Psichiatri Oggi Bimestrale Giugno 2008 N.3
Periodico di attualità psichiatrica diretto da Pier Luigi Scapicchio
Novello nel segno di García Márquez: vivere per raccontarla
1968. Un’associazione, un ministro, una legge
Eliodoro Novello, Giovanni Del Missier, Claudia Dario
Padova, Roma
La storia di questi trent’anni della 180 è anche la storia delle sue celebrazioni. Cominciammo dopo due anni, al Congresso Nazionale SIP di Catania, organizzato in modo magnifico da Uccio Rapisarda e dal suo giovanissimo braccio destro Eugenio Aguglia. Nella splendida cornice del Teatro Bellini, duemila persone tra psichiatri ed accompagnatrici in abito da sera (perché dopo ci si trasferiva per la cena al Castello Ursino, illuminato da centinaia di fiaccole) ascoltarono per la prima volta un’apertura congressuale “non scientifica”. Niente clinica, si esaminavano i primi dati dell’applicazione della legge. Ed io, che avevo l’onere dell’apertura, mi lanciai in arditi riferimenti a Thomas Kuhn per sostenere che quella sera stavamo ugualmente facendo scienza, anche se non parlavamo di ricerca e di malattie. Immaginate la mia sorpresa nel leggere, vent’anni dopo, la stessa argomentazione nello scritto di Michele Schiavone riportato in queste pagine. La seconda celebrazione fu quella per il decennale. Tre grandi convegni per le tre fasce geografiche del Paese a Gardone, Trevi e Palermo. Entrarono nella SIP, quell’anno, moltissimi e prestigiosi colleghi collocati sulle posizioni di Psichiatria Democratica, ai quali non venne negata la doppia appartenenza. Fu un momento storico per noi: si riconosceva finalmente, aldilà degli schematismi ideologici, che tutta la psichiatria italiana stava con la 180 e non remava contro. I trent’anni, è storia di oggi, sono stati ricordati con una conferenza stampa in maggio a Milano. Il programma della celebrazione era stato pensato per rendere edotti i giornalisti partecipanti che la SIP ha smesso di guardare alla storia e guarda invece al futuro, alla psichiatria che sarà. Mi sembra, dopo trent’anni, un atto di intelligenza culturale, che personalmente mi sento di condividere. Psichiatri Oggi dedica questo terzo numero del 2008 alla 180, seguendo un percorso essenzialmente culturale. Ma c’è ancora un pezzo di storia che nessuno ha fino ad oggi raccontato in modo organico, e che vede la luce anche grazie alle nostre ripetute sollecitazioni: quello che riguarda l’azione dell’AMOPI (l’Associazione Medici Ospedali Psichiatrici Italiani) dalla metà degli anni sessanta fino al settantotto. L’AMOPI era un sindacato di categoria, indispensabile in quanto i medici manicomiali avevano uno status giuridico diversissimo dagli altri medici ospedalieri (nonché gli stipendi, inferiori del 50%!) e dipendevano, unici e soli, dalle Province. Ma in realtà essa si trasformò quasi subito in un formidabile propulsore culturale, che contribuì in modo determinante al raggiungimento della 180. Questo articolo riproduce, come anticipazione editoriale, un capitolo di un volume sulla stagione delle riforme psichiatriche, ossia sulla storia della psichiatria italiana dalla legge Mariotti alla 180, che vedrà la luce alla fine di quest’anno. Ringraziamo, non solo per l’autorizzazione a pubblicarlo ma soprattutto per l’impegno e la passione profusi nella certosina analisi delle fonti, i curatori del volume Mario Paolo Dario, Giovanni Del Missier, Andrea Piazzi, Ester Stocco e Luana Testa. L’articolo ha come primo nome quello di Eliodoro Novello, psichiatra padovano che fu una delle colonne portanti dell’AMOPI e che ricordo, infaticabile tra Padova e Roma, nei mesi di stesura della 180. A lui invio un saluto particolare ed un ringraziamento affettuoso per tutto ciò che ha realizzato nella sua vita professionale. Se oggi non esistono più i manicomi e se è stata sconfitta la logica che li sosteneva, è merito anche suo e di quel manipolo di intellettuali che creò e sviluppò l’AMOPI. (PLS)
Nella fiera degli anniversari della storia della psichiatria, che in questo 2008 hanno occasione di venire alla ribalta, trova posto il 1978 e la legge 180 che fu promulgata in quell’anno, ma la memoria a lungo termine della psichiatria sembra arrestarsi lì, incapace di retrocedere di altri 10 anni e raggiungere il 1968, non per gli ovvi tributi alla “contestazione giovanile” ma per rendere omaggio ad una legge che il Parlamento approvò il 18 marzo di quell’anno, che fu detta legge Mariotti ma che avrebbe benissimo meritato l’appellativo di legge AMOPI. Di fronte ai nomi Mariotti o AMOPI nei colleghi più giovani, che ignorino questa fondamentale tappa legislativa che tanto ha inciso sulla assistenza psichiatrica pubblica, risuona il quesito manzoniano “chi eran costoro? ”. È di questo tratto importante della nostra storia che vogliamo raccontare: della legge 431/68, e di coloro che più la vollero: Mariotti e l’AMOPI.
LA LEGGE
Iniziamo proprio dalla legge chiamata «Provvidenze per l’assistenza psichiatrica », che viene ratificata dal presidente della Repubblica Saragat, presentata dal Presidente del Consiglio Aldo Moro ma voluta dal ministro della Sanità il sen. Mariotti. Essa, con i suoi 12 articoli, provoca tre grandi mutamenti nel modo di percepire la assistenza psichiatrica pubblica e il ruolo dello psichiatra. Il primo mutamento è conseguenza dell’art. 4 «Ammissione volontaria e dimissioni» che permette al malato che chieda di ricoverarsi volontariamente, con la sola accettazione del medico di guardia, di evitare la segnalazione di tale ricovero al Procuratore, precedentemente obbligatoria per il Direttore come prescritto dall’art. 53, che dal 1909 regolamentava i ricoveri volontari e che la vigente legge 14-2- 1904 «Disposizioni sui manicomi e sugli alienati» risalente a Giolitti non prendeva neanche in considerazione. Ma, cosa ancora più innovativa, ciò che mutava completamente lo status del ricoverato volontario non era tanto la possibilità di ricoverarsi di sua sponte, che abbiamo visto preesisteva, quanto -incredibile! - la facoltà di chiedere di essere dimesso su sua volontà, eventualmente anche contro il parere dei sanitari come qualunque altro paziente di un qualunque altro ospedale generale1. Ciò acquista pregnanza enorme se si pensa che fino ad allora i ricoveri volontari, per l’art. 53, entravano nello stesso iter giuridico-amministrativo dei ricoveri coatti, ovvero, alla scadenza del mese di osservazione provvisoria, doveva, a seconda della pericolosità, o esser dimesso o automaticamente venir internato in via definitiva. Evidenziamo qui una importante conseguenza della precedente impostazione: per la legge 36/1904 coloro che ricadevano nel “dovere” di esser ricoverati, cioè i “pericolosi e scandalosi”, erano in conclusione i soli ad avere il “diritto” di un ricovero gratuito, per tutti gli altri malati mentali nessuna assistenza pubblica. Solo col Regolamento del 1909 viene ammessa (con l’art. 6, 49 e 50) una unica eccezione: il ricovero in reparti o istituti speciali per quei «mentecatti cronici tranquilli, epilettici innocui, cretini, idioti ed, in generale, individui colpiti da infermità mentale inguaribile, non pericolosi a sé e agli altri » che non siano affidabili a nessuno all’esterno. L’art. 4 ha quindi un enorme valore non solo pratico ma anche simbolico: è con esso che il manicomio diventa - anche nominalmente - l’ospedale psichiatrico aperto a tutti e l’alienato diventa un paziente. La psichiatria inizia a (ri) entrare nella medicina. Il secondo mutamento è poi di straordinario impatto, responsabile ne è l’art. 11 «Abrogazione». Era accaduto infatti nel 1930, con la promulgazione del codice Rocco, che il legislatore fascista riuscisse addirittura a peggiorare l’impianto custodialistico e repressivo della 36/1904 introducendo nel codice di procedura penale l’art. 604 n 2, che così recitava «Nel casellario giudiziale si iscrivono (…) i provvedimenti con i quali il giudice ha ordinato il ricovero delle persone in manicomio e la revoca di tale provvedimento». Se già con il 1904 lo psichiatra era diventato custode e carceriere dei malati, ora nel 1930 sono quest’ultimi ad acquisire lo status di delinquenti, e il cerchio si chiude. Ebbene, l’art. 11 mette fine a questa infamia abrogando il passaggio incriminato dell’art. 604 c. p.p. Crediamo non sia eccessivo porre chi lungamente si è battuto (psichiatri e legislatori) per tale abrogazione sullo stesso piano di tutti coloro che da Pinel in poi hanno voluto affrontare la malattia mentale con metodo medico e non poliziesco. L’alienato riacquista la sua dignità di paziente grazie all’art. 4, ma è con l’art. 11 che cessa di essere considerato un delinquente. E arriviamo, infine, alla terza mutazione che riguarda fondamentalmente l’identità professionale dello psichiatra e (parzialmente) i suoi luoghi di lavoro. Si tratta per quest’ultimo aspetto dei primi tre articoli che trattano della “Struttura interna dell’ospedale psichiatrico”, del “Personale dell’ospedale” e del “Personale dei centri di igiene mentale”. Con essi innanzitutto si ridimensiona una caratteristica dei vecchi manicomi: l’enorme disparità tra l’affol lamento di malati e la scarsità di sanitari, con l’introduzione del limite di 125 posti per ogni divisione a cui devono far capo almeno tre medici, una assistente sociale e 40 infermieri. Oltre all’assunzione di psichiatri, infermieri e assistenti sociali vengono inoltre stimolate le Amministrazioni Provinciali ad istituire Centri di igiene mentale con un loro Direttore e personale specializzato (psicologi e pedopsichiatri) e con ciò formalmente viene riconosciuta l’esigenza di una attività psichiatrica anche fuori del contesto ospedaliero, sia sul versante terapeutico, il malato psichiatrico non deve più stare necessariamente a letto e isolato socialmente, sia su quello preventivo (a cui allude il termine “igiene”) e riabilitativo. Per ciò che riguarda invece il primo aspetto non dimentichiamo che fino al 1968 gli psichiatri pubblici da 60 anni erano equiparati al ruolo di impiegati funzionari della Provincia (dipendevano dal Ministero dell’Interno e non della Sanità) e i loro emolumenti di gran lunga inferiori, fino ad un terzo, a quello dei loro colleghi degli altri ospedali. Con questa legge, nei suoi articoli di natura finanziaria e giuridica, viene raggiunta l’equiparazione del personale medico e ausiliario a quello degli ospedali generali con adeguamento del trattamento economico al personale ospedaliero2. In questo modo, tra l’altro, è possibile l’attuazione del tempo pieno in ospedale con vantaggi sia terapeutici per i pazienti che formativi per il personale. È veramente un mondo che cambia, che si risveglia da un letargo di sessant’anni e si rimette in cammino. Ma come si è arrivati a questa svolta? Agli inizi del 1968 in quel volgere di fine inverno si sta avviando a conclusione anche la quarta legislatura3 e con essa la speranza di vedere discussa in Parlamento la riforma organica della assistenza psichiatrica4 il cui disegno di legge è ormai arenato al Senato dove vi è giunto nel settembre precedente, quando ecco accadere due fatti ravvicinati: il 7 febbraio in Commissione igiene e sanità della Camera l’On. Marcella Balconi (PCI-PSIUP), di fronte all’impossibilità temporale di approvare la legge organica, propone di presentare almeno uno stralcio delle norme più urgenti e sulle quali ci sia convergenza di opinioni per avviare a soluzione il problema della precarietà e dell’insufficienza dell’assistenza psichiatrica. Il 9 febbraio viene definitivamente approvata la riforma ospedaliera e diventa Legge dello Stato quanto fortemente voluto da Mariotti con l’intento di «democratizzare, programmare e umanizzare gli ospedali»5; e intanto la proposta della legge stralcio al contrario si scontra con un forte ostruzionismo. A questo punto il 15 febbraio l’AMOPI, l’organizzazione che raccoglie il 95% degli psichiatri pubblici, scende in sciopero a tempo indeterminato in quanto «ritengono non più tollerabili: la persistenza dell’annotazione dei malati di mente nel Casellario giudiziario, paragonando così una particolare situazione morbosa ad una condanna per un comune reato. L’assistenza psichiatrica in Ospedale, dimostratasi per la maggior parte dei casi inadeguata alle esigenze sanitarie e sociali, per le ben note ristrettezze e insufficienza di mezzi disponibili per tali servizi. L’ingiusta, persistente e intollerabile sperequazione del trattamento economico dei Medici degli Ospedali Psichiatrici a confronto con quelli degli altri medici opedalieri». 6 Lo sciopero, a cui aderiranno più dell’85% degli psichiatri ospedalieri e che si interromperà solo il 20 febbraio, riuscirà nel suo intento di dare la spallata finale che consentirà, nonostante ulteriori ostruzionismi e ostacoli, di far finalmente licenziare dal Parlamento la legge stralcio n. 431 il 18 marzo 1968. Subito il ministro trionfante esprime tutto il suo compiacimento7 e ne ha ben donde, avendo inseguito questo obiettivo per oltre due anni e anzi avendo immediatamente mostrato fin dalla sua nomina a ministro (22 luglio ’64) le migliori intenzioni di smuovere la paludosa, immobile e mefitica situazione della assistenza psichiatrica pubblica. Ma il pur generoso e sincero interesse del socialista Mariotti, per una illuministica riforma dall’alto, non basterebbe da solo e, d’altra parte, a far volgere le sorti della ultima decisiva battaglia non è certo il telegramma che il Presidente della Società Italiana di Psichiatria, Prof. Mario Gozzano, invia il 17 febbraio 68 (durante lo sciopero) al Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Aldo Moro8, per perorare l’abrogazione del art. 604 cpp.
L’ASSOCIAZIONE
L’impegno politico culturale di Mariotti non avrebbe successo (anche se solo nella veste di una legge stralcio) se non avesse avuto molte volte al suo fianco e altrettante volte di fronte in strenua ma civile dialettica, una organizzazione sindacale che come lui, più di lui, ha da congratularsi con se stessa per la (ahimè parziale) vittoria. È l’AMOPI, sigla anonima che all’inizio (e vedremo poi perché solo all’inizio) indica l’Associazione Medici Ospedali Psichiatrici Italiani, l’organizzazio ne degli psichiatri pubblici che rivela una sua particolare compattezza, tenacia e concretezza, che si rivelano decisive. Compattezza: essa è capace di raggiungere e accogliere in sé più del 95% degli psichiatri impegnati nell’assistenza pubblica a tutti i livelli, come direttori, primari, aiuti e assistenti. Tenacia: essa è capace di organizzare in poco più di un anno a sostegno delle sue rivendicazioni ben quattro scioperi9 di cui due ad oltranza, a grande partecipazione e non indolori, data la “scarsa disponibilità” delle Autorità giudiziarie ad accettare tale forma di lotta da parte di medici, e pure psichiatri! Concretezza: le sue rivendicazioni non sono mai astratte, ideologiche, a partenza da una progettualità formulata da di fuori o calata dall’alto ma partono dal vissuto quotidiano duro, faticoso, negletto, in cui le amare considerazioni sulla propria situazione lavorativa non sono mai staccate da quelle speculari sulla situazione esistenziale dei propri pazienti, gli uni e gli altri messi a umiliante confronto con quella degli altri colleghi e degli altri degenti negli ospedali generali o specializzati. Il 5 dicembre 1959 a Napoli nel suo primo Congresso l’AMOPI si costituisce come associazione (Presidente Prof. Puca) che, come recita l’art. 1 dello Statuto, ha come scopo «inquadrare in una organizzazione professionale e sindacale tutti i sanitari dei pubblici Ospedali psichiatrici, nell’intento di tutelare efficacemente i loro interessi materiali e morali, individuali e collettivi, di promuovere il progresso edilizio, scientifico, curativo e tecnico degli Ospedali psichiatrici, e di interessarsi presso gli organi competenti di tutti i provvedimenti legislativi ed amministrativi che riguardano la categoria e gli Ospedali psichiatrici»10. Così dopo mezzo secolo di inerzia e passività gli psichiatri cominciano la loro “lunga marcia” nelle istituzioni che darà i suoi primi risultati nove anni dopo. L’inizio della 4° legislatura (28 aprile 1963) vede lasciarsi alle spalle vari tentativi rimasti incompiuti di riformare l’assistenza psichiatrica, p.es. il Disegno di legge ministeriale del 1961 e il Progetto di legge dell’Unione Province d’Italia del 1962, ma è proprio in quel 1963 che l’attività della associazione spicca il volo. Infatti, al terzo Congresso Nazionale (Napoli, 11 giugno 1963), dopo duro scontro elettorale, viene chiamato a guidare l’AMOPI un nuovo e combattivo consiglio direttivo che fa capo come Presidente al Prof. Ferdinando Barison, direttore O. P. di Padova e prestigiosa figura di studioso e ricercatore, e come Segretario al Prof. Mario Barucci, medico di sezione O. P. “V. Chiarugi” di Firenze11 presso cui si stabilisce l’ufficio di Presidenza e la Segreteria dell’Associazione e che è la instancabile mente organizzativa e unificante dell’AMOPI. Subito dopo, a settembre, vede la luce il primo numero dei “mitici” Bollettini AMOPI «che si augura di divenire la lucida coscienza che faccia dell’AMOPI un organismo vivente»12, e noi abbiamo ampiamente attinto a tale lucida coscienza per monitorare e apprezzare la vita di tale organismo. Preziose pubblicazioni per la conoscenza di molta parte della Storia della psichiatria italiana, andrebbero adeguatamente archiviate. Fin da subito si evidenzia agli iscritti (520 nel ’63 e 780 nel ’6513) quanto e come l’attività dell’AMOPI si caratterizzi per due aspetti, quello sindacale p. d. e quello culturale, che non rimangono mai disgiunti ma si intrecciano e si rafforzano l’un l’altro. È un sindacalismo di conio moderno quello che viene espresso a Firenze dal Dott. Gianfranco Zeloni14 e dal Prof. Barucci15 e a Padova dal Dott. Eliodoro Novello16, i medici più impegnati su questo piano. Scrive Zeloni nel 1963: «È da evitare una visione settoriale di sindacalismo ristretto al solo scopo di miglioramenti economici e delle condizioni di lavoro. [Siccome] in un O. P. tutto è connesso con la terapia: dalle mura, alle strutture organizzative interne, agli orari di lavoro dei medici e degli infermieri, [di conseguenza] la categoria medica deve avere funzione dirigente e costruttiva nella soluzione dei problemi dell’O. P. una presenza attiva nella gestione aziendale». «Nell’azienda l’elemento umano è solo il lavoratore ed è giusto che venga considerato il fattore più importante, nell’ospedale invece esiste il malato, elemento umano non lavoratore altrettanto importante e del quale bisogna tenere presenti necessità e diritti da accordare con le necessità e i diritti dei medici e degli infermieri. Il sindacalismo medico è anche difesa delle necessità dei malati: difesa contro errori delle amministrazioni, difesa contro leggi dello stato inadatte alla soluzione dei problemi di tecnica psichiatrica. Il sindacato moderno: una forma attuale di impegno sociale». 17 Ribadisce Barucci nel 1964 e 1965: «Dobbiamo soprattutto sentirci i sindacalisti dei nostri malati», 18 «Un primo aspetto sindacale del problema è l’organizzazione unitaria dei servizi, studiarne la realizzazione è nostro dovere sindacale. Ed anche prepararci con pazienza e umiltà ai nuovi compiti, migliorando le nostre capacità superando certe resistenze, uscendo da certi comodi rifugi mentali, riformando noi stessi prima ancora delle nostre istituzioni». 19 Ratifica nel 1967 Novello, l’unico psichiatra (insieme a L. Giamattei) il cui nome è sempre presente nei vari Consigli direttivi che contrassegnano l’arco esistenziale dell’AMOPI: «Non vogliamo un sindacalismo della dignità offesa, o dei privilegi da conservare ad ogni costo, o corporativo che ci faccia arroccare nella narcisistica contemplazione della nostra bravura e della nostra superiorità tecnica, o rigido, incapace di modificare i propri schemi, di variare i propri obiettivi, o disarmato, che non sappia o non voglia ricorrere ai metodi comuni della lotta sindacale ».
LA PSICHIATRIA DI SETTORE
Il tema della politica sanitaria è il nodo dove avviene l’intreccio tra aspetti sindacali p. d.( le pensioni, il tempo pieno ecc.) e aspetti culturali psichiatrici, essa si esprime nella proposizione piena e convinta di una ben precisa opzione tecnica: la psichiatria di settore. Un tipo di assistenza psichiatrica organizzata secondo i concetti dell’OMS che già vantava realizzazioni in Francia, Olanda e Inghilterra. Vengono perciò presentati in Italia autorevoli esperti stranieri: H. Duchenne di Parigi, D. Buckle dell’OMS, H. Vermorel e R. Lambert della Savoia francese, e P. Bailly-Salin, sia con interventi sul Bollettino sia invitati al grande «Convegno sulle realizzazioni e prospettive in tema di organizzazione unitaria dei servizi psichiatrici» organizzato dalla Amministrazione Provinciale di Varese d’intesa con l’AMOPI il 20-21 marzo 1965 e dedicato esplicitamente al “settore”. In questo Convegno20 numerose voci parlano a favore di questa opzione a cui fanno capo le esperienze di Bologna, Como, Firenze, Gorizia, Milano, Pesaro, Ravenna, Trento, Varese. Tra i “settorialisti” ricordiamo il Prof. Edoardo Balduzzi di Varese, il Dott. C. Coen Giordana di Genova, il Dott. Edelweiss Cotti di Bologna, il Dott. Franco Mori di Firenze e tanti altri che rappresentano la linea vincente, nonostante la fiera opposizione di pochi “antisettorialisti” come il Prof. Diego De Caro di Torino, capofila dei più “anziani” direttori come A. M. Fiamberti21 di Varese, M. Benvenuti di Arezzo, G. Padovani di Genova, Failla di Nocera Inf., A. Muratorio di Pisa, in genere di orientamento neurobiologico. Per illustrare “il settore” ci sembra doveroso lasciare la parola al presidente dell’AMOPI il Prof. Barison, l’aristocratico rappresentante della psichiatria colta, che fin dal 1963 propugna l’interesse dell’associazione per: «L’assistenza territoriale, cioè la tendenza moderna della psichiatria ad adattare l’assistenza a naturali ripartizioni topologiche della popolazione in modo che ad ogni settore di popolazione corrispondano specifici organismi psichiatrici che assicurino una assistenza unitaria e continua in tutti i servizi, da quelli profilattici ai ricoveri». 22 Quindi il principio basilare è: unità e indivisibilità della prevenzione, cura ospedaliera e post-ospedaliera, e riabilitazione da parte di una medesima equipe multiprofessionale di curanti. Questo aprirsi al territorio comporterà nel 1966, nonostante forti tensioni interne, cambiamenti anche formali sia nella denominazione dell’associazione, sia nello Statuto. La stessa sigla AMOPI va a significare ora Associazione Medici Organizzazioni Psichiatriche Italiane, laddove la lettera O non indica più Ospedali, e così pure, per es. nel art. 1 dello Statuto; non si parla più solo di “sanitari dei pubblici Ospedali Psichiatrici” ma anche “dei servizi di assistenza psichiatrica ad essi collegati” con l’intento esplicito di rappresentare “l’intero settore dell’assistenza psichiatrica. ”23
IL MINISTRO
L’AMOPI è insomma una giovane associazione che muovi i primi passi alla ricerca di una identità quand’ecco il 22 luglio 1964 diventa ministro della Sanità, alla sua prima legislatura, il Sen. Mariotti, 52 anni fiorentino, dottore in economia e socialista, con cui inizia un rapporto vivacissimo e passionale fatto di avvicinamenti entusiastici e allontanamenti deludenti che durerà quattro lunghi anni. Per capire il clima politico culturale del momento rammentiamo che la quarta legislatura è iniziata da pochi mesi allorché Aldo Moro costituisce nel dicembre 1963 il primo governo organico di centro-sinistra con Pietro Nenni vicepresidente. I governi di centro- sinistra sono caratterizzati da programmi di rinnovamento sociale e politico e dalla intenzione di incidere sulle strutture burocratiche, economiche e sociali per renderle più rispondenti alle esigenze delle masse lavoratrici. Il 22 luglio 1964 decolla il secondo governo Moro e con esso la carriera politica e parlamentare di Luigi Mariotti ed il suo feeling per il Ministero della Sanità, di cui sarà il titolare per ben quattro governi (Moro II e III, Rumor III e Colombo I). Egli sarà anche Ministro dei Trasporti e infine vicepresidente della Camera dei Deputati (presieduta da P. Ingrao) fino al 197924. Il combattivo Mariotti è socialista e crede nelle riforme, i suoi obiettivi sono il sistema ospedaliero e l’as sistenza psichiatrica, si mette subito al lavoro e a ottobre insedia la nuova Commissione incaricata di redigere un progetto per la riforma della legislazione psichiatrica, ne fanno parte tra gli altri il Prof. Gozzano presidente SIP, il Prof. De Sanctis presidente Lega Igiene mentale, Prof. Barison presidente AMOPI, il Prof. Callieri per l’Università e il Prof. Martinotti dell’O. P. di Roma. Il punto alto della luna di miele con l’AMOPI è la sua partecipazione l’anno dopo al quarto Congresso Nazionale dell’AMOPI (Arezzo 2 luglio 1965) dove peraltro il suo lungo, convinto e ben documentato intervento25 già rivela in nuce i problemi che di lì a poco si manifesteranno. Egli infatti non è affatto un ministro assente e disinteressato, né compiacente e passivo di fronte ai “tecnici” di cui farebbe a meno se potesse (non ebbe gran seguito la Commissione...), egli ha una sua ben precisa concezione della società, dei rapporti sociali (e quindi della psichiatria) e infine del suo ruolo istituzionale. Attento ai temi, oltre che della cura, della prevenzione e della riabilitazione, ai «rapporti tra individuo società e stato, tre aspetti inscindibili, con l’uomo libero che diventa misura di tutti i valori, e non il denaro», egli non lascia indifferente l’uditorio quando afferma che «una società come la troviamo nella legge del 1904 isola una parte della società, perché la ritiene pericolosa per la società globale, sopprime la possibilità all’individuo di essere restituito alla vita e quindi ne distrugge la libertà individuale e i principi animatori della società stessa; mentre se l’uomo è libero ci si può invece opporre a certe alternative politiche su cui molto spesso confluiscono il malcontento e l’inquietudine di precarie esistenze e che politicamente possono avere uno sbocco che pregiudica la libertà dell’uomo». Nessun ministro della Sanità si era mai espresso in tal modo e con tale convinzione ad un convegno di psichiatri pubblici. 26 Ma poi non liberandosi del tutto dall’idea che «il casellario giudiziario non possa non essere sostituito da un qualche cosa che registri un po’ questi tipi di malati che talvolta possono essere anche pericolosi» finisce per attirarsi vibrate «proteste nell’uditorio» laddove tocca un punto cruciale: il rapporto medico-paziente al fine di sottrarre il controllo del malato all’arbitrio del medico curante («se domani il controllo di questi malati fosse riservato esclusivamente al medico vuol dire essere soggetto al controllo dello stesso medico vita natural durante, e i medici potrebbero strumentalizzarlo a fini privati, in quanto essendo uomo egli ha una parte sublime capace di conquiste, sacrifici e solidarietà, ma c’è anche una parte istintiva che può portare a compiere cose distruttive verso il malato». Partendo da queste premesse antropologiche è logico che, nonostante tutte le migliori intenzioni, la necessità del controllo uscita dalla porta rientra dalla finestra, costringendo perciò il Ministro a proporre una sorta di “anagrafe psichiatrica” gestita dal medico provinciale, per le certificazioni a tutela dello Stato (per i concorsi pubblici) e del cittadino (nei confonti del suo curante), inutile dire che su ciò l’attrito con l’AMOPI è vistoso.
LO SCONTRO
Tale attrito si accentua quando tra luglio e dicembre arrivano all’AMOPI varie bordate da parte del Ministro, la prima è la conoscenza dello schema di disegno di legge27 da lui presentato al Consiglio dei Ministri. Esso, malgrado contenga l’abrogazione della Legge 36/1904 e l’art. 604, n 2 del c. p.p., manda grandemente disattese le aspettative degli psichiatri che immediatamente rispondono punto su punto, specialmente, ma non solo, per l’istituzione della “anagrafe psichiatrica” per coloro che siano «affetti da disturbi psichici accertati, pregiudizievoli per l’ammalato e la società, compresi nell’elenco che sarà inserito ». La seconda bordata ha però un effetto ancora maggiore. Il Corriere della Sera del 20 settembre 1965 pubblica un articolo dove si leggeva «Il ministro della sanità, sen Luigi Mariotti, intervenuto ieri mattina al cinema Odeon alla cerimonia indetta dall’AVIS (…) ha ricordato la dolorosa situazione dei degenti in molti ospedali psichiatrici, dove il medico fa una rapida comparsa al mattino e poi sparisce per l’intera giornata, così che quegli ospedali assomigliano piuttosto a “Lager di sterminio o a bolge dantesche”». Questo articolo dà inizio ad una vivace “polemica”. Seguono delle interpellanze parlamentari e inchieste televisive28, fioccano le proteste da parte dell’AMOPI, della SIP, della FNOOM, da assessori provinciali e da singoli psichiatri, segnaliamo in particolare il comunicato stampa del Consiglio direttivo dell’AMOPI che termina con questa affermazione: «La vecchia legge sui “manicomi e gli alienati” deve essere riformata non per evitare le carenze igieniche di un dato ospedale o gli ipotizzati sequestri di persona: per garantirci da questi e da quelle sono sufficienti le disposizioni della Legge vigente e del Codice Penale. La legge va riformata invece perché tutta l’Assistenza psichiatrica deve essere organizzata su basi e concetti diversi ispirati alla mutata realtà sociale ed alla evoluzione delle tecniche terapeutiche (…) ». Si alternano lettere aperte di protesta e risposte concilianti del Ministro, che nella sostanza non ritratta ma anzi ribadisce le sue gravi affermazioni «E non mi si accusi di voler “generalizzare” in quanto il verificarsi di gravissimi episodi dimostra che non si tratta di casi isolati, bensì di crisi del sistema ». La polemica divenne aspra a dicembre con la pubblicazione da parte del Ministero della Sanità di un “Libro bianco sulla riforma ospedaliera” redatto dai giornalisti G. Giannelli e V. Raponi, che denunciando e stigmatizzando in generale il mondo ospedaliero non manca di mostrare il lato oscuro e vergognoso della gestione manicomiale, risultato di molteplici fattori amministrativi, politici e culturali. All’epoca molto fu scritto e l’AMOPI irritata difese la categoria per ragioni d’ufficio e rispose con un “contro-libro bianco”29 che contiene «considerazioni e documenti dell’AMOPI per un più esatto e completo “Libro bianco sulla riforma ospedaliera”», tuttavia Mariotti aveva le sue ragioni. Si assiste in definitiva ad un ben vivace “gioco delle parti” tra il Ministro e l’AMOPI fatto di botte (uso di materiale sensazionale e scandalistico da un lato) e risposte (difese della categoria e proposte di riforma generale dall’altro), il cui bersaglio immediato è smuovere la sensibilità dell’opinione pubblica ma lo scopo finale è stimolare la “pigrizia” dei legislatori. Il 15 marzo 1966 il Sen. Mariotti viene riconfermato ministro della Sanità nel nuovo governo Moro (il terzo).
EPILOGO
È il 1967, il tempo stringe essendo nel penultimo anno di legislatura e occorrono forze nuove per uno scontro finale che si prospetta arduo, e così nel suo quinto Congresso Nazionale30 (Perugia, 3 giugno 1967) l’AMOPI si dà un nuovo Presidente e al posto di Barison “sindacalista tranquillo” subentra alla testa dei circa 900 medici dell’associazione il Prof. Barucci mentre diventa Segretario il Dott. Zeloni; entrambi di Firenze ben contribuiscono con il noto spirito “polemico” toscano al momento fortemente dialettico. Infatti il tema sindacale di fondo di questo interessante Congresso è il dibattito tormentato sullo strumento dello sciopero e il suo uso nello specifico, visto che i ben tre scioperi degli ultimi sei mesi non hanno sortito effetto. A questo riguardo significativo è l’intervento dell’On. Prof. ssa Marcella Balconi31, che accennando alla possibilità di una “piccola riforma” se non si potesse giungere ad una riforma radicale, induce tra gli astanti la cognizione del forte pericolo che passi anche questa legislatura senza riforma psichiatrica. Di passaggio, non possiamo fare a meno di segnalare questo interessante Congresso per alcune altre note intellettualmente stimolanti per un lettore di oggi. Il Prof. Balduzzi e il Dott. L. Massignan di Udine demistificano l’uso degli psicofarmaci a 15 anni dalla loro introduzione e denunciano l’equivoco che il loro boom abbia trasformato la psichiatria, essi anzi hanno contribuito a «un gravissimo tradimento della psichiatria rendendo il rapporto col malato superficiale». Non lontano dal tema suddetto il Prof. Barucci e il Prof. Barison propongono e perorano la scissione delle cattedre di neurologia e psichiatria, che «sono due cose diverse» e che si effettuerà solo nel 1976. Infine a questo convegno fa la sua apparizione con apprezzati interventi il Prof. Orsini di Genova che 11 anni dopo rivestirà un ruolo determinante nel portare a compimento la riforma psichiatrica con la 180/1978. Il 20 settembre 1967 viene presentato il Disegno di legge del Ministro e con ciò questa storia si avvia verso l’ultima fase già raccontata all’inizio di questo lavoro, a cui rimandiamo.
“COL SENNO DI POI…”
Nelle attuali rievocazioni del 1968 e dei suoi multiformi riflessi sulla società legale e civile si sente spesso l’affermazione che, diversamente da altri Paesi (Francia, USA), dove il movimento fu una fiammata per quanto intensa, in Italia durò più a lungo con esiti e ricadute di varia natura e valore, e che lo spartiacque successivo fu il 1978 e il delitto Moro. Pensiamo che non sia troppo azzardato estendere alla psichiatria quanto sopra. Ci chiediamo: perché il 1968 psichiatrico fu solo una tappa e dovette aspettare il 1978 per trovare il suo naturale compimento? Non è questa la sede per esplorare tale percorso e le sue eventuali alternative inesplorate o le ragioni di quel “particolare” compimento. Certo però possiamo concludere con certezza su quelle che furono le lacune e inadempienze (soprattutto legislative) della 431/1968 e che avviarono la necessità storica della 180/1978. La “grande riforma” presentata dal Consiglio dei Ministri nel disegno di legge 2422 del 20 settembre 67 finiva con l’articolo 59 “Abrogazione” che così recitava «La legge 14 febbraio 1904 n. 36 è abrogata (…). È altresì abrogato l’articolo 604 n. 2 del codice di procedura penale (…) »; purtroppo questa “grande riforma” non arrivò mai in aula. Chissà, se fosse stata approvata… La necessità di proporre in fretta e furia un disegno di legge stralcio (n. 4939) che fosse convertibile in legge costrinse tutti coloro che avevano a cuore l’assistenza psichiatrica ad accontentarsi di una “piccola riforma” che pur abrogando il fascista art. 604 n. 2 cpp, manteneva ancora vigente la giolittiana 36/1904. In questo modo la legge stralcio andava ad aggiungersi alla precedente, migliorando di gran lunga la situazione di quei pazienti che volevano curarsi in ospedale, per i quali era stato formulato l’art. 4 (vedi sopra il cap. “La legge”) e che trovarono finalmente una risposta adeguata nel servizio pubblico permettendo agli psichiatri di essere medici e curare, ma non incise né modificò sostanzialmente quella degli altri. Chi erano gli altri? Erano quei malati che (dopo il regolare mese di osservazione) non volevano curarsi e che appartenevano fondamentalmente a due categorie: o quelli che, provenendo dai ricoveri coatti, erano ancora pericolosi a sé e agli altri o quei «mentecatti cronici tranquilli, epilettici innocui, cretini, idioti ed, in generale, individui colpiti da infermità mentale inguaribile, non pericolosi a sé e agli altri »32. Il destino di entrambe queste due categorie era il ricovero definitivo e di essi continuarono ad occuparsi gli psichiatri, nella funzione (non terapeutica) di custodia dei primi e di assistenza dei secondi, e per essi rimase vigente la legge del 1904, perché la legge stralcio apriva (finalmente) l’Ospedale psichiatrico ma non chiudeva ancora il Manicomio. E per essi continuò il movimento riformatore degli psichiatri (in cui ritroveremo alcuni dei protagonisti33 di questo 1968) che infatti ebbe come cavalli di battaglia i due temi rispettivamente della pericolosità (su cui si articola il dilemma coercizione/libertà) e della emarginazione (con l’alternativa abbandono/ riabilitazio ne). Ma, come si dice, questa è un’altra storia che ci accingiamo a raccontare. Desideriamo vivamente ringraziare coloro le cui preziose testimonianze, generosamente condivise con noi, hanno reso possibile questa ricerca storica: il Prof. Gianfranco Zeloni, il Prof. Bruno Orsini, il Prof. Giuseppe Francesconi.
1 Ovviamente i medici di fronte al manifestarsi di situazioni di pericolo potevano sempre ricorrere al ricovero coatto.
2 Anche se bisognerà aspettare la legge 515/1971 per regolare lo stipendio con una indennità non pensionabile e in pratica solo nel 1977 si raggiungerà l’equiparazione.
3 Essa si concluderà il 4-6-1968.
4 A cui fanno riferimento due progetti di legge (l’803 del On. De Maria D.C. presentato il 5-12-1963 e il 2185 della On. Marcella Balconi P.C.I.-P.S.I.U.P. presentato il 13-3-1965) e il disegno di legge n. 2422 presentato il 20-9-1967 al Senato dal ministro Sen. Luigi Mariotti P.S.I.
5 cfr Bollettino AMOPI, anno IV n. 5 settembre 1966,p. 321.
6 cfr Bollettino AMOPI, anno VI n. 3, maggio 1968, pag 57.
7 Cfr. Bollettino AMOPI anno VI n. 3, maggio 1968, pag 81.
8 Cfr. Bollettino AMOPI anno VI n. 3, maggio 1968, pag 64-65.
9 Il 15 e 16 dicembre 1966, il 16-18 marzo 1967, 18-26 aprile 1967 e il 15-20 febbraio 1968, quest’ultimi due ad oltranza.
10 Art. 1 dello Statuto, in Bollettino AMOPI anno I, n.1 settembre 1963, frontespizio.
11 Altri componenti del Consiglio sono G. Padovani Dir. O. P. Genova, E. Failla Dir. O. P. di Nocera Inferiore, M. Benvenuti Dir. O. NP. di Arezzo, C. Coen-Giordana Prim. O. P. di Genova, E. Cotti Prim. O. P. di Bologna. B. Buffa Prim. O. NP. di Vercelli, L. Giamattei Assist. O. P. di Napoli, E. Novello Assist. O.P. di Padova, G. Zeloni Assist. O. P. di Firenze.
12 Cfr. Bollettino AMOPI anno I, n.1 settembre 1963, Presentazione p. 1.
13 Nel 1963, cfr. Bollettino AMOPI anno I, n.1 settembre 1963, p. 23. cfr. Bollettino AMOPI anno III n. 5, settembre 1965, p. 214.
14 Cfr. Bollettino AMOPI anno III n. 5, settembre 1965, p. 243. Cfr. Bollettino AMOPI, anno V n. 5 settembre 1967, p.194.
15 Cfr. Bollettino AMOPI anno III n. 5, settembre 1965, p. 213.
16 cfr Bollettino AMOPI, anno V n. 5 settembre 1967, p.205, p. 227.
17 Cfr. Bollettino AMOPI anno I, n.2 novembre 1963, p. 63.
18 Cfr. Bollettino AMOPI anno II n. 4, luglio 1964, p. 151.
19 M. Barucci Sintesi critica nei riflessi legislativi e sindacali in Atti del Convegno sulle realizzazioni e prospettive in tema di organizzazione unitaria dei servizi psichiatrici. Varese, 20-21 marzo 1965, p. 230.
20 Cfr. Atti del Convegno sulle realizzazioni e prospettive in tema di organizzazione unitaria dei servizi psichiatrici. Varese,
20-21 marzo 1965
21 Autore della “leucotomia transorbitaria di Fiamberti” e di una cura della schizofrenia con la acetilcolina.
22 Cfr. Bollettino AMOPI anno I, n.1 settembre 1963, p. 22. Per una completa e dettagliata disamina Cfr. dott. Franco Mori
(O.P. Firenze) in Bollettino AMOPI anno II, n.2 novembre 1963, p.65.
23 Cfr. Bollettino AMOPI anno IV, n. 3 maggio 1966, p. 101.
24 Luigi Mariotti, a partire dalla persecuzione politica durante il fascismo diventa uno dei grandi protagonisti della vicenda politica e culturale di Firenze e della Toscana nel secondo dopoguerra. Decorato al merito della Sanità pubblica nel corso dei
festeggiamenti per il suo novantesimo compleanno, morirà il 24 dicembre 2004.
25 Discorso del Sig. Ministro della Sanità, Sen. Luigi Mariotti al Congresso Nazionale AMOPI, cfr. Bollettino AMOPI anno III n. 5 settembre 1965, p.189-197.
26 A precedenti congressi erano intervenuti due ministri della sanità: Sen. Monaldi (1959) e Sen. Jervolino (1962).
27 Cfr. Bollettino AMOPI anno III n. 5, settembre 1965, p. 249.
28 Cfr. Bollettino AMOPI anno IV n. 1 p. 48. Cfr. Bollettino AMOPI anno IV n. 3 p. 217.
29 E. Balduzzi, M. Barucci, G. Zeloni (a cura di) Urgenza di una legge per la sanità mentale. Tecniche e costume del rinnovamento psichiatrico. Suppl. Bollettino AMOPI IV n. 2, marzo 1966.
30 Cfr. Bollettino AMOPI anno V n. 4 e 5
31 Prima firmataria del progetto di legge 2185 del 13 marzo 1965.
32 Per quest’ultimi si risolse in gran parte l’aspetto formale con la trasformazione del ricovero coatto in volontario ma non quello sostanziale della loro collocazione.
33 10 anni dopo ritroveremo ancora l’AMOPI nella veste di Novello, Renzoni, Zeloni, Giamattei, Erba, Francesconi, Pagano e, in altro ruolo, Orsini.
Periodico di attualità psichiatrica diretto da Pier Luigi Scapicchio
Novello nel segno di García Márquez: vivere per raccontarla
1968. Un’associazione, un ministro, una legge
Eliodoro Novello, Giovanni Del Missier, Claudia Dario
Padova, Roma
La storia di questi trent’anni della 180 è anche la storia delle sue celebrazioni. Cominciammo dopo due anni, al Congresso Nazionale SIP di Catania, organizzato in modo magnifico da Uccio Rapisarda e dal suo giovanissimo braccio destro Eugenio Aguglia. Nella splendida cornice del Teatro Bellini, duemila persone tra psichiatri ed accompagnatrici in abito da sera (perché dopo ci si trasferiva per la cena al Castello Ursino, illuminato da centinaia di fiaccole) ascoltarono per la prima volta un’apertura congressuale “non scientifica”. Niente clinica, si esaminavano i primi dati dell’applicazione della legge. Ed io, che avevo l’onere dell’apertura, mi lanciai in arditi riferimenti a Thomas Kuhn per sostenere che quella sera stavamo ugualmente facendo scienza, anche se non parlavamo di ricerca e di malattie. Immaginate la mia sorpresa nel leggere, vent’anni dopo, la stessa argomentazione nello scritto di Michele Schiavone riportato in queste pagine. La seconda celebrazione fu quella per il decennale. Tre grandi convegni per le tre fasce geografiche del Paese a Gardone, Trevi e Palermo. Entrarono nella SIP, quell’anno, moltissimi e prestigiosi colleghi collocati sulle posizioni di Psichiatria Democratica, ai quali non venne negata la doppia appartenenza. Fu un momento storico per noi: si riconosceva finalmente, aldilà degli schematismi ideologici, che tutta la psichiatria italiana stava con la 180 e non remava contro. I trent’anni, è storia di oggi, sono stati ricordati con una conferenza stampa in maggio a Milano. Il programma della celebrazione era stato pensato per rendere edotti i giornalisti partecipanti che la SIP ha smesso di guardare alla storia e guarda invece al futuro, alla psichiatria che sarà. Mi sembra, dopo trent’anni, un atto di intelligenza culturale, che personalmente mi sento di condividere. Psichiatri Oggi dedica questo terzo numero del 2008 alla 180, seguendo un percorso essenzialmente culturale. Ma c’è ancora un pezzo di storia che nessuno ha fino ad oggi raccontato in modo organico, e che vede la luce anche grazie alle nostre ripetute sollecitazioni: quello che riguarda l’azione dell’AMOPI (l’Associazione Medici Ospedali Psichiatrici Italiani) dalla metà degli anni sessanta fino al settantotto. L’AMOPI era un sindacato di categoria, indispensabile in quanto i medici manicomiali avevano uno status giuridico diversissimo dagli altri medici ospedalieri (nonché gli stipendi, inferiori del 50%!) e dipendevano, unici e soli, dalle Province. Ma in realtà essa si trasformò quasi subito in un formidabile propulsore culturale, che contribuì in modo determinante al raggiungimento della 180. Questo articolo riproduce, come anticipazione editoriale, un capitolo di un volume sulla stagione delle riforme psichiatriche, ossia sulla storia della psichiatria italiana dalla legge Mariotti alla 180, che vedrà la luce alla fine di quest’anno. Ringraziamo, non solo per l’autorizzazione a pubblicarlo ma soprattutto per l’impegno e la passione profusi nella certosina analisi delle fonti, i curatori del volume Mario Paolo Dario, Giovanni Del Missier, Andrea Piazzi, Ester Stocco e Luana Testa. L’articolo ha come primo nome quello di Eliodoro Novello, psichiatra padovano che fu una delle colonne portanti dell’AMOPI e che ricordo, infaticabile tra Padova e Roma, nei mesi di stesura della 180. A lui invio un saluto particolare ed un ringraziamento affettuoso per tutto ciò che ha realizzato nella sua vita professionale. Se oggi non esistono più i manicomi e se è stata sconfitta la logica che li sosteneva, è merito anche suo e di quel manipolo di intellettuali che creò e sviluppò l’AMOPI. (PLS)
Nella fiera degli anniversari della storia della psichiatria, che in questo 2008 hanno occasione di venire alla ribalta, trova posto il 1978 e la legge 180 che fu promulgata in quell’anno, ma la memoria a lungo termine della psichiatria sembra arrestarsi lì, incapace di retrocedere di altri 10 anni e raggiungere il 1968, non per gli ovvi tributi alla “contestazione giovanile” ma per rendere omaggio ad una legge che il Parlamento approvò il 18 marzo di quell’anno, che fu detta legge Mariotti ma che avrebbe benissimo meritato l’appellativo di legge AMOPI. Di fronte ai nomi Mariotti o AMOPI nei colleghi più giovani, che ignorino questa fondamentale tappa legislativa che tanto ha inciso sulla assistenza psichiatrica pubblica, risuona il quesito manzoniano “chi eran costoro? ”. È di questo tratto importante della nostra storia che vogliamo raccontare: della legge 431/68, e di coloro che più la vollero: Mariotti e l’AMOPI.
LA LEGGE
Iniziamo proprio dalla legge chiamata «Provvidenze per l’assistenza psichiatrica », che viene ratificata dal presidente della Repubblica Saragat, presentata dal Presidente del Consiglio Aldo Moro ma voluta dal ministro della Sanità il sen. Mariotti. Essa, con i suoi 12 articoli, provoca tre grandi mutamenti nel modo di percepire la assistenza psichiatrica pubblica e il ruolo dello psichiatra. Il primo mutamento è conseguenza dell’art. 4 «Ammissione volontaria e dimissioni» che permette al malato che chieda di ricoverarsi volontariamente, con la sola accettazione del medico di guardia, di evitare la segnalazione di tale ricovero al Procuratore, precedentemente obbligatoria per il Direttore come prescritto dall’art. 53, che dal 1909 regolamentava i ricoveri volontari e che la vigente legge 14-2- 1904 «Disposizioni sui manicomi e sugli alienati» risalente a Giolitti non prendeva neanche in considerazione. Ma, cosa ancora più innovativa, ciò che mutava completamente lo status del ricoverato volontario non era tanto la possibilità di ricoverarsi di sua sponte, che abbiamo visto preesisteva, quanto -incredibile! - la facoltà di chiedere di essere dimesso su sua volontà, eventualmente anche contro il parere dei sanitari come qualunque altro paziente di un qualunque altro ospedale generale1. Ciò acquista pregnanza enorme se si pensa che fino ad allora i ricoveri volontari, per l’art. 53, entravano nello stesso iter giuridico-amministrativo dei ricoveri coatti, ovvero, alla scadenza del mese di osservazione provvisoria, doveva, a seconda della pericolosità, o esser dimesso o automaticamente venir internato in via definitiva. Evidenziamo qui una importante conseguenza della precedente impostazione: per la legge 36/1904 coloro che ricadevano nel “dovere” di esser ricoverati, cioè i “pericolosi e scandalosi”, erano in conclusione i soli ad avere il “diritto” di un ricovero gratuito, per tutti gli altri malati mentali nessuna assistenza pubblica. Solo col Regolamento del 1909 viene ammessa (con l’art. 6, 49 e 50) una unica eccezione: il ricovero in reparti o istituti speciali per quei «mentecatti cronici tranquilli, epilettici innocui, cretini, idioti ed, in generale, individui colpiti da infermità mentale inguaribile, non pericolosi a sé e agli altri » che non siano affidabili a nessuno all’esterno. L’art. 4 ha quindi un enorme valore non solo pratico ma anche simbolico: è con esso che il manicomio diventa - anche nominalmente - l’ospedale psichiatrico aperto a tutti e l’alienato diventa un paziente. La psichiatria inizia a (ri) entrare nella medicina. Il secondo mutamento è poi di straordinario impatto, responsabile ne è l’art. 11 «Abrogazione». Era accaduto infatti nel 1930, con la promulgazione del codice Rocco, che il legislatore fascista riuscisse addirittura a peggiorare l’impianto custodialistico e repressivo della 36/1904 introducendo nel codice di procedura penale l’art. 604 n 2, che così recitava «Nel casellario giudiziale si iscrivono (…) i provvedimenti con i quali il giudice ha ordinato il ricovero delle persone in manicomio e la revoca di tale provvedimento». Se già con il 1904 lo psichiatra era diventato custode e carceriere dei malati, ora nel 1930 sono quest’ultimi ad acquisire lo status di delinquenti, e il cerchio si chiude. Ebbene, l’art. 11 mette fine a questa infamia abrogando il passaggio incriminato dell’art. 604 c. p.p. Crediamo non sia eccessivo porre chi lungamente si è battuto (psichiatri e legislatori) per tale abrogazione sullo stesso piano di tutti coloro che da Pinel in poi hanno voluto affrontare la malattia mentale con metodo medico e non poliziesco. L’alienato riacquista la sua dignità di paziente grazie all’art. 4, ma è con l’art. 11 che cessa di essere considerato un delinquente. E arriviamo, infine, alla terza mutazione che riguarda fondamentalmente l’identità professionale dello psichiatra e (parzialmente) i suoi luoghi di lavoro. Si tratta per quest’ultimo aspetto dei primi tre articoli che trattano della “Struttura interna dell’ospedale psichiatrico”, del “Personale dell’ospedale” e del “Personale dei centri di igiene mentale”. Con essi innanzitutto si ridimensiona una caratteristica dei vecchi manicomi: l’enorme disparità tra l’affol lamento di malati e la scarsità di sanitari, con l’introduzione del limite di 125 posti per ogni divisione a cui devono far capo almeno tre medici, una assistente sociale e 40 infermieri. Oltre all’assunzione di psichiatri, infermieri e assistenti sociali vengono inoltre stimolate le Amministrazioni Provinciali ad istituire Centri di igiene mentale con un loro Direttore e personale specializzato (psicologi e pedopsichiatri) e con ciò formalmente viene riconosciuta l’esigenza di una attività psichiatrica anche fuori del contesto ospedaliero, sia sul versante terapeutico, il malato psichiatrico non deve più stare necessariamente a letto e isolato socialmente, sia su quello preventivo (a cui allude il termine “igiene”) e riabilitativo. Per ciò che riguarda invece il primo aspetto non dimentichiamo che fino al 1968 gli psichiatri pubblici da 60 anni erano equiparati al ruolo di impiegati funzionari della Provincia (dipendevano dal Ministero dell’Interno e non della Sanità) e i loro emolumenti di gran lunga inferiori, fino ad un terzo, a quello dei loro colleghi degli altri ospedali. Con questa legge, nei suoi articoli di natura finanziaria e giuridica, viene raggiunta l’equiparazione del personale medico e ausiliario a quello degli ospedali generali con adeguamento del trattamento economico al personale ospedaliero2. In questo modo, tra l’altro, è possibile l’attuazione del tempo pieno in ospedale con vantaggi sia terapeutici per i pazienti che formativi per il personale. È veramente un mondo che cambia, che si risveglia da un letargo di sessant’anni e si rimette in cammino. Ma come si è arrivati a questa svolta? Agli inizi del 1968 in quel volgere di fine inverno si sta avviando a conclusione anche la quarta legislatura3 e con essa la speranza di vedere discussa in Parlamento la riforma organica della assistenza psichiatrica4 il cui disegno di legge è ormai arenato al Senato dove vi è giunto nel settembre precedente, quando ecco accadere due fatti ravvicinati: il 7 febbraio in Commissione igiene e sanità della Camera l’On. Marcella Balconi (PCI-PSIUP), di fronte all’impossibilità temporale di approvare la legge organica, propone di presentare almeno uno stralcio delle norme più urgenti e sulle quali ci sia convergenza di opinioni per avviare a soluzione il problema della precarietà e dell’insufficienza dell’assistenza psichiatrica. Il 9 febbraio viene definitivamente approvata la riforma ospedaliera e diventa Legge dello Stato quanto fortemente voluto da Mariotti con l’intento di «democratizzare, programmare e umanizzare gli ospedali»5; e intanto la proposta della legge stralcio al contrario si scontra con un forte ostruzionismo. A questo punto il 15 febbraio l’AMOPI, l’organizzazione che raccoglie il 95% degli psichiatri pubblici, scende in sciopero a tempo indeterminato in quanto «ritengono non più tollerabili: la persistenza dell’annotazione dei malati di mente nel Casellario giudiziario, paragonando così una particolare situazione morbosa ad una condanna per un comune reato. L’assistenza psichiatrica in Ospedale, dimostratasi per la maggior parte dei casi inadeguata alle esigenze sanitarie e sociali, per le ben note ristrettezze e insufficienza di mezzi disponibili per tali servizi. L’ingiusta, persistente e intollerabile sperequazione del trattamento economico dei Medici degli Ospedali Psichiatrici a confronto con quelli degli altri medici opedalieri». 6 Lo sciopero, a cui aderiranno più dell’85% degli psichiatri ospedalieri e che si interromperà solo il 20 febbraio, riuscirà nel suo intento di dare la spallata finale che consentirà, nonostante ulteriori ostruzionismi e ostacoli, di far finalmente licenziare dal Parlamento la legge stralcio n. 431 il 18 marzo 1968. Subito il ministro trionfante esprime tutto il suo compiacimento7 e ne ha ben donde, avendo inseguito questo obiettivo per oltre due anni e anzi avendo immediatamente mostrato fin dalla sua nomina a ministro (22 luglio ’64) le migliori intenzioni di smuovere la paludosa, immobile e mefitica situazione della assistenza psichiatrica pubblica. Ma il pur generoso e sincero interesse del socialista Mariotti, per una illuministica riforma dall’alto, non basterebbe da solo e, d’altra parte, a far volgere le sorti della ultima decisiva battaglia non è certo il telegramma che il Presidente della Società Italiana di Psichiatria, Prof. Mario Gozzano, invia il 17 febbraio 68 (durante lo sciopero) al Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Aldo Moro8, per perorare l’abrogazione del art. 604 cpp.
L’ASSOCIAZIONE
L’impegno politico culturale di Mariotti non avrebbe successo (anche se solo nella veste di una legge stralcio) se non avesse avuto molte volte al suo fianco e altrettante volte di fronte in strenua ma civile dialettica, una organizzazione sindacale che come lui, più di lui, ha da congratularsi con se stessa per la (ahimè parziale) vittoria. È l’AMOPI, sigla anonima che all’inizio (e vedremo poi perché solo all’inizio) indica l’Associazione Medici Ospedali Psichiatrici Italiani, l’organizzazio ne degli psichiatri pubblici che rivela una sua particolare compattezza, tenacia e concretezza, che si rivelano decisive. Compattezza: essa è capace di raggiungere e accogliere in sé più del 95% degli psichiatri impegnati nell’assistenza pubblica a tutti i livelli, come direttori, primari, aiuti e assistenti. Tenacia: essa è capace di organizzare in poco più di un anno a sostegno delle sue rivendicazioni ben quattro scioperi9 di cui due ad oltranza, a grande partecipazione e non indolori, data la “scarsa disponibilità” delle Autorità giudiziarie ad accettare tale forma di lotta da parte di medici, e pure psichiatri! Concretezza: le sue rivendicazioni non sono mai astratte, ideologiche, a partenza da una progettualità formulata da di fuori o calata dall’alto ma partono dal vissuto quotidiano duro, faticoso, negletto, in cui le amare considerazioni sulla propria situazione lavorativa non sono mai staccate da quelle speculari sulla situazione esistenziale dei propri pazienti, gli uni e gli altri messi a umiliante confronto con quella degli altri colleghi e degli altri degenti negli ospedali generali o specializzati. Il 5 dicembre 1959 a Napoli nel suo primo Congresso l’AMOPI si costituisce come associazione (Presidente Prof. Puca) che, come recita l’art. 1 dello Statuto, ha come scopo «inquadrare in una organizzazione professionale e sindacale tutti i sanitari dei pubblici Ospedali psichiatrici, nell’intento di tutelare efficacemente i loro interessi materiali e morali, individuali e collettivi, di promuovere il progresso edilizio, scientifico, curativo e tecnico degli Ospedali psichiatrici, e di interessarsi presso gli organi competenti di tutti i provvedimenti legislativi ed amministrativi che riguardano la categoria e gli Ospedali psichiatrici»10. Così dopo mezzo secolo di inerzia e passività gli psichiatri cominciano la loro “lunga marcia” nelle istituzioni che darà i suoi primi risultati nove anni dopo. L’inizio della 4° legislatura (28 aprile 1963) vede lasciarsi alle spalle vari tentativi rimasti incompiuti di riformare l’assistenza psichiatrica, p.es. il Disegno di legge ministeriale del 1961 e il Progetto di legge dell’Unione Province d’Italia del 1962, ma è proprio in quel 1963 che l’attività della associazione spicca il volo. Infatti, al terzo Congresso Nazionale (Napoli, 11 giugno 1963), dopo duro scontro elettorale, viene chiamato a guidare l’AMOPI un nuovo e combattivo consiglio direttivo che fa capo come Presidente al Prof. Ferdinando Barison, direttore O. P. di Padova e prestigiosa figura di studioso e ricercatore, e come Segretario al Prof. Mario Barucci, medico di sezione O. P. “V. Chiarugi” di Firenze11 presso cui si stabilisce l’ufficio di Presidenza e la Segreteria dell’Associazione e che è la instancabile mente organizzativa e unificante dell’AMOPI. Subito dopo, a settembre, vede la luce il primo numero dei “mitici” Bollettini AMOPI «che si augura di divenire la lucida coscienza che faccia dell’AMOPI un organismo vivente»12, e noi abbiamo ampiamente attinto a tale lucida coscienza per monitorare e apprezzare la vita di tale organismo. Preziose pubblicazioni per la conoscenza di molta parte della Storia della psichiatria italiana, andrebbero adeguatamente archiviate. Fin da subito si evidenzia agli iscritti (520 nel ’63 e 780 nel ’6513) quanto e come l’attività dell’AMOPI si caratterizzi per due aspetti, quello sindacale p. d. e quello culturale, che non rimangono mai disgiunti ma si intrecciano e si rafforzano l’un l’altro. È un sindacalismo di conio moderno quello che viene espresso a Firenze dal Dott. Gianfranco Zeloni14 e dal Prof. Barucci15 e a Padova dal Dott. Eliodoro Novello16, i medici più impegnati su questo piano. Scrive Zeloni nel 1963: «È da evitare una visione settoriale di sindacalismo ristretto al solo scopo di miglioramenti economici e delle condizioni di lavoro. [Siccome] in un O. P. tutto è connesso con la terapia: dalle mura, alle strutture organizzative interne, agli orari di lavoro dei medici e degli infermieri, [di conseguenza] la categoria medica deve avere funzione dirigente e costruttiva nella soluzione dei problemi dell’O. P. una presenza attiva nella gestione aziendale». «Nell’azienda l’elemento umano è solo il lavoratore ed è giusto che venga considerato il fattore più importante, nell’ospedale invece esiste il malato, elemento umano non lavoratore altrettanto importante e del quale bisogna tenere presenti necessità e diritti da accordare con le necessità e i diritti dei medici e degli infermieri. Il sindacalismo medico è anche difesa delle necessità dei malati: difesa contro errori delle amministrazioni, difesa contro leggi dello stato inadatte alla soluzione dei problemi di tecnica psichiatrica. Il sindacato moderno: una forma attuale di impegno sociale». 17 Ribadisce Barucci nel 1964 e 1965: «Dobbiamo soprattutto sentirci i sindacalisti dei nostri malati», 18 «Un primo aspetto sindacale del problema è l’organizzazione unitaria dei servizi, studiarne la realizzazione è nostro dovere sindacale. Ed anche prepararci con pazienza e umiltà ai nuovi compiti, migliorando le nostre capacità superando certe resistenze, uscendo da certi comodi rifugi mentali, riformando noi stessi prima ancora delle nostre istituzioni». 19 Ratifica nel 1967 Novello, l’unico psichiatra (insieme a L. Giamattei) il cui nome è sempre presente nei vari Consigli direttivi che contrassegnano l’arco esistenziale dell’AMOPI: «Non vogliamo un sindacalismo della dignità offesa, o dei privilegi da conservare ad ogni costo, o corporativo che ci faccia arroccare nella narcisistica contemplazione della nostra bravura e della nostra superiorità tecnica, o rigido, incapace di modificare i propri schemi, di variare i propri obiettivi, o disarmato, che non sappia o non voglia ricorrere ai metodi comuni della lotta sindacale ».
LA PSICHIATRIA DI SETTORE
Il tema della politica sanitaria è il nodo dove avviene l’intreccio tra aspetti sindacali p. d.( le pensioni, il tempo pieno ecc.) e aspetti culturali psichiatrici, essa si esprime nella proposizione piena e convinta di una ben precisa opzione tecnica: la psichiatria di settore. Un tipo di assistenza psichiatrica organizzata secondo i concetti dell’OMS che già vantava realizzazioni in Francia, Olanda e Inghilterra. Vengono perciò presentati in Italia autorevoli esperti stranieri: H. Duchenne di Parigi, D. Buckle dell’OMS, H. Vermorel e R. Lambert della Savoia francese, e P. Bailly-Salin, sia con interventi sul Bollettino sia invitati al grande «Convegno sulle realizzazioni e prospettive in tema di organizzazione unitaria dei servizi psichiatrici» organizzato dalla Amministrazione Provinciale di Varese d’intesa con l’AMOPI il 20-21 marzo 1965 e dedicato esplicitamente al “settore”. In questo Convegno20 numerose voci parlano a favore di questa opzione a cui fanno capo le esperienze di Bologna, Como, Firenze, Gorizia, Milano, Pesaro, Ravenna, Trento, Varese. Tra i “settorialisti” ricordiamo il Prof. Edoardo Balduzzi di Varese, il Dott. C. Coen Giordana di Genova, il Dott. Edelweiss Cotti di Bologna, il Dott. Franco Mori di Firenze e tanti altri che rappresentano la linea vincente, nonostante la fiera opposizione di pochi “antisettorialisti” come il Prof. Diego De Caro di Torino, capofila dei più “anziani” direttori come A. M. Fiamberti21 di Varese, M. Benvenuti di Arezzo, G. Padovani di Genova, Failla di Nocera Inf., A. Muratorio di Pisa, in genere di orientamento neurobiologico. Per illustrare “il settore” ci sembra doveroso lasciare la parola al presidente dell’AMOPI il Prof. Barison, l’aristocratico rappresentante della psichiatria colta, che fin dal 1963 propugna l’interesse dell’associazione per: «L’assistenza territoriale, cioè la tendenza moderna della psichiatria ad adattare l’assistenza a naturali ripartizioni topologiche della popolazione in modo che ad ogni settore di popolazione corrispondano specifici organismi psichiatrici che assicurino una assistenza unitaria e continua in tutti i servizi, da quelli profilattici ai ricoveri». 22 Quindi il principio basilare è: unità e indivisibilità della prevenzione, cura ospedaliera e post-ospedaliera, e riabilitazione da parte di una medesima equipe multiprofessionale di curanti. Questo aprirsi al territorio comporterà nel 1966, nonostante forti tensioni interne, cambiamenti anche formali sia nella denominazione dell’associazione, sia nello Statuto. La stessa sigla AMOPI va a significare ora Associazione Medici Organizzazioni Psichiatriche Italiane, laddove la lettera O non indica più Ospedali, e così pure, per es. nel art. 1 dello Statuto; non si parla più solo di “sanitari dei pubblici Ospedali Psichiatrici” ma anche “dei servizi di assistenza psichiatrica ad essi collegati” con l’intento esplicito di rappresentare “l’intero settore dell’assistenza psichiatrica. ”23
IL MINISTRO
L’AMOPI è insomma una giovane associazione che muovi i primi passi alla ricerca di una identità quand’ecco il 22 luglio 1964 diventa ministro della Sanità, alla sua prima legislatura, il Sen. Mariotti, 52 anni fiorentino, dottore in economia e socialista, con cui inizia un rapporto vivacissimo e passionale fatto di avvicinamenti entusiastici e allontanamenti deludenti che durerà quattro lunghi anni. Per capire il clima politico culturale del momento rammentiamo che la quarta legislatura è iniziata da pochi mesi allorché Aldo Moro costituisce nel dicembre 1963 il primo governo organico di centro-sinistra con Pietro Nenni vicepresidente. I governi di centro- sinistra sono caratterizzati da programmi di rinnovamento sociale e politico e dalla intenzione di incidere sulle strutture burocratiche, economiche e sociali per renderle più rispondenti alle esigenze delle masse lavoratrici. Il 22 luglio 1964 decolla il secondo governo Moro e con esso la carriera politica e parlamentare di Luigi Mariotti ed il suo feeling per il Ministero della Sanità, di cui sarà il titolare per ben quattro governi (Moro II e III, Rumor III e Colombo I). Egli sarà anche Ministro dei Trasporti e infine vicepresidente della Camera dei Deputati (presieduta da P. Ingrao) fino al 197924. Il combattivo Mariotti è socialista e crede nelle riforme, i suoi obiettivi sono il sistema ospedaliero e l’as sistenza psichiatrica, si mette subito al lavoro e a ottobre insedia la nuova Commissione incaricata di redigere un progetto per la riforma della legislazione psichiatrica, ne fanno parte tra gli altri il Prof. Gozzano presidente SIP, il Prof. De Sanctis presidente Lega Igiene mentale, Prof. Barison presidente AMOPI, il Prof. Callieri per l’Università e il Prof. Martinotti dell’O. P. di Roma. Il punto alto della luna di miele con l’AMOPI è la sua partecipazione l’anno dopo al quarto Congresso Nazionale dell’AMOPI (Arezzo 2 luglio 1965) dove peraltro il suo lungo, convinto e ben documentato intervento25 già rivela in nuce i problemi che di lì a poco si manifesteranno. Egli infatti non è affatto un ministro assente e disinteressato, né compiacente e passivo di fronte ai “tecnici” di cui farebbe a meno se potesse (non ebbe gran seguito la Commissione...), egli ha una sua ben precisa concezione della società, dei rapporti sociali (e quindi della psichiatria) e infine del suo ruolo istituzionale. Attento ai temi, oltre che della cura, della prevenzione e della riabilitazione, ai «rapporti tra individuo società e stato, tre aspetti inscindibili, con l’uomo libero che diventa misura di tutti i valori, e non il denaro», egli non lascia indifferente l’uditorio quando afferma che «una società come la troviamo nella legge del 1904 isola una parte della società, perché la ritiene pericolosa per la società globale, sopprime la possibilità all’individuo di essere restituito alla vita e quindi ne distrugge la libertà individuale e i principi animatori della società stessa; mentre se l’uomo è libero ci si può invece opporre a certe alternative politiche su cui molto spesso confluiscono il malcontento e l’inquietudine di precarie esistenze e che politicamente possono avere uno sbocco che pregiudica la libertà dell’uomo». Nessun ministro della Sanità si era mai espresso in tal modo e con tale convinzione ad un convegno di psichiatri pubblici. 26 Ma poi non liberandosi del tutto dall’idea che «il casellario giudiziario non possa non essere sostituito da un qualche cosa che registri un po’ questi tipi di malati che talvolta possono essere anche pericolosi» finisce per attirarsi vibrate «proteste nell’uditorio» laddove tocca un punto cruciale: il rapporto medico-paziente al fine di sottrarre il controllo del malato all’arbitrio del medico curante («se domani il controllo di questi malati fosse riservato esclusivamente al medico vuol dire essere soggetto al controllo dello stesso medico vita natural durante, e i medici potrebbero strumentalizzarlo a fini privati, in quanto essendo uomo egli ha una parte sublime capace di conquiste, sacrifici e solidarietà, ma c’è anche una parte istintiva che può portare a compiere cose distruttive verso il malato». Partendo da queste premesse antropologiche è logico che, nonostante tutte le migliori intenzioni, la necessità del controllo uscita dalla porta rientra dalla finestra, costringendo perciò il Ministro a proporre una sorta di “anagrafe psichiatrica” gestita dal medico provinciale, per le certificazioni a tutela dello Stato (per i concorsi pubblici) e del cittadino (nei confonti del suo curante), inutile dire che su ciò l’attrito con l’AMOPI è vistoso.
LO SCONTRO
Tale attrito si accentua quando tra luglio e dicembre arrivano all’AMOPI varie bordate da parte del Ministro, la prima è la conoscenza dello schema di disegno di legge27 da lui presentato al Consiglio dei Ministri. Esso, malgrado contenga l’abrogazione della Legge 36/1904 e l’art. 604, n 2 del c. p.p., manda grandemente disattese le aspettative degli psichiatri che immediatamente rispondono punto su punto, specialmente, ma non solo, per l’istituzione della “anagrafe psichiatrica” per coloro che siano «affetti da disturbi psichici accertati, pregiudizievoli per l’ammalato e la società, compresi nell’elenco che sarà inserito ». La seconda bordata ha però un effetto ancora maggiore. Il Corriere della Sera del 20 settembre 1965 pubblica un articolo dove si leggeva «Il ministro della sanità, sen Luigi Mariotti, intervenuto ieri mattina al cinema Odeon alla cerimonia indetta dall’AVIS (…) ha ricordato la dolorosa situazione dei degenti in molti ospedali psichiatrici, dove il medico fa una rapida comparsa al mattino e poi sparisce per l’intera giornata, così che quegli ospedali assomigliano piuttosto a “Lager di sterminio o a bolge dantesche”». Questo articolo dà inizio ad una vivace “polemica”. Seguono delle interpellanze parlamentari e inchieste televisive28, fioccano le proteste da parte dell’AMOPI, della SIP, della FNOOM, da assessori provinciali e da singoli psichiatri, segnaliamo in particolare il comunicato stampa del Consiglio direttivo dell’AMOPI che termina con questa affermazione: «La vecchia legge sui “manicomi e gli alienati” deve essere riformata non per evitare le carenze igieniche di un dato ospedale o gli ipotizzati sequestri di persona: per garantirci da questi e da quelle sono sufficienti le disposizioni della Legge vigente e del Codice Penale. La legge va riformata invece perché tutta l’Assistenza psichiatrica deve essere organizzata su basi e concetti diversi ispirati alla mutata realtà sociale ed alla evoluzione delle tecniche terapeutiche (…) ». Si alternano lettere aperte di protesta e risposte concilianti del Ministro, che nella sostanza non ritratta ma anzi ribadisce le sue gravi affermazioni «E non mi si accusi di voler “generalizzare” in quanto il verificarsi di gravissimi episodi dimostra che non si tratta di casi isolati, bensì di crisi del sistema ». La polemica divenne aspra a dicembre con la pubblicazione da parte del Ministero della Sanità di un “Libro bianco sulla riforma ospedaliera” redatto dai giornalisti G. Giannelli e V. Raponi, che denunciando e stigmatizzando in generale il mondo ospedaliero non manca di mostrare il lato oscuro e vergognoso della gestione manicomiale, risultato di molteplici fattori amministrativi, politici e culturali. All’epoca molto fu scritto e l’AMOPI irritata difese la categoria per ragioni d’ufficio e rispose con un “contro-libro bianco”29 che contiene «considerazioni e documenti dell’AMOPI per un più esatto e completo “Libro bianco sulla riforma ospedaliera”», tuttavia Mariotti aveva le sue ragioni. Si assiste in definitiva ad un ben vivace “gioco delle parti” tra il Ministro e l’AMOPI fatto di botte (uso di materiale sensazionale e scandalistico da un lato) e risposte (difese della categoria e proposte di riforma generale dall’altro), il cui bersaglio immediato è smuovere la sensibilità dell’opinione pubblica ma lo scopo finale è stimolare la “pigrizia” dei legislatori. Il 15 marzo 1966 il Sen. Mariotti viene riconfermato ministro della Sanità nel nuovo governo Moro (il terzo).
EPILOGO
È il 1967, il tempo stringe essendo nel penultimo anno di legislatura e occorrono forze nuove per uno scontro finale che si prospetta arduo, e così nel suo quinto Congresso Nazionale30 (Perugia, 3 giugno 1967) l’AMOPI si dà un nuovo Presidente e al posto di Barison “sindacalista tranquillo” subentra alla testa dei circa 900 medici dell’associazione il Prof. Barucci mentre diventa Segretario il Dott. Zeloni; entrambi di Firenze ben contribuiscono con il noto spirito “polemico” toscano al momento fortemente dialettico. Infatti il tema sindacale di fondo di questo interessante Congresso è il dibattito tormentato sullo strumento dello sciopero e il suo uso nello specifico, visto che i ben tre scioperi degli ultimi sei mesi non hanno sortito effetto. A questo riguardo significativo è l’intervento dell’On. Prof. ssa Marcella Balconi31, che accennando alla possibilità di una “piccola riforma” se non si potesse giungere ad una riforma radicale, induce tra gli astanti la cognizione del forte pericolo che passi anche questa legislatura senza riforma psichiatrica. Di passaggio, non possiamo fare a meno di segnalare questo interessante Congresso per alcune altre note intellettualmente stimolanti per un lettore di oggi. Il Prof. Balduzzi e il Dott. L. Massignan di Udine demistificano l’uso degli psicofarmaci a 15 anni dalla loro introduzione e denunciano l’equivoco che il loro boom abbia trasformato la psichiatria, essi anzi hanno contribuito a «un gravissimo tradimento della psichiatria rendendo il rapporto col malato superficiale». Non lontano dal tema suddetto il Prof. Barucci e il Prof. Barison propongono e perorano la scissione delle cattedre di neurologia e psichiatria, che «sono due cose diverse» e che si effettuerà solo nel 1976. Infine a questo convegno fa la sua apparizione con apprezzati interventi il Prof. Orsini di Genova che 11 anni dopo rivestirà un ruolo determinante nel portare a compimento la riforma psichiatrica con la 180/1978. Il 20 settembre 1967 viene presentato il Disegno di legge del Ministro e con ciò questa storia si avvia verso l’ultima fase già raccontata all’inizio di questo lavoro, a cui rimandiamo.
“COL SENNO DI POI…”
Nelle attuali rievocazioni del 1968 e dei suoi multiformi riflessi sulla società legale e civile si sente spesso l’affermazione che, diversamente da altri Paesi (Francia, USA), dove il movimento fu una fiammata per quanto intensa, in Italia durò più a lungo con esiti e ricadute di varia natura e valore, e che lo spartiacque successivo fu il 1978 e il delitto Moro. Pensiamo che non sia troppo azzardato estendere alla psichiatria quanto sopra. Ci chiediamo: perché il 1968 psichiatrico fu solo una tappa e dovette aspettare il 1978 per trovare il suo naturale compimento? Non è questa la sede per esplorare tale percorso e le sue eventuali alternative inesplorate o le ragioni di quel “particolare” compimento. Certo però possiamo concludere con certezza su quelle che furono le lacune e inadempienze (soprattutto legislative) della 431/1968 e che avviarono la necessità storica della 180/1978. La “grande riforma” presentata dal Consiglio dei Ministri nel disegno di legge 2422 del 20 settembre 67 finiva con l’articolo 59 “Abrogazione” che così recitava «La legge 14 febbraio 1904 n. 36 è abrogata (…). È altresì abrogato l’articolo 604 n. 2 del codice di procedura penale (…) »; purtroppo questa “grande riforma” non arrivò mai in aula. Chissà, se fosse stata approvata… La necessità di proporre in fretta e furia un disegno di legge stralcio (n. 4939) che fosse convertibile in legge costrinse tutti coloro che avevano a cuore l’assistenza psichiatrica ad accontentarsi di una “piccola riforma” che pur abrogando il fascista art. 604 n. 2 cpp, manteneva ancora vigente la giolittiana 36/1904. In questo modo la legge stralcio andava ad aggiungersi alla precedente, migliorando di gran lunga la situazione di quei pazienti che volevano curarsi in ospedale, per i quali era stato formulato l’art. 4 (vedi sopra il cap. “La legge”) e che trovarono finalmente una risposta adeguata nel servizio pubblico permettendo agli psichiatri di essere medici e curare, ma non incise né modificò sostanzialmente quella degli altri. Chi erano gli altri? Erano quei malati che (dopo il regolare mese di osservazione) non volevano curarsi e che appartenevano fondamentalmente a due categorie: o quelli che, provenendo dai ricoveri coatti, erano ancora pericolosi a sé e agli altri o quei «mentecatti cronici tranquilli, epilettici innocui, cretini, idioti ed, in generale, individui colpiti da infermità mentale inguaribile, non pericolosi a sé e agli altri »32. Il destino di entrambe queste due categorie era il ricovero definitivo e di essi continuarono ad occuparsi gli psichiatri, nella funzione (non terapeutica) di custodia dei primi e di assistenza dei secondi, e per essi rimase vigente la legge del 1904, perché la legge stralcio apriva (finalmente) l’Ospedale psichiatrico ma non chiudeva ancora il Manicomio. E per essi continuò il movimento riformatore degli psichiatri (in cui ritroveremo alcuni dei protagonisti33 di questo 1968) che infatti ebbe come cavalli di battaglia i due temi rispettivamente della pericolosità (su cui si articola il dilemma coercizione/libertà) e della emarginazione (con l’alternativa abbandono/ riabilitazio ne). Ma, come si dice, questa è un’altra storia che ci accingiamo a raccontare. Desideriamo vivamente ringraziare coloro le cui preziose testimonianze, generosamente condivise con noi, hanno reso possibile questa ricerca storica: il Prof. Gianfranco Zeloni, il Prof. Bruno Orsini, il Prof. Giuseppe Francesconi.
1 Ovviamente i medici di fronte al manifestarsi di situazioni di pericolo potevano sempre ricorrere al ricovero coatto.
2 Anche se bisognerà aspettare la legge 515/1971 per regolare lo stipendio con una indennità non pensionabile e in pratica solo nel 1977 si raggiungerà l’equiparazione.
3 Essa si concluderà il 4-6-1968.
4 A cui fanno riferimento due progetti di legge (l’803 del On. De Maria D.C. presentato il 5-12-1963 e il 2185 della On. Marcella Balconi P.C.I.-P.S.I.U.P. presentato il 13-3-1965) e il disegno di legge n. 2422 presentato il 20-9-1967 al Senato dal ministro Sen. Luigi Mariotti P.S.I.
5 cfr Bollettino AMOPI, anno IV n. 5 settembre 1966,p. 321.
6 cfr Bollettino AMOPI, anno VI n. 3, maggio 1968, pag 57.
7 Cfr. Bollettino AMOPI anno VI n. 3, maggio 1968, pag 81.
8 Cfr. Bollettino AMOPI anno VI n. 3, maggio 1968, pag 64-65.
9 Il 15 e 16 dicembre 1966, il 16-18 marzo 1967, 18-26 aprile 1967 e il 15-20 febbraio 1968, quest’ultimi due ad oltranza.
10 Art. 1 dello Statuto, in Bollettino AMOPI anno I, n.1 settembre 1963, frontespizio.
11 Altri componenti del Consiglio sono G. Padovani Dir. O. P. Genova, E. Failla Dir. O. P. di Nocera Inferiore, M. Benvenuti Dir. O. NP. di Arezzo, C. Coen-Giordana Prim. O. P. di Genova, E. Cotti Prim. O. P. di Bologna. B. Buffa Prim. O. NP. di Vercelli, L. Giamattei Assist. O. P. di Napoli, E. Novello Assist. O.P. di Padova, G. Zeloni Assist. O. P. di Firenze.
12 Cfr. Bollettino AMOPI anno I, n.1 settembre 1963, Presentazione p. 1.
13 Nel 1963, cfr. Bollettino AMOPI anno I, n.1 settembre 1963, p. 23. cfr. Bollettino AMOPI anno III n. 5, settembre 1965, p. 214.
14 Cfr. Bollettino AMOPI anno III n. 5, settembre 1965, p. 243. Cfr. Bollettino AMOPI, anno V n. 5 settembre 1967, p.194.
15 Cfr. Bollettino AMOPI anno III n. 5, settembre 1965, p. 213.
16 cfr Bollettino AMOPI, anno V n. 5 settembre 1967, p.205, p. 227.
17 Cfr. Bollettino AMOPI anno I, n.2 novembre 1963, p. 63.
18 Cfr. Bollettino AMOPI anno II n. 4, luglio 1964, p. 151.
19 M. Barucci Sintesi critica nei riflessi legislativi e sindacali in Atti del Convegno sulle realizzazioni e prospettive in tema di organizzazione unitaria dei servizi psichiatrici. Varese, 20-21 marzo 1965, p. 230.
20 Cfr. Atti del Convegno sulle realizzazioni e prospettive in tema di organizzazione unitaria dei servizi psichiatrici. Varese,
20-21 marzo 1965
21 Autore della “leucotomia transorbitaria di Fiamberti” e di una cura della schizofrenia con la acetilcolina.
22 Cfr. Bollettino AMOPI anno I, n.1 settembre 1963, p. 22. Per una completa e dettagliata disamina Cfr. dott. Franco Mori
(O.P. Firenze) in Bollettino AMOPI anno II, n.2 novembre 1963, p.65.
23 Cfr. Bollettino AMOPI anno IV, n. 3 maggio 1966, p. 101.
24 Luigi Mariotti, a partire dalla persecuzione politica durante il fascismo diventa uno dei grandi protagonisti della vicenda politica e culturale di Firenze e della Toscana nel secondo dopoguerra. Decorato al merito della Sanità pubblica nel corso dei
festeggiamenti per il suo novantesimo compleanno, morirà il 24 dicembre 2004.
25 Discorso del Sig. Ministro della Sanità, Sen. Luigi Mariotti al Congresso Nazionale AMOPI, cfr. Bollettino AMOPI anno III n. 5 settembre 1965, p.189-197.
26 A precedenti congressi erano intervenuti due ministri della sanità: Sen. Monaldi (1959) e Sen. Jervolino (1962).
27 Cfr. Bollettino AMOPI anno III n. 5, settembre 1965, p. 249.
28 Cfr. Bollettino AMOPI anno IV n. 1 p. 48. Cfr. Bollettino AMOPI anno IV n. 3 p. 217.
29 E. Balduzzi, M. Barucci, G. Zeloni (a cura di) Urgenza di una legge per la sanità mentale. Tecniche e costume del rinnovamento psichiatrico. Suppl. Bollettino AMOPI IV n. 2, marzo 1966.
30 Cfr. Bollettino AMOPI anno V n. 4 e 5
31 Prima firmataria del progetto di legge 2185 del 13 marzo 1965.
32 Per quest’ultimi si risolse in gran parte l’aspetto formale con la trasformazione del ricovero coatto in volontario ma non quello sostanziale della loro collocazione.
33 10 anni dopo ritroveremo ancora l’AMOPI nella veste di Novello, Renzoni, Zeloni, Giamattei, Erba, Francesconi, Pagano e, in altro ruolo, Orsini.