio, provavo una sorta di risentimento nei loro confronti. Si può leggere quella rabbia "tra le righe" di Zio Tungsteno. Però man mano che invecchi cominci a vedere le cose diversamente. Nutro grande simpatia per le persone che fanno bene il loro lavoro e mio padre lo faceva. Non erano tempi facili e nemmeno io ero un figlio facile. In un certo senso li avevo sorpassati. Ciò mi impauriva e deve aver impaurito anche loro».
Quindi partendo è stato un bravo figlio?
«That´s a way to put it».
l’Unità 21.5.09
Elaine, Neal e gli altri
Un miracolo di storie: l’universo dell’autismo in forma di musical
di Rossella Battisti
C’è il coraggio di una donna dietro al Miracle Project, il «progetto miracoloso» ovvero un musical che ha portato in scena alcuni ragazzi autistici e, in molti modi, ne ha cambiato la vita e le prospettive. La donna è Elaine Hall, scrittrice, attrice, una carriera tra cinema e tv. E un istinto materno fortissimo. Anni fa decise con il marito di adottare un bimbo e in un orfanatrofio russo le finì tra le braccia Neal, biondissimo cucciolo di nemmeno due anni. «Li volevo tutti - ricorda Elaine - ma Neal mi è volato incontro, ci siamo rotolati sul tappeto felici e non ci siamo lasciati più». L’idillio con Neal non si è incrinato neanche pochi mesi dopo, quando il bimbo ha cominciato a mostrare i primi segni della «stranezza». Agitato, nervoso, passava le notti in bianco e con lui la mamma adottiva. Aveva paura di tutto, anche di fare un semplice bagno. La diagnosi arriva alla fine, impietosa e irreversibile: autismo. Sembra che non ci sia niente che lo possa raggiungere in quel suo mondo a parte. Il marito di Elaine cede e divorzia quando Neal ha otto anni. Elaine tiene duro e rilancia. Ha letto che per cercare un contatto con un bambino autistico bisogna seguirlo in quello che fa e allora pensa al teatro e agli attori che non hanno paura di stare dietro ai giochi lunari di Neal. L’esperimento sembra funzionare, Elaine pensa più in grande: estende il progetto, chiama altre famiglie che hanno bambini con lo stesso «mondo segreto» di Neal e prova a coinvolgerli in un musical.
La storia è tutta in un documentario, Autismo: il musical, che è andato in onda ieri sera su Cult (canale 131 di Sky) in prima visione assoluta. Sono frammenti di vita ricostruiti, attraverso filmini di famiglia - quando ancora non era affiorato «il» problema -, testimonianze dal vivo e foto di coppie sorridenti. Come Hilary e Joe, ritratti il giorno delle nozze, lei luminosa con i fiori in mano, lui in bici e una faccia da luna ridente. Poi è arrivata Lexi e dopo mesi di comportamenti anomali, consultazioni pediatriche, dubbi e affanni, quella diagnosi temuta. Ma non è tutto uguale il mondo dei bambini autistici. Il documentario - distribuito dal canale americano Hbo - lo dimostra con grande delicatezza, frugando tra le pieghe delle storie, ricostruendo un tassello alla volta il variegato mosaico dell’autismo. «Il mondo appare triste e spaventoso per i bambini affetti da autismo - spiega Elaine -, provocando in loro un sovraccarico sensoriale che li sgomenta, ecco perché si rifugiano in un mondo tutto loro». C’è chi resta muto, come Neal e chi è loquace come Wyatt. Alcuni sviluppano straordinarie doti in certi ambiti. Altri hanno difficoltà a controllare i loro impulsi. Tutti stentano a comunicare con il mondo nostro, con i ritmi convulsi che non sanno rispettare la delicatezza di creature diverse, con l’omologazione che impone standard rigidi di comportamento e di reazione. Il teatro, con la sua libertà di fantasia e di azione, si è trasformato in un ponte magico per traghettare pensieri ed emozioni. Da figli a genitori. Dagli attori ai bambini. Fra i ragazzi stessi. Lexi, che ora ha 14 anni, ha tirato fuori una voce da usignolo, canta Miracle e fa sapere a Jakob che si è accorta di piacergli e che anche a lei piace un po’... A Wyatt piacerebbe avere amici con cui parlare, quelli che «ti fanno sentire felice dentro», come Henry che però poi si ritrova nel suo paradiso personale fatto dei dinosauri e dei rettili di cui conosce ogni segreto. Rifugiarsi in un mondo proprio è un modo per rifiutare quello che c’è, prepotente, ostile come «quando a scuola i prepotenti che ti fanno le boccacce e ti prendono in giro», ma stare nel proprio mondo, sottolinea Henry, è «come non parlare con nessuno».
La macchina da presa sosta sui volti, sugli sguardi distolti dei ragazzi, sulle rughe d’espressione che segnano le facce delle mamme. Sono loro in prima fila, presenze costanti, lo sguardo come un tic che scruta di continuo impercettibili tracce di comunicazione con i loro figli. La via segreta per arrivare dove non ci sono le parole per dirlo. Sono loro, le donne - per sempre madri, spesso ex mogli - a restare accanto, a sperare di aprire un giorno quella porta. I padri, a volte, rimangono a distanza, da mariti se ne vanno il più delle volte. «Le mamme dei bambini autistici sono monomaniacali, osssessionate dai loro figli», commenta con sincerità disarmante Richard, papà di Adam, un ragazzino irrequieto con l’istinto per la musica (a due anni suonava l’armonica e a sette si è innamorato del violoncello). Richard non ha lasciato Roxane, però si è preso una «pausa» esterna con un’altra donna. «Non c’entra con l’autismo di mio figlio» dice lui. Lei, Roxane, è meno convinta. Quando l’ha saputo gli ha tirato dietro un tavolo di 180 chili. Di certo, Richard non è cambiato tanto da quando si sono sposati, mentre lei che era una strepitosa modella che lavorava anche nelle fiction tv tipo i Jefferson, oggi quasi non la riconosci con quegli occhiali da maestrina stanca, i capelli tirati indietro alla come viene viene. E solo il lampo di un sorriso un po’ amaro, gli occhi felini ricordano la pantera che fu e che si concentra adesso per far uscire fuori dal nido il suo cucciolo timido.
Il «Miracle Project» forse non ha fatto miracoli, ma un raggio di sole lo porta, per una sera e forse più, su quel palco dove Lexi canta, Adam suona il violoncello, Wyatt parla di sé ed Henry dei suoi amati lucertoloni. Tutti insieme, in coro e non più da soli. Dopo il musical, qualcosa è cambiato. I piccoli eroi hanno mosso qualche passo verso il mondo. Anche Neal comunica adesso con mamma Elaine attraverso una macchina parlante e le dice: «ascoltami di più». Mamma Elaine sorride e accanto a lei sorride anche Jeff, il nuovo compagno che l’ha stretta a sé nel 2007. Tutto compreso. Anche Neal.
l’Unità 21.5.09
I pregiudizi e la scienza
Colpito un bimbo su 150
Fino al 1980 l’autismo era un disturbo relativamente raro, diagnosticato negli Stati Uniti su un bambino ogni 10mila. Secondo dati più recenti del Centers for Diseas Control, colpisce un bambino ogni 150. Oggi questa disabilità colpisce lo 0,6 per cento della popolazione. L’Europa (compresi gli stati membri del Consiglio d’Europa) conta circa 5 milioni di persone con autismo. Alla luce dell’aumentare della diffusione l’associazione Autism-Europe ha chiesto che la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità sia ratificata non solo da pochi, ma da tutti gli Stati membri dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa. L’autismo è un disturbo pervasivo e permanente che altera lo sviluppo cerebrale e si manifesta nella prima infanzia. I sintomi sono diversi: menomazioni dell’interazione sociale, menomazioni della comunicazione, interessi ristretti e comportamenti ripetitivi. Oggi l’evidenza scientifica indica che molti divesi fattori di natura genetica, medica e neurologica sono coinvolti nel determinare l’autismo. L’antico pregiudizio che attribuiva la responsabilità dell’autismo a mancanze genitoriali è stato smentito.
www.AUTISMOPERCHE.IT
L’autismo e i suoi problemi visti dalla parte dei genitori dei soggetti autistici: sul sito internet dell’associazione ufficiale tutti gli studi, i convegni e tutte le news per essere aggiornati sulla sindrome dell’autismo.
Repubblica 21.5.09
La democrazia stressata
di Aldo Schiavone
Una democrazia stressata. Ancora forte e ben in piedi, per fortuna, ma stressata. Credo che questa sia la rappresentazione più corretta del difficile momento istituzionale e politico che stiamo attraversando non da ora, e di cui le cronache degli ultimi giorni stanno rivelando con sin troppa evidenza l´avvio di una nuova fase.
L´Italia incupita e sofferta del tardo berlusconismo ci restituisce l´immagine di una democrazia sottoposta da tempo a una pressione ostinata e potente, che tende deliberatamente a comprimere alcuni suoi caratteri storici fondamentali, fissati peraltro nella Costituzione, e a ridurla a un solo elemento: la persistente vibrazione di consenso (l´espressione è di Ezio Mauro) che continua a legare il popolo al suo leader. Se essa c´è, e se dura, il resto non conta. Anche se si tratta di un resto enorme, che comprende di tutto: dalle sentenze dei giudici ai comportamenti personali, dai giudizi sulla crisi economica («È finita, è finita; tutto è tornato come prima, meglio di prima» sembra abbia detto - e si stenta a crederlo - il nostro premier a Mosca) alle ingiurie a quella stampa, colpevole di fare solo il proprio dovere.
Il pericolo sta nel fatto che questa idea impoverita fino all´estremo della democrazia - un´idea, per così dire, "usa e getta": aderisci e dimentica - se ha modo di diffondersi e di radicarsi, può alla fine diventare senso comune (il senso comune non è sempre buon senso) di un Paese provato e distratto. Di un´Italia disposta a soddisfare il bisogno di un riferimento sicuro - l´esigenza fisiologica di leadership - con l´abbaglio tranquillizzante di aver trovato una guida che non impone la fatica di una valutazione quotidiana, ma che si può accettare, grazie alla forza carismatica del suo successo, una volta per tutte, senza più discuterne. Se questo accadesse - se un tale atteggiamento si consolidasse davvero - ci troveremmo di fronte a qualcosa di simile a un autentico sfondamento culturale del nostro sentire democratico, all´apertura di una falla rischiosa nel tessuto politico della Nazione, dalle conseguenze difficilmente calcolabili.
La battaglia cui siamo chiamati deve essere dunque in questa circostanza anzitutto una battaglia di idee, in difesa di un paradigma di democrazia faticosamente costruito, dal quale non possiamo e non dobbiamo scostarci. Nessuno scandalismo moralistico, e nessun facile giustizialismo: è possibile che i comportamenti del premier risultino alla fine irreprensibili, ed è altrettanto possibile che egli si sia solo imbattuto in giudici che hanno sbagliato, per errore grave o per prevenzione ideologica: può accadere ai comuni cittadini come al presidente del Consiglio. Il problema però non è questo, ma riguarda i princìpi, e dunque tocca indistintamente tutti noi.
Il punto cruciale - depurato da ogni personalismo - attiene al rapporto fra legge e consenso: e dunque, se si vuole, al nesso fra legalità e democrazia. È una questione che tormenta da millenni il pensiero politico, e gli equilibri costituzionali contemporanei rispecchiano, nella loro delicatezza, questo lungo lavorio di esperienze e di elaborazioni. Essi ci dicono che la democrazia non è fatta solo di consenso, anche se non può assolutamente prescinderne, ma altresì di un insieme di regole, senza le quali il consenso non solo non basta, ma può trasformarsi in dispotismo e in sovversione. È accaduto molte volte nella storia. Ed è per questo che persino la sovranità popolare - che pure è il fondamento supremo e ultimo di ogni modello democratico - si può esercitare solo «nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione» (come dispone l´articolo 1 della nostra Carta).
Il consenso perciò - per quanto vasto - non può essere usato come una purificazione, né come scudo rispetto alle leggi, e nemmeno per sfuggire alla critica che anche una minoranza minima ha il pieno diritto di sollevare. L´appello al popolo - cui si è fatto adirato ricorso anche in questi giorni - è dunque quanto meno improprio, e rivela una deriva che può solo gettarci in un mare in tempesta. Democrazia, significa anche primato della legge - "nomos Basileus", la legge come (unico) sovrano. E significa divisione dei poteri, e soprattutto, nel messaggio delle origini, trasparenza del potere: il popolo riunito nelle piazze delle città inondate dal sole della Ionia o dell´Attica, con i governanti al centro, visibili da tutti e non più chiusi negli antichi palazzi persiani o micenei. È su queste idee fondative di divisione e di trasparenza che bisogna oggi insistere, in una grande campagna di responsabilità e di fermezza. Non c´è domanda a cui il potere non debba rispondere, se non nei casi in cui è la legge stessa che lo obbliga a tacere. E quando il passato imprenditoriale - non meno della felicità privata - diventa il contenuto principale della costruzione del proprio carisma politico, è di ogni cosa che si è chiamati a render conto. E bisogna saperlo fare con umiltà e senza vergogna. Fino a dimostrazione contraria, siamo tutti innocenti. Ma bisogna esibirlo nel contraddittorio e non nella fuga; difendendosi - se occorre - "nel" processo, e non "dal" processo.
Nelle società fluide - attraversate da continue e incontrollabili onde mediatiche - il consenso carismatico, fondato sul prevalere di elementi prepolitici piuttosto che sulle articolazioni di una democrazia partecipata, è sempre assai labile. Il tardo berlusconismo ha oscura ma netta consapevolezza di questa friabilità, ed è perciò che comunica un senso di solitudine e di nervosismo, quanto più sembra arrivato al culmine della parabola. Non capisce la crisi, che tenta di esorcizzare con ottimismi gridati al vento, per la stessa ragione per cui non tollera di essere contraddetto: perché ormai è disposto ad accettare solo una realtà addomesticata, che corrisponda ai suoi desideri. Ma fuori c´è il mondo - o almeno, tutto il mondo che non ha comprato, dove è facile che l´ascendente del principe si rovesci di colpo nel suo contrario. Machiavelli vi ha scritto sopra pagine memorabili.
Repubblica 21.5.09
Il Cavaliere, Noemi e la cena a Villa Madama
di Massimo Giannini
Noemi e quella cena a Villa Madama con il Cavaliere e le griffe della moda
Le testimonianze degli invitati ad una serata ufficiale organizzata dalla presidenza del Consiglio
Il presidente del Consiglio continua a non fornire risposte alle dieci domande che Giuseppe D´Avanzo gli ha rivolto su "Repubblica", una settimana fa. Berlusconi continua a opporre l´invettiva, o il silenzio. Negando, o fingendo di non vedere, i palesi risvolti pubblici (e quindi politici) di una vicenda solo all’apparenza privata.
Così, nell´indifferenza costante dei media italiani ma nell´attenzione crescente di quelli stranieri, continuano a risultare inevase le cruciali questioni sollevate dalla moglie del presidente Veronica Lario nel colloquio con Dario Cresto-Dina, le numerose contraddizioni nelle quali è incappato con la vicenda delle candidature alle europee e con il caso della giovane Noemi e della sua partecipazione alla festa di Casoria, raccontata su questo giornale da Conchita Sannino.
La storia si condisce ora di un nuovo capitolo, che ripropone e rafforza le ricostruzioni dissonanti fornite da Berlusconi fino ad oggi. Dopo approfondite verifiche condotte da "Repubblica" presso diverse fonti dirette, risulta quanto segue. La sera del 19 novembre 2008 il presidente del Consiglio, nella splendida cornice romana di Villa Madama, ha ricevuto i più bei nomi dell´imprenditoria del Paese, per una cena ufficiale tra il governo e le grandi firme del Made in Italy. Almeno una sessantina gli invitati, che il premier ha intrattenuto insieme a diversi ministri, da Letta a Tremonti, da Bondi a Fitto. Al suo tavolo da otto, al centro del salone, insieme a stilisti di spicco come Santo Versace e la moglie, Leonardo Ferragamo e la sorella Giovanna, Paolo Zegna e Laudomia Pucci, il Cavaliere ospitava «una splendida ragazza», secondo il racconto di chi c´era. Capelli castano chiari, vestito in lamè. Molto giovane, molto avvenente, sconosciuta a tutti. Berlusconi, secondo la testimonianza di un industriale che ha partecipato all´evento, l´ha presentata ai commensali come «Noemi Letizia, figlia di carissimi amici di Napoli. Sta facendo uno stage - ha aggiunto il premier - ed è qui per conoscere i grandi protagonisti del mondo della moda».
La ragazza ha parlato poco, e ascoltato molto. A un certo punto, secondo la ricostruzione di almeno tre fonti diverse invitate alla cena, ha fatto un rapido giro del salone, mentre l´orchestra suonava musiche americane e francesi. E non è passata inosservata. Uno dei commensali, seduto ad un altro tavolo a fianco all´allora segretario generale della presidenza del Consiglio Mauro Masi, ha chiesto lumi. «Chi è quella ragazza?». La risposta è stata la seguente: «È una cara amica napoletana del presidente. Non era previsto che venisse, ma lui l´ha voluta a tutti i costi, e per questo è stato addirittura necessario rivedere il "placement" del tavolo uno...». Cioè la distribuzione dei posti al tavolo nel quale era seduto il premier. A fine cena, secondo il ricordo dei presenti, sarebbe stata vista allontanarsi su un´auto blu, al seguito dell´Audi A8 nera del premier.
Berlusconi, come ha affermato in diverse interviste, ha dichiarato di non aver mai conosciuto personalmente la ragazza di Casoria, e di averla incontrata un paio di volte, sempre al seguito dei suoi familiari. «Ho avuto occasione di conoscerla tramite i suoi genitori. Questo è tutto», ha detto ai microfoni di "France 2" il 6 maggio. «Sono amico del padre. Punto e basta», ha aggiunto nell´intervista a "La Stampa" il 4 maggio. Con tutta evidenza, la ricostruzione di quanto accaduto quella sera di novembre sembra quindi aprire un´altra faglia nella linea difensiva costruita dal Cavaliere intorno all´intera vicenda. Come Repubblica ha accertato, il premier ha incontrato Noemi - sua ospite a tavola senza genitori - almeno in una circostanza.
Alla luce di tutto questo, ci permettiamo di rilanciare al presidente del Consiglio due delle dieci domande che D´Avanzo gli ha già rivolto. E cioè: «Quando ha avuto modo di conoscere Noemi Letizia?». E «quante volte ha avuto modo di incontrare Noemi Letizia e dove?». E dopo la scoperta che Noemi l´ha accompagnato da sola quel 19 novembre a Villa Madama, mentre a "France 2" il Cavaliere aveva detto di non averla mai vista da sola, potremmo aggiungere anche un altro interrogativo: perché ha mentito agli italiani (e stavolta persino ai francesi)?
m.gianninirepubblica.it
Repubblica 21.5.09
Il Pdl stacca il Pd, crescono Bossi e Di Pietro
Sondaggio Demos: il centrodestra sfiora il 50%. Le due liste di sinistra in ripresa
di Roberto Biorcio e Fabio Bordignon
La campagna elettorale per il 6-7 giugno (europee e amministrative) procede sottotono, senza produrre (per ora) grandi cambiamenti nelle preferenze di voto degli italiani. I risultati dell´ultimo Atlante Politico, realizzato da Demos per Repubblica, confermano l´ampio vantaggio del centro-destra. Ma se lo scarto Pd-Pdl rimane sostanzialmente invariato, rispetto alle stime di marzo, spostamenti più rilevanti sembrano investire i loro alleati e le "terze forze".
Dopo le politiche 2008, il Pd ha subìto una forte emorragia di consensi. A marzo era stimato al 26%. L´adozione di una strategia più "aggressiva" ha permesso di frenare questa tendenza al declino, senza però invertirla. Il sondaggio - realizzato prima che le motivazioni della sentenza Mills - individua, tuttavia, un´area non trascurabile di elettori che, pur avendo scelto il Pd nel 2008, non hanno ancora deciso se riconfermare il voto passato oppure orientarsi su altre forze (o sull´astensione).
A beneficiare dei flussi "in uscita" dal Pd è stato, in una prima fase, soprattutto l´Idv (a marzo sopra l´8%), la cui progressione sembra essersi però arrestata. Riprende quota, invece, la sinistra comunista, che, sebbene divisa, punta a raddoppiare il (magro) bottino di un anno fa. Entrambe le formazioni dell´area rimangono, per ora, poco sotto la soglia di sbarramento del 4%: Prc-Pdci si attesta al 3.7%, Sinistra e libertà al 3.1%. Sotto il 3 per cento sono invece i radicali che corrono da soli. L´Udc, grazie al ruolo "equidistante" assunto dopo il 2008, conferma la crescita registrata a marzo (7%).
Sul fronte di centro-destra, prosegue la marcia di avvicinamento alla soglia simbolica del 50%, soprattutto grazie alla crescita della Lega, che sembra poter sfondare il tetto del 10%. La coalizione berlusconiana si attesta intorno al 49%. Senza contare l´Mpa, il cui patto con la Destra di Storace non pare corrispondere, per ora, alla "somma" dei due partiti (e delle altre forze confluite nel cartello elettorale). Il Pdl conferma il suo largo seguito elettorale (38.8%), mentre cresce la concorrenza interna nella maggioranza, in particolare nelle regioni del Nord.
Corriere della Sera 21.5.09
Le stime Solo il 36% degli italiani «interessato» alla campagna elettorale. Democratici favoriti a Firenze e Bologna
L’ultimo sondaggio Pdl vicino al 40% il Pd tra il 25 e il 27
Europee, avanzano Lega e Di Pietro
di Renato Mannheimer
Le prossime elezioni europee e amministrative (che coinvolgono comuni e provincie di grandi importanza) hanno acquisito, col passare del tempo un significato politico sempre più ampio e di rilievo. Per molti versi, si tratta di una vera e propria mid-term election, una sorta di verifica — finalmente non basata solo su dati di sondaggio — degli attuali rapporti di forza tra i partiti e della loro popolarità nell'elettorato. È del tutto evidente che gli esiti delle consultazioni che si terranno tra poco più di due settimane condizioneranno nettamente — in un modo o nell'altro — lo scenario politico dei prossimi mesi. In particolare, sono destinati ad essere verificati il consenso attuale per il presidente del Consiglio e il suo partito (messi fortemente in discussione, proprio in questi giorni, dai casi Letizia e Mills che, tuttavia, non sembrano avere incrinato granché la popolarità di Berlusconi) e, dall'altro verso, la «tenuta» del Pd, minato da molteplici fratture e discussioni interne.
Nonostante il loro rilievo, si registra sin qui un interesse relativamente modesto per la prossima scadenza elettorale, specie quella europea (le amministrative interessano e coinvolgono infatti localmente gran parte della popolazione). Solo il 36% degli italiani (vale a dire poco più di un cittadino su tre) dichiara di essere «molto o abbastanza» interessato alla campagna elettorale. Si tratta peraltro grossomodo del livello di interesse riscontrato in occasione delle passate elezioni europee (era pari al 34%), molto meno della partecipazione alla campagna che ha caratterizzato le consultazioni politiche dell'anno scorso (si dichiarava interessato il 56%). Appaiono più coinvolti nella campagna i possessori di titoli di studio più elevati, le persone di età dai 55 ai 65 anni (la generazione del '68, tradizionalmente più partecipe politicamente), i residenti al Nord-Est. Sul piano politico, l'interesse per le elezioni risulta molto maggiore tra gli elettori del centrodestra, un altro segno, forse dello smarrimento e della disaffezione presenti nella fila del centrosinistra.
L'incognita, a questo punto, sta nella partecipazione al voto. Malgrado l'85% degli intervistati dichiari di volere andare a votare (ma, tra costoro, il 17% confessa di non essere proprio certo e dice che lo farà «probabilmente»), è possibile che una certa quota, all'ultimo momento, rinunci a recarsi alle urne. Va da sé che l'affluenza potrà avere una rilevanza fondamentale nel formare gli equilibri di forza tra i diversi partiti.
Per questo, occorre leggere con cautela i dati degli ultimi sondaggi. Infatti, questi strumenti di analisi non sempre riescono a tenere conto appieno degli effetti del livello di partecipazione. In ogni caso, le stime pubblicate più di recente tendono a confermare il successo del Pdl (vicino al 40% anche se, proprio negli ultimi giorni, sembra aver subito un calo relativo di consensi), quello della Lega (stimata attorno al 9%) e dell’Idv (8-9%). Dall'altro verso, pare «tenere » anche il Pd, per il quale le ultime rilevazioni ipotizzano un risultato tra il 25 e il 27%.
Per ciò che concerne le amministrative, appaiono sintomatiche le ultime ricerche pubblicate (rispettivamente su Il Resto del Carlino e su La Nazione)
riguardo alle consultazioni comunali a Bologna e a Firenze. In entrambi i casi, il candidato principale del centrosinistra (Delbono e Renzi) viene dato per favorito. Ma, sia a Bologna sia a Firenze, il livello dell'indecisione dichiarata non permette sino ad oggi di stabilire definitivamente se si andrà o meno al ballottaggio. Il connotato delle «regioni rosse» è finito da tempo.
Il quadro non appare dunque ancora del tutto privo di incertezze. Peraltro, l'alto livello di indecisione traspare anche dalle stesse risposte degli intervistati nei sondaggi. Solo il 55% sostiene, per ciò che riguarda le europee, di volere, in questa occasione, scegliere nuovamente «il partito che voto di solito». Appaiono da questo punto di vista più certi i maschi, la solita generazione dai 55 ai 65 anni, gli elettori residenti al centro e, quel che è forse più significativo, i votanti per il Pdl e la Lega. A questo gruppo si contrappone quel 42% che si dichiara oggi indeciso tra diversi partiti o, addirittura, «in alto mare» riguardo alla scelta di voto. Si tratta perlopiù di giovanissimi (ove si riscontra addirittura più del 60% di indecisi) e di casalinghe.
Una così diffusa incertezza indica che, come sempre accade — ma questa volta il fenomeno sembra ancora più accentuato — gli ultimi quindici giorni di campagna elettorale sono davvero determinanti nel definire il risultato.
Repubblica 21.5.09
Le minoranze ribelli che parlano all’Italia in cerca di sicurezza
Due italiani su tre approvano i "respingimenti" dei migranti in mare
Il sondaggio è stato condotto prima che le motivazioni della sentenza Mills investissero Berlusconi
di Ilvo Diamanti
L’Atlante Politico di Demos registra e conferma tendenze già osservate negli ultimi mesi, fra gli elettori. Poco allegre per il centrosinistra e soprattutto per il Pd.
Al di là delle specifiche stime di voto, il clima d´opinione sembra premiare tutte le principali scelte del governo e tutte le azioni del premier. Anche le più discusse e discutibili. Dai respingimenti delle imbarcazioni cariche di immigrati, approvate da oltre 2 italiani su 3 (da 4 su 10 fra gli elettori del Pd e dell´Idv), alle vicende personali e familiari di Berlusconi. Quasi 8 italiani su 10 pensano che il divorzio annunciato e le amicizie femminili del premier siano fatti suoi e di sua moglie.
Va detto che il sondaggio è stato condotto prima della sentenza sul caso Mills, che accusa il premier di corruzione. Anche se dubitiamo che possa scuotere un elettorato largamente immune dal vizio dell´indignazione.
L´emergenza-terremoto, invece, ha esercitato effetti positivi sulla popolarità del governo. Da ciò l´impressione che l´esito delle prossime elezioni europee sia già scritto. Una replica - dai toni più forti - del risultato di un anno fa. Le elezioni europee, tuttavia, non sono mai davvero prevedibili. Perché hanno effetti politici nazionali, ma le loro conseguenze istituzionali riguardano, appunto, il contesto europeo. Per questo sono caratterizzate da un tasso di astensione più elevato del consueto (il 30%, cinque anni fa). Per questo molti elettori usano criteri di scelta diversi. Votano (oppure non votano) in modo più "libero" che in altre consultazioni. Meno attenti alla logica del voto utile e maggiormente disposti, invece, a esprimere un voto a elevato valore simbolico. Che suoni come minaccia, avvertimento oppure auspicio. Per questo, in particolare, conviene guardare anche "dentro" alle coalizioni, dove si gioca una partita altrettanto importante di quella "fra" le coalizioni. In particolare, occorre fare attenzione alla sfida lanciata da Antonio Di Pietro al Pd ma anche a quella, altrettanto esplicita, della Lega contro il Pdl. Di Pietro alle elezioni di un anno fa aveva raggiunto il 4,4%. Oggi, secondo Demos, è quasi raddoppiato. Mentre il Pd è sceso di 7 punti percentuali. Insieme, Pd e Idv raggiungono a fatica il dato ottenuto un anno fa dal Pd da solo. Ma oggi l´Idv costituisce un quarto dei voti di quest´area politica. Circa un terzo rispetto alla base elettorale del Pd. Non un settimo (e anche meno) come un anno fa.
Diverso è il caso della coalizione che sostiene il governo. Il cui partito di riferimento, il Pdl, non sembra aver perduto consensi. Anzi, li sta allargando. Ma la Lega, rispetto a un anno fa, è cresciuta maggiormente. Secondo le stime di Demos, avrebbe superato il 10%, come solo nel 1996 le era capitato. Quando si era presentata da sola contro tutti, agitando la bandiera della secessione. Una minaccia che, in seguito, però, l´avrebbe sospinta ai margini del sistema politico e dell´elettorato. Oggi invece agisce da alleata inquieta, ma fedele, del Pdl. Sta al governo e al tempo stesso assume atteggiamenti da opposizione. E sembra trarne un doppio beneficio. Lega e Idv, quindi, corrono per rafforzare il loro ruolo nella politica del paese ma anzitutto nelle due coalizioni. Mirano a diventare i veri punti di riferimento della maggioranza e dell´opposizione. Soggetti che dettano l´agenda e impongono il linguaggio della politica nazionale. La Lega, d´altronde, oggi è divenuta portabandiera del tema della sicurezza; in modo aggressivo. Rivendica l´autodifesa personale e delle comunità locali. Oggi le ronde. Domani, magari, la liberalizzazione della vendita delle armi. Seguendo il modello americano. Ha, inoltre, assunto il ruolo di guida della lotta contro l´immigrazione clandestina. Anzi, diciamo pure: contro l´immigrazione tout-court. Intanto, ha conquistato il federalismo fiscale. Il suo marchio di fabbrica. Ma oggi sembra maggiormente interessata ad apparire garante della sicurezza e della paura. Perché non c´è domanda di sicurezza senza paura. E viceversa. In questo modo, conta di scavalcare il confine "naturale" del Nord padano. Il Po, appunto. Perché la paura non ha confini.
L´Idv di Di Pietro assorbe e intercetta almeno una parte di questo sentimento. La domanda di sicurezza. Perché, a differenza del Pd, non ha remore a esprimere un linguaggio securitario contro la criminalità comune e l´immigrazione clandestina. Inoltre, pratica la linea della fermezza antiberlusconiana. Senza se e senza ma. Fa l´Opposizione inflessibile. Sempre pronta a manifestare apertamente e rumorosamente la protesta contro il governo. In modo da sottolineare la timidezza degli alleati e da coprire la voce del leader democratico Dario Franceschini. Così, sullo spazio politico, i due partiti sono scivolati via dal centro. Oggi il 50% degli elettori leghisti si colloca a destra. Nel Pdl, invece, un terzo. Per cui la Lega è più a destra del Pdl (dove sono confluiti gli elettori di An). L´Idv, anch´essa, tempo fa, vicina al centro, se ne è allontanata. Il 33% dei suoi elettori oggi si dicono di sinistra, il 34% di centrosinistra. Solo l´8% di centro. Fa concorrenza alla Lega, per linguaggio e inflessibilità (non per i riferimenti di valore). Ma anche alla sinistra radicale.
Lega e Idv, per questo, giocano una partita importante: per sé, per la propria area, per il sistema politico italiano. Di cui ambiscono ad assumere la leadership. Minoranze dominanti di un paese "contro".
il Riformista 21.5.09
Perché fa ancora scandalo il Duce seduttore?
Benito Mussolini aveva carisma. È ora di accettarlo
di Lucetta Scaraffia
Le critiche di Natalia Aspesi al film di Bellocchio derivano dall'impossibilità di ammettere la capacità di seduzione del Duce. Basta con la favola degli italiani stupidi e accecati, ieri con lui e oggi con Berlusconi
In Italia, quando si parla di Mussolini, tutti si agitano ancora, e molto. Come sta avvenendo per il film di Bellocchio presentato a Cannes Vincere, che, come ormai ben si sa, riprende una storia d'amore della sua gioventù con Ida Dansen, dalla quale nacque un figlio, Benito. Il giorno dopo l'anteprima, Natalia Aspesi sgridava il regista su Repubblica, dicendo che era sbagliata la rappresentazione di Benito Mussolini, secondo lei macchiettistico. Peccato però avesse detto, appena qualche riga prima, che nei cinegiornali dell'epoca, che inframezzano la finzione cinematografica, il dittatore vero appariva macchiettistico. Forse la Aspesi non possiede una collezione di fotografie di famiglia, in cui gli uomini di quell'epoca si mostrano con colletti duri e facce feroci in mezzo a donne e bambini, in una rappresentazione esasperata e guerriera della mascolinità che certo poco si addiceva magari a tranquilli borghesi ma che era tipica e ampiamente diffusa. Il mio nonno, che aveva fatto il bersagliere nella prima guerra mondiale, e che era l'uomo più buono che io ricordi di avere conosciuto, nelle foto ha una faccia da cattivo che avrebbe dovuto terrorizzare noi nipoti, che invece lo adoravamo.
Anche l'idea di fascino maschile è molto cambiata: ai nostri occhi appare buffo il grande seduttore Rodolfo Valentino, per cui si sono addirittura suicidate delle donne, mentre troviamo affascinante l'eleganza spiegazzata di un Jeremy Irons e l'autoironia di Sean Connery, tanto per citare solo due seduttori di lungo corso.
Quindi è chiaro questo primo punto: macchiettistico è un comportamento, un modo di proporsi di altri tempi, che oggi ci infastidisce perché non corrisponde per nulla alla nostra concezione della vita, ma che può essere perfettamente autorizzato in un film storico, o meglio addirittura richiesto dal soggetto. Ma quello che disturba la Aspesi, mi viene il dubbio, non è questo, ma piuttosto il fatto che Mussolini viene rappresentato come affascinante sciupafemmine di sinistra invece che il dittatore rigido e imbolsito quale ormai siamo abituati a vedere. Certo, è un mascalzone, ma come ben si sa i mascalzoni sono sempre piaciuti, come ben prova il fatto - verità storica - che la povera Ida Dalsen, se pure non richiesta, vende il suo istituto di bellezza e tutti i suoi averi per fornirgli i soldi necessari a iniziare la pubblicazione del nuovo giornale nazionalista, Il Popolo d'Italia.
Mussolini, quindi, è un seduttore dei primi decenni del 900, con una vita sentimentale complicata e confusa, in cui si barcamena a fatica: l'unica cosa ben chiara è che il suo interesse principale non sono le donne - che pure gli piacciono molto - ma il suo destino futuro, la sua ambizione smisurata di figlio del popolo che vuole disperatamente arrivare in alto, il più alto possibile. In questo senso agli sceneggiatori del film si può imputare un'assenza importante, quella di Margherita Sarfatti, in quegli stessi anni certo la donna più influente nella vita di Mussolini, non tanto per amore, ma perché estremamente utile alla sua scalata sociale. A differenza di Ida e di Rachele, Margherita era una donna colta e ricca, di alta classe sociale, moglie di un avvocato socialista che era stato parlamentare, e soprattutto molto intelligente: non solo è lei che insegna a Mussolini a vestirsi e a mangiare in modo decente, dirozzandolo dal punto di vista sociale, ma è anche una utilissima ed esperta consigliera culturale. È lei che lo mette in contatto con i futuristi - che compaiono nel film - e con vari intellettuali, che gli suggerisce di utilizzare il mito di Roma imperiale e che scrive la biografia Dux, tradotta in molte lingue, che contribuirà in modo decisivo a creare consenso e approvazione intorno al dittatore non solo in Italia. E fu Margherita a suggerirgli di sposare Rachele, e non Ida, perché pensava che una povera contadina le avrebbe dato meno ombra: si sbagliava, però, e le leggi razziali avrebbero dato il colpo definitivo ad una influenza già declinata.
Invece nel film è molto ben ricostruita la figura di Ida, certo vittima di una situazione sbagliata e di un uomo di potere senza cuore, ma anche artefice essa stessa, con la sua fissazione amorosa, della sua fine tragica.
Mussolini non fa certo bella figura, ma neppure risulta un mostro di cattiveria: è un uomo ambivalente ed egoista, e anche un po' vigliacco con le donne, come spesso i seduttori, ma si capisce, almeno, quale fascino abbia potuto esercitare sulle donne, e in generale sugli italiani. Perché non si può continuare a dire che gli italiani che hanno favorito e accettato l'ascesa di Mussolini erano solo stupidi e accecati, esattamente come oggi si dice di chi vota Berlusconi: nella vita politica moderna il fascino carismatico occupa un posto importante, e bisogna farsene una ragione.
il Riformista 21.5.09
Il silenzio su Pannella
Caro direttore, martedì scorso, durante il Tg1 della sera, sono incappato nel viso provato e segnato di Marco Pannella. Era un'immagine silenziosa, di pochissimi secondi, ma dava il senso di una lotta interminabile e inesausta. Pannella è in sciopero totale della fame e della sete per denunciare, appunto, un silenzio: quello dei maggiori media sulla candidatura dei Radicali alle prossime elezioni europee. Un silenzio rappresentato benissimo dal primo tg della Rai: dei pochissimi secondi dedicati alla notizia, più della metà era senza audio! Saltato, soppresso, annullato. Ancora silenzio, nel chiasso dei poteri dominanti.
Paolo Izzo, radical-socialista
Al menù di questa giornata sulla Croisette, la presentazione dell’unico film italiano in competizione quest’anno: Vincere di Marco Bellocchio. E’ un po’ il suo “coming out” di due vittime quasi sconosciute della dittatura, un’amante e figlio ---- nascosto e perseguitato- del Duce…
Ci viene da pensare che l’Italia è ossessionata dalla sua storia!
- Cannes 2008: 3 film sono presentati al pubblico, tutti i tre rivisitano la politica o i problemi sociali italiani di questi ultimi 60 anni. (Gomorra, ispirato dall’inchiesta di Roberto Saviano, sulla Mafia, Il Divo di Paolo Sarrentino, ritratto di un uomo politico, presunto mafioso, emblematico del dopo-guerra italiano et Sanguepazzo, evocazione di un caso poco glorioso – un crimine – della Liberazione.)
- Cannes 2009: l’unico film italiano va ancora dare alla giuria di Cannes l’occasione di ascoltare una lezione di storia contemporanea. Questa volta, ritratto di due vittime del dittatore italiano. Ma non proprio politici, intimi …
Il Mussolini nascosto: amante di un’estetista e militante socialista
Si chiamava Ida Dalser e gestiva un centro estetico a Milano. Suo figlio si chiamava Benito (come Mussolini). Inizialmente sorvegliati dalla polizia, sarebbero stati in seguito rinchiusi, ancora giovani, in ospedali psichiatrici fino alla loro morte. Un mezzo per Mussolini per far sparire questi due scocciatori, perché dicevano – e sembra che lo fossero*- l’una la sua ex amante, l’altro suo figlio nascosto. Il Duce avrebbe quindi avuto una vera doppia vita: così nel 1915, se celebrava il suo matrimonio con Rachele, la sua moglie ufficiale, è anche, in questo stesso anno, che nasce questo Benito, il figlio della sua amante estetista. Qualche rivelazione e inchiesta su questa “famiglia nascosta” del dittatore sono già uscite *, ma niente di meglio di una presentazione sulla Croisette perché il presunto figlio di Mussolini sia finalmente (ri)conosciuto!
Storia di una tragedia – tra tante altre – dell’epoca mussoliniana. Tuttavia, il film non si limita a questo caso privato, si assiste anche alla genesi di Mussolini, giovane socialista prima di diventare un dittatore.
Infine, da notare che il regista è un uomo del cinema italiano dei più impegnati politicamente. Di quasi 70 anni, nato all’inizio della guerra, Marco Bellocchio non ha mai nascosto il suo militanza (di sinistra) e ha anche tentato di farsi eleggere al Parlamento italiano tre anni fa.
Bisognerò aspettare questa sera per conoscere i pareri dei commentatori presenti a Cannes , e domenica prossima per sapere se “Vincere” avrà vinto … contro i suoi 19 altri concorrenti!
Gersende DELCROIX _Martedì 19 maggio 2009
*Nelle sue memorie, la sposa di Benito Mussolini, Rachele Mussolini evoca Ida Irene Dalser come una delle compagne di suo marito; anche su questo argomento, un’inchiesta del giornalista Marco Zeni…
Ci viene da pensare che l’Italia è ossessionata dalla sua storia!
- Cannes 2008: 3 film sono presentati al pubblico, tutti i tre rivisitano la politica o i problemi sociali italiani di questi ultimi 60 anni. (Gomorra, ispirato dall’inchiesta di Roberto Saviano, sulla Mafia, Il Divo di Paolo Sarrentino, ritratto di un uomo politico, presunto mafioso, emblematico del dopo-guerra italiano et Sanguepazzo, evocazione di un caso poco glorioso – un crimine – della Liberazione.)
- Cannes 2009: l’unico film italiano va ancora dare alla giuria di Cannes l’occasione di ascoltare una lezione di storia contemporanea. Questa volta, ritratto di due vittime del dittatore italiano. Ma non proprio politici, intimi …
Il Mussolini nascosto: amante di un’estetista e militante socialista
Si chiamava Ida Dalser e gestiva un centro estetico a Milano. Suo figlio si chiamava Benito (come Mussolini). Inizialmente sorvegliati dalla polizia, sarebbero stati in seguito rinchiusi, ancora giovani, in ospedali psichiatrici fino alla loro morte. Un mezzo per Mussolini per far sparire questi due scocciatori, perché dicevano – e sembra che lo fossero*- l’una la sua ex amante, l’altro suo figlio nascosto. Il Duce avrebbe quindi avuto una vera doppia vita: così nel 1915, se celebrava il suo matrimonio con Rachele, la sua moglie ufficiale, è anche, in questo stesso anno, che nasce questo Benito, il figlio della sua amante estetista. Qualche rivelazione e inchiesta su questa “famiglia nascosta” del dittatore sono già uscite *, ma niente di meglio di una presentazione sulla Croisette perché il presunto figlio di Mussolini sia finalmente (ri)conosciuto!
Storia di una tragedia – tra tante altre – dell’epoca mussoliniana. Tuttavia, il film non si limita a questo caso privato, si assiste anche alla genesi di Mussolini, giovane socialista prima di diventare un dittatore.
Infine, da notare che il regista è un uomo del cinema italiano dei più impegnati politicamente. Di quasi 70 anni, nato all’inizio della guerra, Marco Bellocchio non ha mai nascosto il suo militanza (di sinistra) e ha anche tentato di farsi eleggere al Parlamento italiano tre anni fa.
Bisognerò aspettare questa sera per conoscere i pareri dei commentatori presenti a Cannes , e domenica prossima per sapere se “Vincere” avrà vinto … contro i suoi 19 altri concorrenti!
Gersende DELCROIX _Martedì 19 maggio 2009
*Nelle sue memorie, la sposa di Benito Mussolini, Rachele Mussolini evoca Ida Irene Dalser come una delle compagne di suo marito; anche su questo argomento, un’inchiesta del giornalista Marco Zeni…
traduzione di Corinne Lebrun
Terra 21.5.09
Vincere nel privato
di Luca Bonaccorsi
È uscito solo ieri nelle sale e ha già scatenato un fiume di inchiostro. Il nuovo film di Marco Bellocchio, Vincere, come tutti i capolavori, però, continuerà a far parlare di sé perché irrompe nell’attuale dibattito politico e culturale come il taglio nella tela di Fontana. Come una tragedia greca non parla né degli anni in cui è ambientato, né di quelli che viviamo. Non parla di comunismo, di ’68 o di socialismo, di destra e di sinistra. Non parla di femminismo né di religione. Eppure parla di tutte queste cose insieme. Lo fa perché va dritto al cuore della questione delle questioni: la donna. E il rapporto tra uomini e donne. Vincere è un film quintessenzialmente laico e femminista. Intelligente, potente e profondo al punto da far apparire meschini e volgari i paralleli con l’attualità dei Berlusconi, delle Veroniche e delle Noemi. Eppure. Il sociologo Ilvo Diamanti, su Repubblica, pochi giorni fa si lamentava di questa irruzione del privato nella sfera pubblica. Bellocchio risponde raccontando il senso del fascismo, ridefinendolo come dimensione personale di distruzione della donna e riduzione di questa a fattrice di pargoli per la gloria della nazione. Ribelle emarginata e schiacciata o moglie stupida e mediocre. Solo due le strade che la storia, scritta dagli uomini, ha lasciato alle donne secondo Bellocchio. Ce n’è da riflettere per tanti di noi: di destra e di sinistra. Laici e cattolici. Precipitato nella dimensione personale, Mussolini diventa ogni uomo incapace di vivere una storia d’amore senza interessi o calcoli. Ogni uomo non in grado di riconoscere alle donne identità e libertà. Ogni uomo incapace di sostenere la dialettica, anche feroce, con la donna. Il nesso tra la dimensione personale e quella politica, tra il mondo degli affetti e le idee, persino tra il sesso e la guerra, esce dalla ricerca personale di Bellocchio per finire nel dibattito italiano. In un contesto in cui il discorso razionale si sfilaccia e la comunicazione domina, in cui la maschera falsa di un premier antico, che dietro moderno cerone e miracoli tricologici, ripropone la cultura che speravamo di aver sconfitto, e miete consensi. In questo contesto, la sinistra non può non approfittarne per cercare, anche nel privato, i motivi di una sconfitta. Perché Berlusconi e Bondi, Gasparri e Cicchitto, ma anche la Veronica e la Carfagna quella bataglia l’hanno persa, nonostante la conquista del potere. Ma la sinistra non l’ha vinta. Personale e politico, rivoluzione e affetti, prassi e teoria. Bellocchio rilancia. Chi saprà raccogliere?
Vincere nel privato
di Luca Bonaccorsi
È uscito solo ieri nelle sale e ha già scatenato un fiume di inchiostro. Il nuovo film di Marco Bellocchio, Vincere, come tutti i capolavori, però, continuerà a far parlare di sé perché irrompe nell’attuale dibattito politico e culturale come il taglio nella tela di Fontana. Come una tragedia greca non parla né degli anni in cui è ambientato, né di quelli che viviamo. Non parla di comunismo, di ’68 o di socialismo, di destra e di sinistra. Non parla di femminismo né di religione. Eppure parla di tutte queste cose insieme. Lo fa perché va dritto al cuore della questione delle questioni: la donna. E il rapporto tra uomini e donne. Vincere è un film quintessenzialmente laico e femminista. Intelligente, potente e profondo al punto da far apparire meschini e volgari i paralleli con l’attualità dei Berlusconi, delle Veroniche e delle Noemi. Eppure. Il sociologo Ilvo Diamanti, su Repubblica, pochi giorni fa si lamentava di questa irruzione del privato nella sfera pubblica. Bellocchio risponde raccontando il senso del fascismo, ridefinendolo come dimensione personale di distruzione della donna e riduzione di questa a fattrice di pargoli per la gloria della nazione. Ribelle emarginata e schiacciata o moglie stupida e mediocre. Solo due le strade che la storia, scritta dagli uomini, ha lasciato alle donne secondo Bellocchio. Ce n’è da riflettere per tanti di noi: di destra e di sinistra. Laici e cattolici. Precipitato nella dimensione personale, Mussolini diventa ogni uomo incapace di vivere una storia d’amore senza interessi o calcoli. Ogni uomo non in grado di riconoscere alle donne identità e libertà. Ogni uomo incapace di sostenere la dialettica, anche feroce, con la donna. Il nesso tra la dimensione personale e quella politica, tra il mondo degli affetti e le idee, persino tra il sesso e la guerra, esce dalla ricerca personale di Bellocchio per finire nel dibattito italiano. In un contesto in cui il discorso razionale si sfilaccia e la comunicazione domina, in cui la maschera falsa di un premier antico, che dietro moderno cerone e miracoli tricologici, ripropone la cultura che speravamo di aver sconfitto, e miete consensi. In questo contesto, la sinistra non può non approfittarne per cercare, anche nel privato, i motivi di una sconfitta. Perché Berlusconi e Bondi, Gasparri e Cicchitto, ma anche la Veronica e la Carfagna quella bataglia l’hanno persa, nonostante la conquista del potere. Ma la sinistra non l’ha vinta. Personale e politico, rivoluzione e affetti, prassi e teoria. Bellocchio rilancia. Chi saprà raccogliere?