domenica 6 maggio 2007

Liberazione 6.5.07
La sinistra rompe gli ormeggi e naviga
Giordano: «Patto d'unità d'azione subito»
di Rina Gagliardi


Nasce "Sinistra democratica" che raccoglie tutti coloro che hanno rotto col Pd. L'assemblea costituitiva si è tenuta ieri sera all'Eur in un clima incredibile di entusiasmo, di unità e di svolta. I discorsi di Mussi, Angius e Berlinguer di fronte a 4mila persone e a tutti i dirigenti dei partiti di sinistra

Ci sono eventi politici così annunciati e così attesi, che quasi si esauriscono nell'annuncio e nell'attesa. Ma ieri, al "vecchio" Palazzo dei Congressi dell'Eur (che nella sua vita ne ha viste tante), l'evento c'è stato davvero: un fiume inarrestabile di persone di tutte le età ha trasformato l'assemblea promossa dalla (ex) sinistra Ds in una fragrante novità politica. Un successo superiore a tutte le previsioni: così la nascita del movimento politico "Sinistra Democratica per il socialismo europeo". Vecchi e nuovi militanti "ingraiani", sindacalisti, ragazzine e ragazzini al loro primo appuntamento con le scelte che contano - e tanti ospiti esterni di Rifondazione, Pdci, Sinistra europea, Ars, Uniti a sinistra, in un felice cocktail di popolo e di ceti politici dirigenti - che sorridevano allegramente e respiravano un clima da nuovo inizio: allegro, speranzoso, liberatorio.
Liberati da che cosa? Dalle sofferenze politiche di questi mesi. Dalla paura di non farcela nemmeno a cominciare, e di rimanere stritolati nella morsa tra moderatismo e sinistra di nicchia. Ma anche un po' dalla "gabbie" in cui per troppi anni la politica - e la sinistra - sono rimaste imprigionate. Cosicché l'allegria (complice anche un sole quasi sfolgorante e la battente colonna sonora rockettara) contagiava tutti, ma proprio tutti, costruiva curiosi effetti di piazzamento - eravamo tutti dentro l'assemblea, proprio come se fosse la nostra- e diffondeva a profusione baci e abbracci. Memorabile quello, verso l'inizio, tra Cesare Salvi e Achille Occhetto, salutato dai flash e da un frenetico applauso delle prime file: una specie di ritorno a casa del figliol prodigo, quello dell'ex-segretario del Pci, quello che il Pci, per la verità, lo sciolse tre lustri abbondanti fa invocando, anche lui, un "nuovo inizio".
Si sa, gli orologi della storia girano a loro modo, senza regole certe o fisse - e capita che, dopo lunghe e frenetiche girandole, ci si ritrova quasi allo stesso punto di partenza. Nel frattempo, però, quasi tutto intorno è cambiato: il ricominciamento, almeno qui, è reale, non rituale, perché è proiettato in avanti, sul futuro e del passato conserva, si sforza di conservare, il meglio - la memoria, i canti di Bella Ciao e dell'Internazionale, l'antifascismo, la pace, la critica radicale del liberismo, i valori fondativi di ciò che va sotto il nome di sinistra «Non sono sicuro del successo. Non so se ce la faremo - dice Fabio Mussi, nell'intervento più corposo (e galvanizzante) dell'assemblea - ma dobbiamo provarci».
***
Provare a fare che cosa? Per che cosa? Verso dove? Per "Sinistra Democratica" la risposta a queste domande sarà per forza in progress e il pur ricco dibattito che ha impegnato quasi tutto il pomeriggio di sabato non poteva chiarire tutto, compresi gli accenti diversi, i dubbi non sciolti, i problemi culturali e "identitari" di sfondo. Del resto, ogni nuovo movimento politico, per costituirsi e "conoscersi", ha bisogno di tempo, di fatti, di iniziative da dispiegare e di "rispetto" da guadagnare, come ha detto Valdo Spini in un intervento che ha fatto da rompighiaccio (mentre Cesare Salvi, prossimo presidente del neo-gruppo dei dodici senatori della Sd, ha preferito ritagliarsi un ruolo tra il disc-jockey e l'imbonitore di entusiasmo).
In più, e soprattutto, questo nuovo movimento nasce in un contesto affatto speciale, pressoché storico, e con una responsabilità immediata che, da subito, lo trascende, lo costringe a misurarsi, in tempi accelerati, con il fuori da sé: con lo smisurato compito di essere uno dei co-ricostruttori della sinistra italiana. Ed ecco, di nuovo, la paura di non farcela - ed ecco, di nuovo, quel paio di dilemmi che, al di là della giornata di festa, corrono "sotto" i sorrisi e le speranze di ciascuno, un po' come ospiti indesiderati, un po' come convitati di pietra.
Il primo, di questi dilemmi, si presenta nella forma di una contraddizione che vale per Sd come per tutte le forze interessate: quella tra i tempi, che vanno urgendo e ponendosi nei fatti come "accelerandi", e la qualità - l'efficacia stessa - dell'impresa da edificare. In tempi brevi, è evidente, si rischiano le ammucchiate, le pure fusioni di vertice e tra ceti politici, le logiche dei cartelli elettorali e dei contenitori - e non si riesce a farlo davvero, nei gangli vitali della società civile, quel nuovo inizio non solo della sinistra, ma della politica tout court che tutti avvertono come necessario. In tempi lunghi, è altrettanto evidente, si rischia di mancare l'appuntamento, di perdere l'autobus, di mortificare una domanda di massa vera, diffusa, "impaziente" - insomma, di rialimentare la frammentazione e rinfocolare tutte le (legittime) identità.
Insomma, quando è il momento "giusto" per osare, per far esplodere quello che qualcuno ieri ha correttamente definito il big bang necessario della sinistra italiana? Intanto, si può soltanto dire che, dopo questa assemblea, a questo big bang si è un po' più vicini - in alto e in basso, come ha scritto Giovanni Russo Spena proprio su questo giornale. (che, tra parentesi, ieri, grazie alla decisione di una promozione straordinaria, ha circolato massicciamente tra tutti i partecipanti all'evento - quasi tutti avevano in mano una copia di Liberazione , come un distintivo, un riferimento comune, un marchio. Bello, no?).
Il secondo dilemma, strettamente intrecciato con il come, è il dove - il dove dell'inveramento politico-pratico delle parole d'ordine che per ora il movimento si è dato. Ascoltando il pur efficace intervento di Gavino Angius (sui diritti, il lavoro, la laicità), si capisce che il leader di quella che fu la terza mozione del congresso di Firenze pensa a un processo un po' diverso da quello tratteggiato da Mussi e dagli altri dirigenti dell'ex-Correntone: pensa cioè alla Costituente socialista lanciata da Boselli (Sdi), e infatti richiama più volte «l'orgoglio socialista» come componente ineludibile del processo da costruire. E guarda al socialismo europeo più come alla realtà attuale del Pse (e delle socialdemocrazie che vi aderiscono) che come a un riferimento in qualche modo originario, ideale, strategico.
E' pur vero che Fabio Mussi si è rivolto, anch'egli, a tutta la platea dei possibili interlocutori di Sd, senza escludere nessuno. E che i leader delle forze non-Pd, al palazzo dei Congressi, c'erano tutti - Franco Giordano, Oliviero Diliberto, Angelo Bonelli, ma anche Rita Bernardini, la segretaria radicale, Enrico Boselli, Lanfranco Turci, Willer Bordon. E tuttavia la differenza di approccio, di toni, di linguaggio - di percorsi tattici e forse strategici - restava evidente, anche se non nominata e non declinata.
Curioso paradosso: chi oggi privilegia un cammino socialista più tradizionale, molto radicale sui temi della laicità e dei diritti civili, assai meno radicale sulle questioni di politica estera ed economico-sociale, finisce col privilegiare un'identità molto, molto ideologica. Appunto: l'orgoglio socialista, il socialismo europeo che si esaurisce o quasi si arrocca nel Pse, la paura, chissà, di venire ingoiati dalla radicalità neo-comunista e neo-minoritaria. Ma se, nel cantiere che si apre, il lavoro (immane) da fare cominciasse davvero dalla proclamazione degli orgogli identitari (quello dei socialisti, dei comunisti, dei rivoluzionari, dei riformisti, dei democratici tout court e così via) , sarebbe un autentico disastro - con speranze molto scarse di successo.
In questo senso, l'approccio di Mussi è apparso più forte: concentrato sui contenuti che oggi identificano l'idea e la necessità di una grande sinistra, pacifista, antimercatista, di lotta e di governo. Non "estremista", se è vero, come ha detto il Ministro dell'Università e della Ricerca, che oggi «l'estremismo è la guerra, è l'esportazione della democrazia con le armi, è la disuguaglianza spaventosa tra i guadagni di un manager e quelli degli operai e dei ricercatori, è il controllo di un'impresa attraverso la quota di una finanziaria, è il Family Day promosso dalla Chiesa Cattolica». E nemmeno tanto "riformista", ma piuttosto capace di fare le riforme giuste, nella direzione giusta, al momento giusto.
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E dunque? Dunque, per oggi gustiamoci questa importante giornata. Senza trionfalismi, ma con il piacere (intellettuale e spirituale) che va riservato agli eventi politici veri - agli ormeggi che, finalmente, si cominciano a rompere. Senza pensare che "sarà facile" , o lineare, soltanto perché è necessario, e qualche milione di persone se lo aspetta. Senza far finta di ignorare che la miseria - e le miserie - della politica svolgeranno, e come, la loro consueta funzione frenante.
Le leggi della politica, del resto, hanno una propria insostenibile pesantezza, che nessuna buona volontà riesce a mettere in crisi con la rapidità che sarebbe auspicabile - per esempio, non è stato un bello spettacolo, ieri, che la sfilata dei leader (maschi) abbia occupato tutto lo spazio iniziale - l'acme dell'entusiasmo e dell'attenzione dell'assemblea - lasciando alle donne, sia alle dirigenti che alle "giovani leve", solo il momento discendente (e un mero ruolo testimoniale). Appunto, il cammino della rifondazione della politica e della rinascita della sinistra è lungo e difficile. Però, è un cammino.

Liberazione 6.5.07
Giordano: «Noi ci siamo. Ora subito l'unità d'azione»
di Romina Velchi


Il segretario del Prc: «Largamente condivisibile la piattaforma di Mussi. Ci sono le condizioni per determinare in tempi rapidi il percorso di una riaggregazione delle forze della sinistra. Questo entusiasmo è una risorsa»

Rifondazione c'è e ci sarà. Senza steccati, senza primogeniture, sgombrando il campo da qualsiasi impedimento, che sia di tipo organizzativo o ideologico. Franco Giordano è seduto in prima fila ad ascoltare Fabio Mussi al Palazzo dei congressi dell'Eur. Vede la sala piena, gli applausi, l'entusiasmo, persino i pugni alzati. E non ha dubbi: «Ora tempi rapidi. Questa partecipazione è una risorsa, non va sprecata. Dobbiamo dare subito risposte concrete. Cominciamo la prossima settimana. Cominciamo dai contenuti».

Mussi ieri ha ribadito che Sinistra democratica non sarà, per ora, un partito, ma un movimento, per lasciarsi così aperte tutte le strade. Che giudizio dai del suo intervento?
La piattaforma politico-culturale presentata da Fabio è largamente condivisibile. Ci sono tutte le condizioni per determinare in tempi rapidi il percorso di una riaggregazione delle forze di sinistra. Noi da tempo abbiamo avuto questa intuizione e vogliamo continuare a prospettarla. A maggior ragione dopo questa assise: il livello di partecipazione, il calore, la volontà di stare in campo, tutto ciò va preso come una risorsa. Anche per questo penso che dobbiamo trovare rapidamente dei punti fermi (il tempo in questo caso è decisivo), definire un patto di unità d'azione sulle questioni concrete che sono oggi sul tappeto. Le stesse che Mussi ha indicato. E mi pare che sulla proposta che ho avanzato nei giorni scorsi ci sia stata un'ampia disponibilità. Adesso si tratta di tradurla operativamente. Per parte nostra, proponiamo la platea del 16 e 17 giugno e la costruzione della Sinistra europea come luogo aperto al confronto e alla discussione tra tutti coloro che vogliono dare vita a questo soggetto unitario della sinistra. Che per me deve essere, insisto, pacifista e antiliberista.
Quando dici tempi rapidi, cosa intendi?
Intendo che la prossima settimana dovremmo incontrarci per trovare l'intesa sui punti di azione comune che diventino dirimenti sia nelle istituzioni che nella società. Vederci subito per definire appuntamenti e scadenze e incidere concretamente sul processo. E per spendere politicamente questo bisogno di unità della sinistra. Perché c'è questo bisogno, qui e ora. Perché c'è una partita aperta adesso; perché la Confindustria non vuole la redistribuzione sociale a favore dei lavoratori; perché con la nascita del Pd c'è una maggiore permeabilità del governo alle istanze confidustriali. Ora dobbiamo spendere politicamente questa forza, spenderla nel paese e nel parlamento, nelle istituzioni. E poi diffonderla a raggiera, farla nascere nelle realtà di base. Guai a permettere una logica solo verticistica.
Credi che i nodi ancora aperti, come l'appartenenza internazionale, possano costituire un ostacolo a questo percorso?
Se stiamo sui livelli identitari è finita. Rischiamo di percorrere le stesse contraddizioni e le stesse logiche, in sedicesimi, della costruzione del Partito democratico. Noi non possiamo fare gli stessi errori. Dobbiamo, invece, denifire l'orizzonte di critica alle forme attuali della globalizzazione capitalistica, definire l'impianto (che è pacifista e antiliberista) e immediatamente stare sull'utilità sociale del nuovo soggetto politico. Una cosa è un soggetto che viene costruito in maniera tale da essere percepito come utile alle lavoratrici e ai lavoratori in una vicenda come quella delle pensioni, o della lotta alla precarietà, o della qualità dello stato sociale. Altra cosa è parlare in chiave puramente identitaria. Noi non possiamo vincolarci e bloccarci sul terreno delle appartenenze ai diversi gruppi europei; dev'essere un confronto di culture. Poi nessuno deve negare le identità degli altri; io non nego la mia, che sto rifondando e che è quella comunista; Mussi non negherà la propria. Ma tutti insieme lavoriamo, confrontandoci sulla direttrice di marcia, per la critica di questa società e per un impianto pacifista e antiliberista. Questo è il punto: non lasciamoci imprigionare da contrapposizioni puramente organizzative o da collocazioni diverse sullo scenario europeo. Dobbiamo discutere e confrontarci, ma adesso facciamo immediatamente azione comune.
C'è chi pensa che nel momento in cui ci fosse una lista unitaria del Pd, a sinistra si dovrebbe fare lo stesso, magari alle europee del 2009.
Credo che questa sia la maniera più sbagliata per affrontare la questione. Ho visto che anche Liberazione insiste molto su questo punto. Io non sono d'accordo. Questo è il tempo delle azioni diffuse e unitarie; poi possiamo pensare ad una soggettività plurale, unitaria, della sinistra; ad una confederazione. Così, infatti, abbiamo definito la Sinistra europea. E credo che dovremmo via via provare ad allargare questo orizzonte. Il resto viene dopo. Guai a legare a scadenze elettorali una progettualità politica. Certo che abbiamo degli appuntamenti, ma li vedremo nel percorso concreto. Altrimenti riproponiamo gli stessi errorri del Pd. Insisto su questo punto, perché queste dinamiche rischiano di far ritardare il progetto.
Hai più volte citato la Sinistra europea. Alla luce di tutto ciò, quella proposta come si colloca?
L'intuizione della Sinistra europea da parte di Rifondazione è stata giustissima. Non può essere in alcun modo definita transitoria; al contrario, è strategica. E io sono certo che il 16 e il 17 giugno ci sarà un grandissimo evento con la costruzione della Se. E siccome questa tappa fondativa non è un punto di arrivo ma di partenza, penso che potremo avere la possibilità di fare di questo evento un'occasione straordinaria di confronto con tutti coloro che vogliono concretamente costruirla. Per essere chiari: io vedo un solo nodo che deve essere in qualche misura sciolto ed è il rapporto con i socialisti. Credo che il confronto con i socialisti sia decisivo, fondamentale e fecondo, soprattuto sul terreno della laicità. E credo che debba continuare una riflessione critica sul futuro della società italiana. Quello che non può essere accettato è una riedizione, in forme aggiornate, del processo di modellizzazione capitalistica che ha segnato la stagione craxiana e che mi pare essere rivendicata dal partito socialista. Per questo penso che bisogna dare una risposta immediata a tanto entusiasmo attraverso un agire concreto, un agire sociale; attraverso la definizione di alcuni obiettivi precisi.
Insomma: subito i contenuti, al contenitore pensiamo poi?
Subito i contenuti, subito l'unità d'azione. E dico di sì, rapidamente, alla proposta di continuare nella riorganizzazione unitaria della sinistra, nelle forme che sempre hanno caratterizzato la nostra iniziativa: i movimenti, la società, le forze politiche. Insomma, l'evento di oggi (ieri per chi legge, ndr) è di grande rilievo e importanza; per questo bisogna accelerare il processo.
L'assemblea si è aperta con le note di "Bella ciao" e "L'Internazionale"...
E' il richiamo all'antifascismo e al mondo del lavoro, dei lavoratori. Secondo me questo è un fatto di grande rilievo. Siamo nel solco giusto, anche dal punto di vista simoblico.

l’Unità 6.5.07
Nasce Sinistra democratica
Mussi: «Il mio sogno è riunire la sinistra»
di Simone Collini


«Saremo un movimento, alleati del Pd»
Angius: «Ho fatto la scelta giusta». I Ds: una prospettiva confusa

Le lacrime trattenute a stento al congresso di Firenze sono già un ricordo lontano, così come quel filo di voce con cui aveva annunciato: «Noi ci fermiamo qui». Fabio Mussi stringe mani e incassa pacche sulle spalle mentre si avvia verso il palco spoglio di bandiere ma con uno striscione, da un lato, con disegnata una rosa e la scritta: «Sempre e per sempre dalla stessa parte ci troverete».
Sorride a tutti e firma autografi, rosso in volto per la concitazione e per il caldo che fa in un Palazzo dei Congressi riempito da circa cinquemila persone.
Si parte con Bella Ciao con Cesare Salvi e Gavino Angius e gli altri ex Ds che cantano insieme a una platea entusiasta. Si chiude con l’Internazionale, con le mani che battono il tempo, qualche pugno chiuso tenuto bene in alto, qualche bandiera
rossa senza simboli che sventola. Niente lacrime questa volta, a parte la commozione che prende Giovanni Berlinguer quando viene annunciato il suo intervento e tutti scattano in piedi ad applaudire. Il clima è decisamente di festa, come deve essere in un’occasione come questa: «Oggi nasce Sinistra democratica per il socialismo europeo - scandisce al microfono Mussi - abbiate tutti cura del neonato, fatelo crescere». Guarderà al Partito democratico «come ad un alleato, non un nemico». E non sarà un altro partito, assicura il ministro dell’Università, ma «un movimento al servizio di un grande progetto, quello dell’unità della sinistra, una sinistra nuova, plurale, laica, autonoma, critica, larga e di governo». Un movimento che entro maggio si doterà di gruppi parlamentari autonomi (al momento sono 23 deputati e 12 senatori), aprirà sezioni sul territorio, si doterà di organi di informazione (probabilmente un settimanale).
L’obiettivo è coinvolgere in uno stesso cantiere lo Sdi, Rifondazione comunista, Pdci, Verdi perché, dice Mussi, «non rinunciamo al sogno di un nuovo grande partito. Ma la strada si fa un passo alla volta. Ora ripartiamo dai contenuti». I contenuti a cui fa riferimento parlano di pace, lavoro, ambiente, riforma della politica, questione morale (le uniche citazioni dell’intervento sono per Gramsci e Berlinguer), «su cui saremo radicali». E poi: «Oggi il termine radicali viene usato per dire estremisti: io vi propongo un impegno solenne contro l’estremismo. L’idea della guerra è estremista, l’idea di esportare la democrazia sulle ali dei cacciabombardieri è estremista, l’idea che un manager guadagni come 500 operai o 300 ricercatori è estremista, l’idea che i giovani siano sempre più precari e lo possano rimanere a vita è estremista, il Family Day...» e non finisce la frase perché tutta la platea esplode in sonori fischi (e non è un caso se la prima manifestazione a cui Sinistra democratica parteciperà è quella del 12 maggio a Piazza Navona).
Non sfugge a Mussi la difficoltà del progetto, per questo chiude il suo intervento confessando: «Non sono sicuro del successo, vedo gli ostacoli. Ma oggi tutti insieme sentiamo il dovere di provarci». Ed è forse questo il cuore dell’operazione. Nessuna certezza di riuscirci, ma alternative non ci sono. Gli «ostacoli» si sono visti tante volte in passato, nelle tante separazioni e nei tanti tentativi falliti di unificare le forze di sinistra divise. Ci sono però due elementi di novità questa volta: la nascita del Pd, che riduce fortemente il potere d’influenza di forze che viaggiano sotto il 3 per cento, e un clima diverso rispetto a quello di qualche tempo fa. «Adesso siamo spinti a non deludere così tante aspettative», riconosce Salvi guardando al successo dell’iniziativa di ieri.
L’entusiasmo c’è, e servirà tutto per sciogliere i nodi rimasti intatti dopo il battesimo di Sinistra democratica. Perché il rischio, a questo punto, è che i «cantieri» aperti fuori dal Pd siano due: la Costituente socialista annunciata da Enrico Boselli al congresso di Fiuggi e quello di cui ha recentemente parlato Fausto Bertinotti facendo riferimento alla necessità di fare a sinistra «massa critica». Con chi lavorerà il movimento di Mussi, Salvi, Angius? L’aut aut posto dal leader dello Sdi (un conto noi, un conto la sinistra europea) non piace agli ex diessini. «Al congresso dei Ds ho detto che non sarei uscito dal socialismo europeo ma questo non mi impedisce di compiere lo stesso cammino con Prc, Pdci e Verdi per una sinsitra unitaria», chiarisce Angius. Che si dice convinto di due cose. La prima: «Abbiamo condotto la battaglia congressuale da posizioni diverse, ma ora siamo qui insieme e so di aver fatto la scelta giusta». La seconda: «Se da parte del Pdci, di Rifondazione e dei Verdi ci sarà la volontà di confronto allora inizierà la semina e in primavera i semi germoglieranno e la sinistra italiana avrà intrapreso una pagina nuova della sua storia». Qualcuno parla di divisione tra lui e Mussi, con il primo più propenso a lavorare con Boselli e il secondo che guarda con più interesse alla sinistra antagonista. Ma Mussi assicura che anche per lui la permanenza nel Pse è irrinunciabile. La soluzione? «Proveremo a portare la sinistra italiana nella famiglia del socialismo europeo, e anche a portare innovazione dentro quella famiglia».
L’entusiasmo c’è tra gli ex diessini e anche tra le prime file, dove siedono Achille Occhetto e Armando Cossutta (accolti con grandi applausi), il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini («non aderirò al Pd»), il segretario confederale della Cgil Paolo Nerozzi («si crei finalmente un partito politico della Sinistra italiana») e i tanto citati dal palco Giordano, Diliberto e Boselli. «Il Prc vuole fare un soggetto unitario a sinistra, dobbiamo farlo in maniera antiliberista e pacifista», dice il segretario di Rifondazione comunista proponendo di fare «immediatamente un patto d’unità d’azione» tra le forze alla sinistra del Pd. «Giudico quanto stanno facendo Mussi e Angius molto positivo - fa sapere il segretario del Pdci - c’è l’idea di rimettere assieme tutta la sinistra senza aggettivi in un percorso il più possibile rapido, bisogna lavorarci e noi siamo pronti». Chi non c’è nelle prime file sono i Ds, anche se invitati all’iniziativa. Un’assenza eloquente, come lo è la nota del coordinatore della segreteria della Quercia che arriva poco dopo la chiusura dell’iniziativa: «L’unica cosa certa è che nasce un altro movimento della sinistra; si formano altri gruppi parlamentari nel centrosinistra, saranno 9 solo alla Camera, e tutto ciò avviene senza una prospettiva certa di aggregazione, senza una piattaforma programmatica e politica chiara e con un`assoluta confusione di collocazione internazionale».

l’Unità 6.5.07
La passione e le domande
di Roberto Cotroneo


Passioni ed entusiasmo in cerca di un approdo
Al Palazzo dei Congressi un’altra sinistra tra identità nuove e antiche
Scommessa affascinante e difficile

Sotto un sole a picco, nel giorno del compleanno di Karl Marx (189 anni giusti giusti), la sinistra Ds ha portato al palazzo dei congressi dell’Eur qualcosa come 5000 militanti a una sorta di atto fondatorio. Un atto fondatorio vicinissimo al Congresso di Firenze che dovrà mettere in chiaro quale sarà il futuro del nuovo partito Sinistra Democratica. Un futuro che per ora non dice moltissimo. A parte una cosa: noi là, oltre Firenze, non ci saremo più. Noi siamo già altro, e siamo già altrove.
Altrove dove? Non è chiarissimo. E non può che essere così. Ma in sala l’entusiasmo si sente. In questo sciogliersi e fondersi, in questa fonderia gigantesca, in questo altoforno dove si mescola un po’ tutto, identità, temi, ed emotività ora è arrivata anche la Sini-
stra democratica. Una cosa compatta, fortemente politica, per ora poco movimentista, che ha di fronte molti nodi che nel futuro chiedono di essere sciolti. A cominciare da quello più ingombrante, come fosse un totem che aleggia per tutta la sala. Quel partito democratico che ha accompagnato per mano i militanti della sinistra ds fino a qui. Il totem del «non moriremo democristiani», l’icona di Rutelli, citatissimo in molti interventi, così vivida che sembra un ologramma.
Ma questa moltiplicazione delle sinistre, come fossero i pani e i pesci, è davvero potenzialmente infinita? Vallo a chiedere all’anodino Fabio Mussi, che non si è sbilanciato, ma ti dice subito: «molto meglio di Firenze... altro che Firenze». E fa subito dimenticare, mette in soffitta tutte le commozioni del congresso di scioglimento dei Democratici di sinistra. Lo strappo doloroso, il «Fabio torna indietro», sembra già una cosa d’altri tempi, una fotografia ormai sbiadita.
Eppure al Palazzo dei Congressi dell’Eur quel passato, quella storia sembravano quasi un tabù da non scalfire in un alcun modo, una storia piena e viva. Il Pci, il compagni e compagne, la voglia di sinistra era palpabile. Sarà stato complice un sole estivo, e lo spiazzo in cui i più giovani, ed erano molti, si sono stesi a prendere il sole, ma l’entusiasmo di tanti che erano lì veniva dal fatto che da «troppo tempo si sentivano esclusi», e un po’ «ai margini di certo decisionismo Ds».
Sarà stata la nostalgia e la voglia di essere soltanto «di sinistra», di riprendersi una identità netta e univoca, di non contaminarsi con tentazioni centriste, si può chiamare come si vuole, ma certo stupiva e impressionava il buon umore dei partecipanti.
Ieri è nato un nuovo partito, con una cospicua rappresentanza parlamentare ma l’aria era ancora sfuggente, attendista. L’entusiasmo per un altro pezzo di sinistra che nasceva, era alternato a un attendismo realista. Quanto conteremo poi alla fine? Quanti voti, e in che modo?
Tutti l’hanno definita una scommessa. E certamente è una scommessa. Ma per capire quella sensazione, fatta di allegria ed entusiasmo ma anche di sano realismo, di piedi per terra, bisogna partire da un dato. Forse la società civile arriverà, forse aderiranno anche persone che non hanno un passato politico definito, ma per ora era il popolo della sinistra Ds a occupare le sedie e i palchi del centro congressi. Erano militanti, ex segretari di sezioni Ds, gente che ha sempre fatto, negli ultimi anni, un lavoro politico definito e persino burocratico. Certo c’erano anche persone che da qualche tempo non avevano più preso la tessera Ds. Ma erano una minoranza. La gran parte è passata dai Ds a Sinistra Democratica, e forse il travaglio del Partito Democratico se lo è tenuto a distanza come un dolore sordo. E se andavi a parlare con i più giovani, con i ragazzi, la frase era sempre la stessa: «non potevamo che essere qui, ma non abbiamo nulla contro il partito democratico. Pensiamo soltanto che noi siamo diversi. Strada assieme, ma distinti. E uno sguardo attento, partecipe, e coinvolto verso le altre sinistre».
Ma qui sta il nodo. Come si sussurra scherzosamente tra i promotori della Sinistra Democratica: fatto il matrimonio, bisogna stabilire quale sarà il corteo nuziale. Un corteo ricco e controverso, che rischia di diventare una corsa per chi arriva prima all’altare, e ai primi posti in chiesa.
Rifondazione guarda interessata seppur immobile. Diliberto è più nervoso. I Verdi a Genova lo hanno detto chiaro: noi sinistra ambientalista, patto per il clima. E cosa accadrà perché ognuna di queste sinistre possa darsi un’immagine più forte delle altre, un’idea che faccia sì che possano essere riconosciute?
Ieri, le parole d’ordine erano quattro: ambiente (in condominio con i verdi), questione morale, diritti civili, giustizia sociale. Con un accento preminente sulla questione morale.
Gian Antonio Stella raccontava soddisfatto a un gruppo nutrito di neo-militanti della sinistra democratica che il suo nuovo libro, scritto con Sergio Rizzo, «La Casta», sui privilegi e le spese incontrollate della politica, è andato esaurito in un solo giorno. E dopo molti neo-militanti della Sinistra Democratica commentavano: il nostro nuovo partito vorrebbe rompere questo circolo vizioso. Vorremmo non entrare mai in un libro del genere.
Sogni, dimensioni dell’utopia? Si potrebbe coniare un altro termine, mutuato da Marquez: realismo magico. Un incastro di buon senso, e ottime intenzioni, e una magia ancora tutta da mettere a punto. Da domani chi la farà la magia? Con quale alchimia tutto questo si potrà tenere assieme, che succederà se la nuova legge elettorale porterà a penalizzare i partiti più piccoli? E in che modo, di volta in volta, il popolo della sinistra saprà scegliere tra Mussi e Giordano, Diliberto o Pecoraro?
Bisognerà aspettare. Ora è tutta una storia ancora da scrivere. Con una certezza: quando si crea un vuoto, quel vuoto qualcuno lo si riempie. La domanda di sinistra è forte. I voti però, per ora, sono più o meno gli stessi. Basterà il realismo magico di Mussi e compagni?

Repubblica 6.5.07
"Scommettiamo sull'unità a sinistra"
Tutto esaurito al battesimo di "Sd". Mussi: non faremo un partitino
Messaggio al Pd: mai nemici. La freddezza dei Ds: iniziativa confusa
di Giovanna Casadio


ROMA - «Karl Marx nacque il 5 maggio del 1818, e siccome da qualche giorno siamo tutti un po´ più liberi mi permetto di fare questo nome... «. Scrosciano gli applausi alla battuta di Cesare Salvi alla convention della Sinistra democratica, che nasce nel giorno di Marx. Ovazioni ripetute quando parla Fabio Mussi, e poi Gavino Angius e alle conclusioni di Giovanni Berlinguer. Clima di entusiasmo sulle note di Bella ciao e dell´Internazionale, catino del Palacongressi dell´Eur colmo di quattromila «compagni» venuti da tutt´Italia a tenere a battesimo il movimento dei transfughi Ds, anti Partito democratico, che punta all´unità della sinistra italiana nell´orizzonte del socialismo europeo. Mussi dà le coordinate: «Non siamo sicuri di riuscirci ma, care compagne e compagni, abbiamo il dovere di provarci». E invita i militanti ad «avere cura del neonato» e a coltivare il sogno di «un partito di sinistra, anche se va fatto un passo alla volta», una grande Epinay alla Mitterrand.
Soprattutto, disegna «la sinistra al servizio della quale ci metteremo»: «La nostra sinistra sarà nuova, plurale, laica, autonoma, critica, larga, di governo... non sono sicuro del successo perché vedo gli ostacoli ma ci dobbiamo tentare». E rassicura i Ds e Prodi: «La Sinistra democratica guarderà al Pd non come un nemico ma come un alleato, noi non saremo mai quelli delle mani libere nell´alleanza». Nessun estremismo, perché «estremista è la guerra, estremista è il Family day contro i Dico... «. Ad ascoltare in prima fila i leader di sinistra, Franco Giordano di Prc e Oliviero Diliberto del Pdci, Enrico Boselli dello Sdi, Rita Bernardini dei Radicali e Angelo Bonelli per i Verdi. C´è anche il dielle Willer Bordon. A tutti, Mussi e Angius rivolgono «la scommessa dell´unità». «Noi ci siamo, acceleriamo», rispondono Prc e Pdci. «Facciamo un soggetto unitario a sinistra», incalza Giordano. «La confederazione è la strada maestra», per Diliberto. Più cauti i Verdi. Boselli decisamente prudente («Noi siamo impegnati in un altro cantiere rispetto a Rifondazione»). Del resto la questione irrisolta è lì, ineludibile: come mettere insieme Sdi e Rifondazione? Il Pse e la Sinistra europea? Mussi, a margine, replica: «Nel Pd volevano metterci insieme me e la Binetti... Non si può invece fare lavorare Boselli con Bertinotti?». Confida nella convivenza nei grandi partiti socialisti europei di liberali e radicali. Per ora Sinistra democratica resta corteggiata da tutti ma sposata con nessuno, forte della pattuglia di 35 parlamentari che si costituiranno in gruppo autonomo. Senza sconti il commento del capo della segreteria Ds, Maurizio Migliavacca: «Nasce con prospettive incerte e confuse, senza prospettiva di aggregazione». Anche Antonello Soro, il coordinatore di Dl, teme «una nuova frammentazione». Standing ovation per Achille Occhetto («Ritorno a casa, è il mio Pds»). E Mussi: «Compagni fuori dalle trincee, il mondo richiede più sinistra e socialismo oggi che in passato». Nel Pantheon di Mussi solo Enrico Berlinguer, e il «piacere dell´onestà».

Repubblica 6.5.07
Il progetto è di evitare "matrimoni" fino al 2009. Poi alle europee una lista modello-Ulivo
In prima fila socialisti e comunisti gli ex diessini subito a un bivio
di Goffredo De Marchis


Il pressing di Giordano, leader di Rifondazione: "Dobbiamo costruire immediatamente un patto d´azione E lasciamo perdere l´identità"
In platea Cossutta e Occhetto, Curzi e Parlato, perfino l´ex generale Angioni. Si studia il simbolo: favorita una grande "S"

ROMA - Parlare con tutto ciò che vive a sinistra del Partito democratico. E quel mondo, qui al Palazzo dei Congressi, è schierato in prima fila. Parterre di lusso per la prima convention di Sinistra democratica, i diessini che hanno mollato il Pd. E gente appollaiata sulle balconate, quattromila persone, molto entusiasmo, Bella ciao e Internazionale unici motivi della colonna sonora. Cantano tutti. Cesare Salvi, esagitato, a squarciagola, con un pugno chiuso che avrebbe tanta voglia di alzare. Ma è proprio quell´eterogenea lista di ospiti illustri il primo banco di prova di Sd. Oliviero Diliberto mette il dito nella piaga: «Tra Mussi e Angius ho sentito sfumature diverse. Spero che questa frattura si ricomponga in fretta. Io rinuncio pure all´aggettivo comunista in nome di una sinistra unita. Ma se mi dicono che devo diventare socialista, si abbassa la saracinesca e buonanotte». Franco Giordano sembra quasi stringere all´angolo i transfughi della Quercia, vuole che il matrimonio si faccia subito e venga consumato la notte stessa, secondo la tradizione. «I socialisti di Boselli stanno facendo una cosa diversa, la Costituente socialista. Noi non c´entriamo niente. Con Mussi invece c´è un´affinità totale e dobbiamo costruire immediatamente un patto d´azione comune sulle prossime scadenze». Contratti, precarietà, pensioni, questi i punti chiave di un´agenda insieme.
Dunque: Sinistra democratica ha già di fronte un bivio identitario. «Se partiamo dall´identità è finita», osserva Giordano. Appunto. Sd è stretta tra socialisti e comunisti, è un movimento che ha stabilito di stare al centro di questo mondo, ma che prima o poi sarà chiamato a scegliere. O a non farlo. Per evitare la clamorosa scissione di un´operazione che dovrebbe essere d´unità, Sd forse sarà costretta a presentarsi da sola alle amministrative del 2008 e anche alle europee del 2009. Insomma, a stare in mezzo al guado per un bel po´ di tempo, almeno fino alle prossime politiche. Ma si lavora anche a un´altra soluzione per il 2009: una lista unitaria, sul modello dell´Ulivo. E dopo il voto ognuno con il suo gruppo, chi con il Pse, chi con la sinistra europea.
Ma c´è chi va più veloce. Cesare Salvi, che sarà il capogruppo di Sd al Senato, ha avviato da tempo un´intesa con Rifondazione. «Con loro, con i Verdi e il Pdci dovremo costruire anche un coordinamento parlamentare. E decidere insieme sui provvedimenti più importanti», dice il braccio destro di Salvi, Luciano Pettinari. È quello che chiede Giordano, un fatto concreto da subito, dal momento in cui verranno costituiti i nuovi gruppi. Mussi continua a tenersi aperte tutte le porte.
Per il momento il nome di Sd ha un´appendice "per il socialismo europeo". I leader, con i grafici, stanno studiando il simbolo. È stata esclusa la botanica ed è invece favorita una grande "S" stilizzata. S come sinistra. E basta. Angius, nel suo intervento, ha toccato le corde dei sentimenti socialisti. «Ho ammirato il loro orgoglio al congresso di Fiuggi. Hanno resistito alla bufera e all´isolamento», ha detto strappando applausi. E ha insistito sulla «distinta peculiarità tra le forze riformiste e laiche» e le forze più estreme. Enrico Boselli ha molto apprezzato. Ma Angius ha riconosciuto i passi avanti di Prc e Pdci, li ha elogiati e su questo riconoscimento c´è una base comune per partire con Mussi verso il nuovo partito.
Certo, il gruppo dirigente del nuovo movimento ha motivi di sorridere. La sala è piena di nemici o delusi del Pd. Curzi, Cremaschi Bordon, Valentino Parlato, Diego Novelli, Caldarola, Occhetto, Cossutta, Chiarante, Tortorella, Folena. Perfino l´ex generale Angioni. Una Babele di storie e di culture. Ma davvero un pezzo grande della sinistra italiana. In un angolo Maria Antonietta Coscioni, presidente dei radicali, studiava la situazione. Accanto a lei lo scrittore Fulvio Abbate sorrideva: «Finalmente un partito dove si potrà litigare».
I numeri di Sd invece di diminuire, come prevedeva il Botteghino, per il momento crescono. Dodici senatori per il gruppo di Palazzo Madama, 24 e forse più per Montecitorio. Dove Valdo Spini è in pole position per il ruolo di presidente, ma Fulvia Bandoli dalla tribuna ieri ha mandato un avvertimento: «Le donne del nostro gruppo hanno anche un´esperienza di direzione». Confusi e felici, potrebbe essere la canzone per sintetizzare il parto di Sd. Ma è chiaro che da domani i Ds che aderiscono al Partito democratico dovranno rilanciare il loro essere di sinistra.

Corriere della Sera 6.5.07
La leggenda delle Sirene
Canto d’amore Incanto fatale
di Giorgio Montefoschi


Nel mondo antico, e poi per molti secoli a venire, fino alle soglie dei giorni nostri, non era inusuale imbattersi nelle Sirene, le protagoniste del fascinoso libro di Maurizio Bettini e Luigi Spina Il mito delle Sirene (Einaudi, pp. 268, € 22), o quantomeno ascoltare il loro ineffabile canto. Figlie di una Musa o della Madre Terra, e del fiume Acheloo con ogni probabilità, queste creature ibride, per metà splendide fanciulle e per metà pesce o uccello, abitavano l'isola di Anthemoessa lungo le coste del Tirreno, ma potevano apparire ovunque: sorgere dai flutti più bui dell'oceano come dalle acque cristalline di una piccola baia siciliana alle falde dell'Etna, alle foci dei fiumi come ai confini del mondo. Il loro canto, divino, conteneva la morte. Infatti, era un canto talmente dolce e seducente, che chi si fermava ad ascoltarlo perdeva la ragione, dimenticava di mangiare e bere, voleva ascoltare, ascoltare soltanto, immergersi in quel canto, diventare quel canto, e pian piano in quel canto veniva risucchiato, consumato, distrutto. «C'è un promontorio dalle parti d'Italia — racconta Ulisse, con le parole di Maurizio Bettini, al ragazzo che ha incontrato nel suo ultimo viaggio — che si tuffa nel mare profondo. La roccia è cava e dentro ci risuona l'onda, pare una musica di flauti: è il mare più azzurro che abbia mai visto, la riva è verde come questi prati, piena di fiori colorati, ma tutto intorno marciscono cadaveri di uomini. Crani nudi, ossa spolpate, pelli che avvizziscono… Circe mi aveva avvertito: non fermarti sulla riva delle Sirene! Loro cercheranno di stregarti, hanno una voce che incanta, ma tu vai oltre, non ascoltarle; perché, se ti fermerai, morirai, e anche il tuo corpo avvizzirà sulla riva del mare».
Prima di Ulisse, le Sirene le aveva viste Orfeo, tornando con la nave degli Argonauti dalla Colchide, come nelle Argonautiche racconta Apollonio Rodio. Nel X libro della Repubblica di Platone, le Sirene appaiono quali custodi delle otto sfere celesti. Mentre il viaggio di Alessandro Magno era al termine, apparvero delle donne bellissime che vivevano nell'acqua come pesci. Non resistendo alla tentazione, i soldati del re macedone si calarono tra le onde e, stretti in un abbraccio che presto si sarebbe rivelato mortale, godettero dell'amore.
Certamente, l'incontro di Ulisse con le Sirene è uno degli episodi più affascinanti non solo dell'Odissea, ma di tutta la letteratura classica. Siamo nel XII canto. È notte: di fronte al re dei Feaci, la sua famiglia e i suoi sudditi, Ulisse sta per terminare il racconto delle straordinarie avventure che, dopo l'incendio di Troia, lo hanno condotto fin lì: nelle sue parole, talvolta interrotte dal pianto, gli ascoltatori muti e trepidanti hanno riconosciuto il sentimento oscuro della colpa e le pericolose tentazioni dell'oblio, la desolazione e il coraggio, l'astuzia e il dolore, la speranza e l'assenza di ogni speranza, le infinite seduzioni della natura e la collera degli dei. Manca, a questo quadro che riassume il mondo, il canto divino che i poeti ciechi — se hanno purezza e fortuna — possono soltanto accogliere e, quale pallido riflesso di quella voce, restituire, magari. È il canto delle Sirene.
Vediamo la scena. La nave è partita all'alba. Ulisse è stato ammaestrato da Circe: chi ascolta «ignaro» il canto delle Sirene va incontro a sicura morte. Viene il meriggio, il momento delle apparizioni; l'acqua è immobile; i marinai calano le vele. In quel momento, si ode la voce delle Sirene. «Vieni, glorioso Ulisse — dicono — ferma la tua nave, nessuno si allontana di qui senza aver ascoltato il suono di miele delle nostre labbra». Ulisse freme, poiché è l'unico a sentire questa voce, avendo tappato le orecchie dei suoi compagni con la cera; vorrebbe sciogliere le corde che lo legano all'albero; ma i compagni, ammaestrati, non ubbidiscono. La nave, dunque, va oltre. La sua vita è salva.
Cosa cantavano le Sirene? Al termine del suo racconto, Maurizio Bettini fa dire a Ulisse che lui in quel canto ha riconosciuto le voci di tutte le donne che ha amato,insomma la voce dell'amore: un amore che però si trasfigura, va oltre il tempo e ci illude che la morte non esista. Poi, con un passaggio parecchio ardito, sostiene che chi ferma la sua nave e scende a terra — in altri termini: chi vuole porre se stesso a confronto con l'amore senza confini — non può che soccombere. Ne La mente colorata, Pietro Citati pone l'accento sulla conoscenza. Ulisse conosce, non è «ignaro», perché è stato istruito da Circe: «Non pretende di ascoltare indifeso il fascino mortale della poesia». Per «trarre gioia e sapienza dal canto delle Sirene», per godere di quel piacere totale dell'anima e del corpo, deve istituire una distanza: la distanza della mente, nella quale ricompone il canto divino, garantendo insieme la propria libertà.
Le due interpretazioni, parimenti suggestive, non si contraddicono affatto. L'uomo non può competere con il canto divino, col «grido appassionato e ultraterreno» che, ci ricorda Luigi Spina, i marinai di
Moby Dick credettero di ascoltare nella profonda oscurità che precede l'alba. Neppure può coltivare la stolta pretesa di decifrarlo. Tutt'al più può sentire la nostalgia di questo canto. E, magari, pensare che questa nostalgia sia il pallido riflesso di un'altra nostalgia: la Nostalgia vera, che ci riporta all'inizio di ogni avventura e di ogni racconto.

sabato 5 maggio 2007

Latina Oggi 5.5.07
Religiosi e scienziati a convegno al Parco dei Principi
Bioetica ed embrione
Fagioli: Ci vuole la nascita, il vagito, per avere la vita umana


«Bioetica, Cellule Staminali, Embrione Umano: il Pensiero Religioso e Laico», questo il tema della tavola rotonda che si è svolta presso l’Hotel Parco dei Principi a Roma nell’ambito del congresso «Cord Blood Transplant European Conference» di cui Franco Mandelli è presidente onorario. L’incontro è stato coordinato dall’ematologo Lucio Luzzatto dell’Istituto Toscano Tumori di Firenze e da William Arcese, tre gli esponenti religiosi: don Andrea Manto, docente di Teologia Morale della Pontificia Università Lateranense; Riccardo Di Segni, Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma; l’ambasciatore Mario Scialoja, membro del Centro culturale Islamico; poi lo psichiatra Massimo Fagioli a cui fa capo la Scuola Romana di Psichiatria e Psicoterapia, Analisi Collettiva, il filosofo Eugenio Lecaldano ed il bioeticista Maurizio Mori. «Ci vuole la nascita, il vagito, il respiro per avere la vita umana: è solo alla nascita che si attiva e si forma per la stimolazione della retina da parte della luce il pensiero umano non ancora verbale ma fatto di immagini - ha affermato Fagioli- E l’importanza della formazione della retina che è la parte della sostanza cerebrale più esposta all’esterno è dimostrata dal fatto - ha evidenziato – che è solo a partire dalla 24esima settimana (il sesto mese) che ‘il feto ha possibilità di vita’ proprio perché è da quel momento che la retina è formata. Lo spartiacque è netto tra due impostazioni inconciliabili: l’inizio della vita umana ‘fin dal concepimento’, come ribadisce don Manto e l’inizio della vita umana “alla nascita: prima il feto è vitale - aggiunge Fagioli - non vivo ma lo diventa solo quando si forma dal substrato biologico il pensiero».

Il Riformista Lettere 5.5.07
Scomunicatemi

Caro direttore, sono arrivato a una conclusione: vorrei essere scomunicato dalla Chiesa cattolica. Con la mia compagna ho formato una coppia di fatto; siamo atei, siamo a favore della contraccezione, dell’amniocentesi, della fecondazione assistita ed eterologa, dell’aborto, della ricerca sulle cellule staminali embrionali, dell’eutanasia. Preferiamo pensare, invece di credere. E pensiamo a una nascita umana sana, senza perversioni e senza peccato originale. Siamo convinti che la Chiesa non si sia mai evoluta, se non perché costretta dagli Stati laici, come il nostro non sembra essere più. Riteniamo, ugualmente, che il clero sia una lobby, un potere politico-economico; e che il Vaticano sia uno Stato come un altro, con le sue regole, il suo territorio, le sue brame di espansione. E nemmeno chiediamo che si torni “alle origini”, come si dice: a Gesù, a san Francesco o alla madonna; perché per noi essi sono astrazioni, figure mitologiche, né più né meno di Giove, Bacco e Artemide. Perciò vogliamo starne fuori: se la Chiesa parla a nome dei cristiani, non parlerà più a nome nostro. Vogliamo pensare alle donne e agli uomini come noi, occuparci dei nostri bisogni e delle nostre esigenze di esseri umani, fatti di psiche e di biologia e nati non prima di aver visto la luce con i nostri occhi. Può bastare? A chi devo rivolgermi per formalizzare la questione?
Paolo Izzo, Roma


D di Repubblica 5.5.07
IN VOLO CON LA MIA NEVROSI
di Chiara Dino


Qualcuno lo fa per un trasferimento, altri per avere più privacy o perché hanno trovato il terapeuta ideale. Dilaga la cura lontano da casa: in un'altra città, un altro Paese un altro "mondo"

Il viaggio dentro il suo inconscio parte tutte le domeniche mattina dalla stazione di Liverpool Street. Passa da Stansted, fa tappa a Roma Fiumicino e si conclude intorno alla mezzanotte del lunedì successivo là dove era iniziato, sui binari del treno navetta che collega l'aeroporto low cost di Londra al centro città. Francesca, trentasei anni, romana, è andata a vivere a Chelsea tre mesi fa. Ha deciso così, quasi di punto in bianco. «Ho cercato un nuovo lavoro lì perché volevo dare una scossa alla mia vita, e sono andata via senza rimpianti o lacerazioni ma con una sola certezza: non avevo alcuna intenzione di interrompere la relazione, da poco avviata, con la mia nuova psicoterapeuta. Era troppo importante, forse la più importante che coltivavo da qualche tempo a Roma. L'unico ostacolo che si poneva tra me e questo progetto era di ordine economico. Così ho preso la calcolatrice per capire con quali fondi far fronte a 1200 euro di spese mensili per continuare l'analisi in trasferta. Non è stato particolarmente ditticile: ho abolito gli spostamenti in taxi e un po' di impe gni serali, ho affittato la mia casa e ho iniziato a fare su e giù con aerei a tariffe stracciate». Ma ne valeva la pena? «Si» risponde senza esitazione. «Non avrei potuto fare altrimenti. In passato avevo già fatto tre anni di colloqui settimanali senza risultati soddisfacenti. Adesso è diverso, perché sento di aver incontrato la persona giusta, è una questione di pelle e d'intuito».
Dopo un'esperienza con uno psicologo della Gestalt. Francesca ha scelto di mettersi nelle mani di una dottoressa che segue la scuola di Massimo Fagioli.
«Potrà sembrare una sciocchezza», prosegue, «ma lo sforzo economico e fisico che questa decisione implica, perfino mi carica, mi dà la misura del mio investimento sulla terapia. Con il risultato che adesso la sento decisamente più efficace. È come se mi lavorasse dentro, più in profondità. Come se il viaggio, l'attesa, la fatica, i sacrifici economici sono diventati parte integrante della cura».
Massimo sforzo per massimo rendimento, dunque, per una scelta che può apparire elitaria e invece è diffusa, e soprattutto in crescita costante: non solo per i motivi personali che ne sono alla base, ma perché nell'era della mobilità globale anche la psicoterapia ha dovuto adeguarsi.
«Il 50 per cento dei miei pazienti viene da fuori», spiega il professor Antonino Ferro, psichiatra e analista freudiano che lavora a Pavia. Il dato è spiazzante, anche se chi è del ramo sa che lui è un fuoriclasse del lettino, richiestissimo in Italia e anche all'estero. Il pendolarismo dei nostri pazienti è un fenomeno molto frequente, soprattutto da qualche anno a questa parte, per una serie di ragioni», aggiunge il professor Ferro.
Un viaggio simbolico
«All'interno del percorso terapeutico, il viaggio ha innanzitutto una valenza simbolica profonda: intraprendere un lavoro sul proprio inconscio significa muoversi in un territorio sconosciuto, che riserva le stesse sorprese di uno spostamento fisico. Molti dei miei assistiti scelgono deliberatamente di venire da fuori, anche da molto lontano, per confrontarsi con un nuovo panorama di relazioni, per uscire dall'ordinario, magari per ragioni di privacy. Spesso affidarsi a un professionista conosciuto, distante dalla propria città, è un pretesto per tirarsi fuori da dinamiche che non si tollerano più». Quasi fosse un fuga, dunque? «In un certo senso sì, se l'obiettivo profondo, e tante volte inconscio, è quello di affrancarsi da pesanti condizionamenti ambientali».
Interrogarsi “a distanza"
Il panorama dei pendolari della psicoterapia, pero, non si ferma qui. Molti di loro sono persone costrette a cambiare sede di lavoro quando la terapia è già ampiamente avviata. In questi casi il paziente si trova in reale difficoltà. Affrontare il distacco dall'analista in momenti come questi, già difficili per le novità che il trasferimento costringe a gestire, potrebbe risultare molto traumatico. E la ragione è chiara: interrompere un rapporto significativo di intimità e affidamento, per di più in un periodo stressante, potrebbe avere conseguenze pesanti. «La psicoterapia», aggiunge a questo proposito Aldo Cono Barnà, psicologo romano di scuola freudiana, «non è un viaggio alla scoperta del proprio inconscio fine a se stesso, ma un percorso che deve portare alla concreta risoluzione di problemi reali. Ecco perché interromperla per input esterni può essere doloroso e dannoso. un problema di una consistente gravità, in un certo senso un lutto. La fine di un percorso terapeutico rappresenta un momento molto delicato, che va preparato per tempo e deciso insieme al paziente».
Insomma, secondo il professor Cono Barnà non è pensabile interrompere in maniera brusca la terapia specialmente quando si è costretti in modo repentino a modificare le proprie abitudini.
Il punto è che, visto che da qualche anno a questa parte la mobilità professionale è in notevole crescita, anche i forzati del lettino si stanno attrezzando per lavorare sulle proprie emozioni a distanza e in trasferta.
E quanto è accaduto a Deborah, palermitana trapiantata a Milano, che ha scelto di fare su e giù per lo stivale per proseguire il suo lavoro analitico. «Che il rapporto tra l'analista e il suo paziente sia speciale lo si sa», dice, «ma ciò che succede se la vita ti porta improvvisamente a dover cambiare città è qualcosa di molto particolare. Io non ho mai pensato di sospendere la terapia. E anche l'idea di cambiare analista mi sembrava difficile e incauta. Così, d'accordo con la mia dottoressa, ho deciso di proseguire con lei, incontrandoci una volta al mese e non più settimanalmente. Le cose, certo, sono cambiate. Non ho più un feedback continuo rispetto alle mie emozioni, anche se per i momenti particolarmente delicati c'è pur sempre il telefono. Comunque la cosa funziona egualmente. Ho anche comprato un blocchetto dove annotare gli “eventi" che ritengo importante condividere con lei. Ma soprattutto è cambiata la mia relazione con Palermo. Ho smesso di tornarci per Pasqua e Natale, adeguandomi alle esigenze di genitori e parenti: ho capito che il mio riferimento principale in quella città era la mia dottoressa».
È un'affermazione forte, quella di Deborah, che ribalta il normale ordine delle priorità affettive. Ma che ha una ragion d'essere e una spiegazione precisa, secondo Massimo Purpura, psichiatra e analista romano. «ll terapeuta», spiega, «è colui che cerca di sciogliere alcuni nodi della vita del paziente. Svolgendo questa funzione, acquista una posizione centrale nella sua vita. Il momento della terapia dovrebbe diventare qualcosa di molto caldo, un contesto che un po' ti protegge, un po' ti consente di esprimerti. Nella situazione attuale delle relazioni sociali non è semplice trovare tutto ciò naturalmente. Alcuni contenitori tradizionali, come la famiglia, il gruppo di amici, il quartiere, o anche alcune figure che tradizionalmente potevano svolgere questa funzione penso alla triade parroco, maresciallo dei carabinieri, medico condotto sono assolutamente fuori tempo. Quindi si sente sempre più il bisogno di ricorrere ad altre protesi».
Ma, se si esclude i fenomeno del pendolarismo forzato, legato a repentini mutamenti della sede di lavoro, che bisogno c'è di cercare queste "protesi" lontano da dove si vive?
Manager in incognito
«Moltissimi miei assistiti», chiarisce a questo proposito la dottoressa Antonella Spagnuolo, consulente bioenergetica milanese, «sono approdati da me pur vivendo in città diverse, per libera scelta: si vergognavano di seguire questo percorso tra la propria gente. Tempo fa ho curato un signore torinese di una certa età. Era venuto da me perché temeva le reazioni dei suoi familiari di fronte alla sua decisione di fare una terapia di questo genere. Certamente aveva una forma di "screzio paranoideo", vedeva, cioè, persecuzioni laddove non ce n'erano. Così, in corso d'opera, abbiamo affrontato anche questo problema e pian piano abbiamo risolto il suo disagio». La sua non è una storia isolata: sono in tanti, secondo la dottoressa Spagnuolo, quelli che invocano ragioni di privacy per cercare uno psicoterapeuta lontano dal proprio ambiente. «Accade di frequente», spiega, «fra manager e dirigenti d'azienda soprattutto. In generale chi ricopre ruoli direttivi tende a preservare la sua immagine pubblica e ritiene che mantenere il segreto sulle sue eventuali fragilità emotive sia funzionale a una maggior credibilità professionale».
Di pazienti così è pieno anche lo studio di Luciano Marchino, un altro terapeuta milanese che si rifà alla corrente bioenergetica: «In questo periodo», racconta, «sto seguendo delle persone che arrivano da Bolzano, da Verona e da Genova. In passato ho avuto tanti pazienti del Sud. Se dovessi fare una statistica potrei dire che il 70 per cento dei miei pazienti è milanese e ii 30 viene da fuori. Accade molto frequentemente che la gente si sobbarchi anche svariate ore di viaggio per trovare la persona che fa al caso proprio. Tanti anni fa anch'io l'ho fatto». Dal 1978 al 1981, il dottor Marchino ha fatto su e giù da Milano a Roma tutte le settimane. «Allora il solo viaggio, fra andata e ritorno, durava quattordici ore piene. Era stressante e molto impegnativo. Ma durante quei quattro anni non avrei potuto fare diversamente. Quegli incontri settimanali per me erano indispensabili. Dopo l'esperienza romana ho fatto ancora nove anni di analisi a Luino. Più vicino, ma pur sempre in trasferta».
La sua esperienza è quasi analoga a quella raccontata da Ferdinando Camon nel suo celeberrimo libro La Malattia chiamata uomo. E per chi è impegnato in un processo di psicoterapia è un'ottima lettura, anche perché il processo d'identificazione, che inevitabilmente scatta nel lettore, è benevolmente mente funzionale al lavoro che si fa in quella situazione terapia. Anche lì il protagonista-scrittore racconta di lunghi viaggi trascorsi in attesa di sdraiarsi lettino del suo analista, conditi da un po' d'ansia e tante aspettative.
Proprio com'è accaduto al dottor Marchino. Che aggiunge: «Allora ero molto giovane, e i pochi soldi di cui disponevo li spendevo tutti per l'analisi. Ricordo che vedevo partire i miei amici per vacanze estive, mentre io restavo a Milano perché ero in bolletta. Ma non o mai avuto ripensamenti o alcun dubbio di sorta».
«So che può sembrare una forzatura investire tanti soldi per fare analisi in trasferta», spiega la dottoressa Anna Ferruta, segretaria scientifica dell'istituto milanese di Psicoanalisi. «Ma in realtà avere una vita psichica sana è un presupposto fondamentale per vivere, amare e lavorare in modo equilibrato e soddisfacente».
E poi, come suggerisce ancora la dottoressa Ferruta, il viaggio in questo ambito ha sempre avuto anche una radice professionale e storica. «Dopo la pubblicazione di L'interpretazione dei sogni, in tanti andarono a Vienna per imparare da Sigmund Freud i principi cardine della psicoanalisi. E tuttora l'analisi formativa, quella che è tenuto a fare chi poi vuoi diventare a sua volta analista, implica spesso uno spostamento. Ma in questo caso chi si sottopone alla terapia è anche in cerca di un maestro».
È però anche vero che, per facilitare questo percorso verso la professione, le scuole di specialità stanno aprendo sedi in tutta Italia, cercando di far spostare i formatori ed evitando così "esodi" eccessivi e troppo onerosi.
Ultima postilla: «Un rapporto di psicoterapia profonda», suggerisce il professor Cono Barnà, «va misurato come un impegno di tre o quattro anni». Si tratta di un legame lungo, sicuramente più della media, che non dovrebbe essere interrotto. Forse uno dei pochi realmente duraturi in una società dove tutto il resto si presenta sempre più fluido e incerto.

l’Unità 5.5.07
Nasce oggi Sinistra democratica
Attese a Roma cinquemila persone


Nasce oggi “Sinistra democratica per il socialismo europeo”, il movimento politico targato Mussi-Angius-Salvi. L’appuntamento è per oggi pomeriggio al Palazzo dei Congressi dell’Eur, a Roma. Sono attese tra le quattro e le cinquemila persone da tutta Italia. Aprirà i lavori Mussi, mentre le conclusioni saranno affidate a Giovanni Berlinguer. Sul palco si alterneranno i protagonisti del nuovo movimento e prenderanno la parola anche diversi intellettuali. Interverrà Massimo Salvadori ma ci saranno anche Paolo Leon, Mario Morcellini, Giacomo Marramao, Michele Prospero, Luciano Gallino, Stefano Rodotà, Carlo Flamigni. È certo che nelle prime file ci saranno il leader dello Sdi Enrico Boselli, il segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano, quello del Pdci Oliviero Diliberto. Non ci sarà Alfonso Pecoraro Scanio, impegnato in una kermesse del partito a Genova, ma i Verdi saranno comunque presenti con una loro delegazione. Non mancherà la Fiom e diversi delegati sindacali, mentre a fare da anello di congiunzione tra il “vecchio” e il “nuovo” ci penseranno Aldo Tortorella, Achille Occhetto, Armando Cossutta.

l’Unità 5.5.07
Questa volta l’unità della sinistra si può fare davvero
di Pietro Folena


Caro direttore,
vorrei, dalle pagine dell’Unità, rivolgere un saluto e una serie di considerazioni alle compagne e ai compagni della Sinistra Democratica che oggi si riuniscono al Palaeur, con i quali ho condiviso tanta parte delle battaglie degli ultimi anni e sono sicuro condividerò anche tanti prossimi impegni. Proprio di questo voglio parlare. Credo che la scelta di uscire dai Ds per dare vita ad un movimento autonomo che si considera transitorio e si pone esplicitamente l’obiettivo di unire la sinistra sia una scelta felice e utile a tutti noi.
Credo anche che occorra accelerare sul terreno dell’unità. Avverto il peso e la responsabilità che i dirigenti della sinistra hanno nei confronti degli elettori, dei lavoratori, dei giovani precari, di tutti coloro che vogliamo rappresentare. Non dobbiamo sprecare questa occasione.
Alcuni passi, importanti, sono stati fatti o si stanno compiendo: penso soprattutto all’iniziativa di coordinare i gruppi parlamentari, tanto in Italia quanto in Europa. Noi, nell’assemblea di Uniti a Sinistra a cui ha partecipato anche Fabio Mussi, abbiamo proposto un ulteriore passo avanti: la riunione di una assemblea di tutti gli eletti della sinistra nel parlamento che strutturi il coordinamento e gli dia una base democratica. Un’assemblea che torni a riunirsi spesso per affrontare i temi dell’agenda politica e di governo, a partire dai «dossier» aperti (penso alle pensioni, al «tesoretto», alla politica internazionale). Una «massa critica» parlamentare in grado di influenzare l’azione di governo. Parimenti, a livello regionale e locale, analoghi coordinamenti e assemblee dovrebbero realizzarsi ovunque. Voglio dirlo esplicitamente: qualcosa che prefiguri la nuova forza politica che dobbiamo costruire.
In secondo luogo, credo sia necessario sin d’ora stringere un «patto d’onore» di fronte ai nostri elettori: alle prossime elezioni di carattere generale e, perché no, anche nelle elezioni amministrative del prossimo anno, la sinistra dovrà presentarsi unita, in un’unica lista, alleata con il partito democratico ma anche concorrente con esso. Questo patto credo possa essere un segnale di impegno e di serietà verso il nostro popolo.
Infine, ma non per ultimo, anzi per prima cosa, occorre mettere in piedi il «cantiere» della sinistra, magari attraverso una grande assemblea nel prossimo autunno che si configuri come dei veri «stati generali» della sinistra ai quali convocare non solo i partiti ma anche i tantissimi movimenti e associazioni territoriali e nazionali in cui tanta parte della militanza politico-sociale oramai si esprime.
Oggi nasce Sinistra Democratica. L’11 Uniti a sinistra, Ars e Rossoverdi si uniranno in un movimento per l’unità della sinistra. In giugno nascerà la Sinistra europea in Italia. I Verdi a Genova discutono di un terreno unitario a sinistra. Dal congresso del Pdci arrivano forti segnali nella stessa direzione. Sappiamo tutti, voi più grandi e noi più piccoli, di essere parziali e transeunti. Ognuno importante per l’esperienza che porta, ma parte di un progetto più ampio. Questa consapevolezza unita al senso di responsabilità verso i nostri militanti ed elettori, mi auguro possa essere il viatico per dare al Paese, non a noi, ma al Paese, ai lavoratori, alle giovani generazioni, una «sinistra senza aggettivi», ma con un sostantivo impegnativo: il nuovo socialismo. Anche per questo occorre non anteporre all’obiettivo dell’unità le nostre appartenenze internazionali, le nostre bandiere parziali, consapevoli che anch’esse sono in via di ridefinizione, tant’è che proprio dai gruppi europei arriva un segnale di unità tra le componenti della sinistra, ovunque collocate. Può nascere così un incontro tra famiglie diverse ma affini che noi, dall’Italia, dobbiamo avere l’ambizione di favorire. Stavolta l’unità della sinistra si deve fare. Abbiamo il dovere di essere all’altezza della sfida.

l’Unità 5.5.07
Laici, democratici e socialisti: la «terza mozione» si organizza


La fase costituente del Partito democratico è all’inizio, ma intanto è nata l’area «laica, democratica e socialista», composta da tutti quegli esponenti della terza mozione del congresso dei Ds di Firenze che hanno deciso di non seguire Angius ma di rimanere nel Pd. La nuova componente, che ieri ha deciso di darsi una piattaforma politica e organizzativa è guidata da Massimo Brutti che insieme a Mauro Zani e Sergio Gentili ha scelto di dar battaglia nella fase costituente del nuovo partito per rafforzare la componente socialista. L’obiettivo è riprendere le richieste già avanzate al congresso di Firenze in favore di una collocazione del nuovo partito nel Pse e di una riscrittura del manifesto di Orvieto che è stato assunto come documento base per la fase costituente.
Alla riunione di fondazione della nuova e prima corrente del nuovo partito (ma i diretti interessati negano che di vera e propria corrente si tratti) hanno partecipato tutti i coordinatori regionali della terza mozione tranne due che sono andati con Angius. «Abbiamo deciso - ha spiegato Brutti - di condurre una battaglia politica dentro la fase costituente con le nostre posizioni che abbiamo definito in un documento votato all’unanimità». L’idea è di creare una corrente che viene definita «laica, democratica e socialista» organizzata all’interno del Pd e un’associazione rivolta all’esterno.

l’Unità 5.5.07
Mussi: non un partito ma un movimento, aperto al dialogo con tutti
di Eduardo Di Blasi


«LAVORIAMO a un grande progetto ambientalista, laico e progressista che superi il 5%. Un progetto che stia dentro una grande alleanza progressista, che non sia costretto in un recinto di radicalità, e che ambisca a raccogliere il 20% dell’elettorato». È l’obiettivo che il ministro dell’Ambiente e presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio annuncia al Palazzo Ducale di Genova, in occasione della Conferenza nazionale del proprio partito. Un obiettivo che fonda su due pilastri. Il primo è il «patto per il clima», un documento scritto dal capogruppo alla Camera Angelo Bonelli e sottoscritto, tra gli altri, da Jeremy Rifkin, Carlo Rubbia, Stefano Rodotà, Alberto Asor Rosa, Carlo Petrini, e, giusto ieri, Fabio Mussi. Il secondo è una «costituente ecologista» che, le parole sono sempre di Bonelli, «si riunisca nel 2008 e sia composta al 50% da delegati Verdi e per l’altro 50% da associazioni, da cittadini, da chi crederà in questo progetto». Sono passaggi in parte già stabiliti al congresso di Fiuggi di pochi mesi fa ma, in questa fase di ricomposizione delle forze politiche, sono guardati con altri occhi.
Ieri, a Genova, c’era infatti anche Fabio Mussi, altro «costituente a sinistra» di questo delicato passaggio. Oggi Mussi presenterà a Roma il movimento «Sinistra Democratica». Ieri, a Genova, dopo aver sottoscritto il «patto per il clima», ha discusso della nuova creatura che sta nascendo. «Sarà un movimento ma non un partito - ha detto - perché non abbiamo intenzione di correre da soli alle elezioni». Un movimento che «per ora è interessato al dialogo con tutti, che si mette a disposizione di un progetto di unità della sinistra italiana, che avverrà per gradi nelle forme che sarà possibile e converremo con tutte le forze». Lo spazio politico, confida Mussi, c’è: «Non basta dire, come fa il mio amico Bersani, che la sinistra esiste in natura, bisogna darle anche rappresentanza politica». Sulle cifre, come sulle alleanze, non si sbilancia. E a chi lo informa sugli obiettivi posti da Pecoraro Scanio, risponde: «Vuol dire che è meno scaramantico di me, anche se è napoletano».
Veniamo quindi al contenuto politico della proposta dei Verdi. Il «Patto per il clima», partendo dall’assunto che «la lotta ai cambiamenti climatici deve rappresentare una priorità nell’azione politica di ogni governo», punta a modificare «l’attuale modello di sviluppo economico e produttivo». Per dirla con Mussi, il «sistema di produzione del capitalismo non è compatibile con il pianeta Terra». Occorre una proposta politica: «Così come nell’800 le forme di produzione non erano compatibili con i diritti elementari dei lavoratori, oggi la questione ambientale richiede una riforma, anche più grande di quella che ci fu tra ’800 e ’900». Per dirla con Pecoraro Scanio «occorre legare ecologia ed economia, perché altrimenti non c’è futuro né per l’ecologia, né per l’economia». Il «patto per il clima» non si ferma però alla questione tecnico-ambientale. Parla di democrazia, di giovani, di «diversità». Non è un caso che, al palazzo Ducale siano arrivati anche Maria Antonietta Coscioni, Adele Parrillo ed Alessandro Zan (il consigliere comunale di Padova, ex Ds, che si battuto per il riconoscimento anagrafico delle coppie di fatto). Ma non solo. Ci sono anche il presidente della Regione Claudio Burlando, il sindaco di Genova Beppe Pericu e il presidente della Provincia Alessandro Repetto. Tutti impegnati nella costruzione di quel progetto che qui definiscono «di centro» e «poco attento all’ambientalismo»: il Pd. Risponde Burlando: «Il problema non è come ci definiscono. Noi siamo ciò che facciamo. Il "patto per il clima" è condivisibile in molti punti. Pensi al rafforzamento del trasporto ferroviario. Io sono d’accordo, solo che l’alta velocità non si fa. E non è colpa del Pd. Abbiamo bisogno di un grande soggetto Verde in questo Paese».

l’Unità 5.5.07
Dalla parte delle donne
di Massimo Paci


L’indagine della Commissione Affari Sociali, appena presentata in Parlamento, ha fornito un quadro aggiornato della condizione delle famiglie italiane. Due aspetti hanno attirato l’attenzione dei primi commenti: quello della crescente diversificazione dei tipi di famiglia e quello delle difficoltà economiche in cui si trovano molte famiglie, caricate tra l’altro di crescenti compiti di assistenza e di cura.
Per quanto riguarda il primo aspetto, ci limitiamo qui a sottolineare la crescita dei single non vedovi, delle famiglie monogenitoriali e delle convivenze: questi tre tipi di famiglie (senza contare quindi le famiglie «ricostituite» dopo un divorzio) costituiscono ormai quasi un quarto delle famiglie italiane. Le convivenze, in particolare, sono in forte crescita, come dimostra anche l’aumento dei figli nati fuori del matrimonio, che è stato pari al 70%. Se a questi dati si aggiunge il fatto che nuove tecnologie e nuovi modelli culturali rendono possibile oggi il matrimonio e la procreazione in fasi variabili del ciclo di vita, ci si può chiedere quanto resista ancora quella idea di «naturalità» della famiglia, come nucleo costituito da genitori in età matura e figli minori, che la ha accompagnata per tutta la sua storia e quanto la famiglia stessa non sia diventata invece una istituzione «elettiva», fondata essenzialmente sugli affetti e sulle scelte dei suoi membri.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, quello delle difficoltà economiche della famiglia, colpisce il fatto che la metà delle famiglie italiane con figli abbia un reddito mensile che non supera i 1800 euro. Sono soprattutto le famiglie numerose a cadere sotto la soglia della povertà, con il risultato che i poveri oggi in Italia sono soprattutto i bambini (e non gli anziani come spesso si crede). A questo proposito è bene ricordare che uno dei fattori principali di riduzione della povertà minorile è la presenza di un secondo reddito in famiglia (cioè il lavoro della madre): da questo punto di vista è con grande preoccupazione che si deve guardare al basso tasso di occupazione femminile nel nostro paese e a quello ancora più basso delle madri. In queste condizioni, di disagio economico e inoccupazione femminile, si comprende perché in Italia ci si sposa sempre più tardi e si fanno pochi figli (meno comunque di quelli che si vorrebbero). Anche la natalità, infatti, è collegata al reddito della famiglia e, in particolare, al lavoro della madre: per avere più nascite e meno povertà minorile è necessario dunque favorire al massimo l’occupazione delle donne.
A questo scopo, due sono gli interventi di politica sociale che appaiono fondamentali: quello a favore della diffusione di servizi per la famiglia (nidi, assistenza domiciliare per anziani, etc.) e quello del potenziamento dei congedi (durata e articolazione in più tranche per entrambi i genitori). Questo non vuol dire che i trasferimenti alla famiglia non siano importanti: essi, avendo un effetto immediato, possono svolgere una funzione complementare rispetto alla offerta di servizi, la cui introduzione e diffusione può richiedere tempo. Vuol dire però che per una strategia di investimento sociale, che voglia avere dei «ritorni» effettivi nel medio-lungo periodo, le politiche dei servizi alla famiglia e dei congedi, che favoriscono l’occupazione delle madri, sono decisamente da preferire. Persistere esclusivamente in una politica di trasferimenti alla famiglia, inoltre, potrebbe avere un effetto di conferma dell’assetto attuale della famiglia e del ruolo di casalinga della donna. Anche le politiche di incentivazione del lavoro part-time, pure essendo utili per favorire nell’immediato l’accesso al lavoro, possono avere nel medio-lungo periodo effetti di conferma del ruolo familiare della donna: non a caso nei paesi scandinavi, dopo una fase di espansione del lavoro part-time delle donne, si assiste da alcuni anni ad una sua riduzione a favore del lavoro full-time, sostenuto da servizi alla famiglia e da ampie possibilità di ricorso ai congedi. Infine è stato osservato che la diffusione delle famiglie a due redditi (con entrambi in coniugi occupati) favorisce la domanda di servizi (di assistenza, ristorazione, lavanderia, etc...), con un effetto moltiplicatore sull’occupazione totale: come dire che, perseguendo questa strategia si mette in moto anche un circolo virtuoso di creazione di occupazione aggiuntiva. In definitiva, il lavoro della donna appare essere oggi un fattore-chiave non solo per una politica di sostegno della famiglia, di incremento della fertilità e di contrasto della povertà, ma anche per lo sviluppo dei servizi e dell’occupazione.

Repubblica 5.5.07
Giordano: "No ai blitz sulle pensioni ora un patto d´azione a sinistra"
I contratti Il Cantiere con Mussi e Diliberto per affrontare la stagione dei rinnovi contrattuali
gli interventi L'età si può innalzare solo su base volontaria e con incentivi. Vanno aumentati i trattamenti minimi
di Umberto Rosso


ROMA - «Se qualcuno pensava di metterci di fronte al fatto compiuto, s´è sbagliato di grosso. Lo scalone va cancellato, bisogna tornare al limite dei 57 anni. E neanche gli scalini fanno parte del programma dell´Unione».
Segretario Giordano, sta dicendo che è stato un "ballon d´essai" per saggiare le reazioni di Rifondazione?
«Registro che, dopo le prime indiscrezioni, è subito intervenuto Prodi a stoppare le voci».
Si sente rassicurato?
«Spero che le parole del presidente del Consiglio favoriscano il pieno rispetto del programma che abbiamo sottoscritto insieme. Siamo entrati in una fase di governo molto delicata e importante, quella della redistribuzione delle risorse. Ecco perché proprio su temi delle pensioni e del lavoro dobbiamo stringere, subito, il patto d´azione a sinistra. Noi siamo pronti. Ci sono le condizioni per una larga unità».
Il cantiere della Cosa rossa.
«Per carità, non chiamatelo così. I precedenti non depongono bene, anzi, hanno avuto effetti mortiferi».
Come lo vogliamo chiamare?
«Stiamo lavorando alla costruzione di un soggetto unitario, pacifista e antiliberista, un cantiere con Mussi e Diliberto, ma aperto a tutti. Ma da subito vanno lanciate insieme iniziative concrete, sul terreno sociale, perché solo così i lavoratori potranno davvero riconoscersi nel nuovo progetto. E noi eviteremo di avvitarci in un astratto e fumoso dibattito sulle formule, ovvero la triste sorte del Pd».
L´età pensionabile non si tocca. E poi?
«L´età si può innalzare solo su base volontaria, e con incentivi. Vanno aumentate le pensioni minime. Contributi previdenziali per i giovani precari. Il nascente soggetto unitario è atteso poi ad una prova molto importante: far da sponda alla stagione dei rinnovi contrattuali, in sintonia con le organizzazioni sindacali. Anche in questo caso, il contrario di quel che fa il Partito democratico».
Fassino e Rutelli sarebbero contro i lavoratori?
«Il Partito democratico guarda ai consumatori non ai lavoratori, e in questo senso c´è stato uno strappo. Tanto che lo stesso Epifani ha dovuto prendere atto che il Pd si presenta come equidistante fra capitale e lavoro. Noi dobbiamo invece rappresentare proprio gli interessi dei lavoratori. Ed è esattamente per questa ragione che contrastiamo la linea del ministro dell´Economia».
Cos´è che non va nelle scelte di Padoa-Schioppa?
«La sua ripartizione fra risanamento e ridistribuzione. E´ arrivato il momento di un salto di qualità del governo. La crescita non può sempre risolversi a vantaggio del sistema delle imprese, incentivando la riduzione del costo del lavoro. E´ tempo, come ricorda spesso proprio il ministro Mussi, di investire sulla formazione pubblica, sulla ricerca, su un mutamento in chiave ambientalista dello sviluppo».
E serve una sinistra unita per cambiare rotta, il Pd non è in grado?
«Con la costruzione del Pd i tentativi di condizionamento della Confindustria rischiano di diventare più forti. Un soggetto neocentristra è più permeabile alle pressioni».
Mussi però è andato via dal Pd in nome del socialismo europeo. Non è "altro" rispetto a Rifondazione comunista?
«Non può essere un ostacolo, alla costruzione di una sinistra alternativa, perché nessuno chiede abiure. Le radici resteranno, per ciascuno di noi. A Fabio e ai suoi perciò mi sento di dire: coraggio compagni, è il momento di andare avanti insieme».
E se poi a Strasburgo finite divisi come Ds e Margherita, Mussi nel Pse e Rifondazione nel gruppo della sinistra radicale?
«Non succederà».
Pronti al coordinamento parlamentare della sinistra?
«Sì, e non solo alle Camere. Anche a livello locale, per affrontare insieme punti specifici nelle diverse realtà».
Intanto però già circolano malumori per ipotetici organigrammi del cantiere rosso.
«Schiocchezze. E´ l´ultimo dei problemi».
Boselli non sale sul treno del Prc. Punta alla costituente socialista, e chiede a Mussi di scegliere proprio questa convoglio.
«A Fiuggi, al congresso dello Sdi, ho apprezzato l´invito ad un confronto aperto. Solo che, al tempo stesso, volteggiava uno spirito neo-identitario, un "ritorno" alla modernizzazione capitalistica degli anni Ottanta. Gli anni di Bettino Craxi. Fra i peggiori, per l´arretramento delle condizioni nel mondo del lavoro. Vuol dire che con Boselli ci terremo il confronto, e lasceremo perdere il progetto unitario».

Repubblica 5.5.07
Ma Bertinotti cerca una sponda nell'ex correntone. Oggi il confronto alla convention di Sinistra Democratica
E Angius ora avverte Mussi "Siamo socialisti, mai col Prc"
di Goffredo de Marchis


ROMA -Gavino Angius lascia aperta una sola porta per il futuro di Sinistra democratica, la costola dei Ds che ha lasciato il partito. «Io cerco l´unità delle forze del riformismo, laiche, ambientaliste e socialiste. Questo processo - spiega il senatore - per ora esclude Rifondazione, i comunisti italiani e i Verdi. Siamo due cose diverse. Da quella parte si riaggregano le forze più estreme della sinistra, da questa i soggetti che si richiamano al socialismo». È una posizione chiara, netta, che si scontra con la politica "aperta" di Fabio Mussi e di molti altri compagni dell´ex correntone intenzionati a costruire un soggetto anche con Rifondazione. «Io e Fabio - insiste Angius - abbiamo sottoscritto un documento che parte dall´adesione al Pse. Ecco: per me lì siamo e lì rimaniamo». La Cosa rossa insomma non lo interessa. O meglio non gli appartiene.
Anche da qui dovrà cominciare il confronto all´interno di Sinistra democratica, che oggi a Roma riunisce per la prima volta la sua base. Al Palazzo dei congressi si ritroveranno più di quattromila persone, il responsabile esteri del Partito socialista spagnolo (che prenderà la parola), Franco Giordano, Oliviero Diliberto, Achille Occhetto e Enrico Boselli. Mussi ha fatto sapere che l´interlocutore di Sd non è ancora stabilito. Per Angius invece non ci sono dubbi. In quel parterre sarà il segretario dello Sdi. E Bobo Craxi, anche. «Che non è il padre», ha spiegato Angius ieri in un´assemblea a porte chiuse durante la quale si sono riuniti per la prima volta dopo il congresso gli aderenti alla sua mozione.
Angius apprezza la «riflessione nuova che si aperta in Prc e nel Pdci e penso che sia merito nostro». Va bene parlare con tutte le forze della sinistra, dice il senatore, ma con dei paletti ben definiti. L´assemblea con i militanti della sua mozione è stata animata. A qualcuno la chiusura verso Prc non piace. Ad altri non piace l´eventuale compagnia futura. In sala fanno il nome di Gianni De Michelis. «Allora io dovrei ricordare che nel Partito democratico si va dalla corrente di Ciarrapico a Lotta continua», risponde Angius.
È dunque un vero cantiere quello che si apre a sinistra del Pd. «Se noi facessimo due soggetti, uno più estremo e l´altro riformista - dice ancora Angius - sarebbe un risultato enorme. La sinistra italiana per la prima volta avrebbe due processi unitari anziché nuove scissioni». Ma questa strada non è quella che vorrebbe percorrere Giordano e tantomeno Bertinotti, che finalmente possono trovare in Mussi una sponda per fare il salto nel socialismo.
Un primo assaggio degli orientamenti di Sinistra democratica si avrà nella scelta dei capigruppo. Oggi, alla convention, verrà annunciata la formazione dei nuovi gruppi parlamentari. La loro formazione avverrà tra due-tre settimane. In corsa al Senato c´è Cesare Salvi. Alla Camera dunque toccherà a una donna guidare i deputati. Si fa il nome di Fulvia Bandoli o di Katia Zanotti. Per Montecitorio corre anche Valdo Spini. Da ieri anche il presidente onorario dell´Arcigay Franco Grillini ha aderito a Sd lasciando la Quercia, come aveva fatto qualche ora prima Roberto Barbieri.
Dopo la convention, altre scadenze. Giovedì prossimo, Giordano e Mussi partecipano a un convegno sulla figura di Olof Palme, il leader socialdemocratico svedese. Sabato si riunisce il "Cantiere" di Occhetto e di nuovo i leader di centrosinistra fuori dal Pd ci saranno tutti. La loro sfida, nelle settimane a venire, è dimostrare un´unità maggiore a quella del Partito democratico.

Repubblica 5.5.07
Quei lumi che devono guidarci
di Umberto Galimberti


Dopo la morte di Dio e dopo il crollo delle ideologie che hanno innescato la tragedie del XIX secolo, quale può essere il fondamento intellettuale e morale della nostra società? Per Tzvetan Todorov, uno degli intellettuali europei più autorevoli e più ascoltati, la risposta non può trovarsi se non ritornando all'Illuminismo, qui inteso non tanto come una corrente di pensiero o un compendio di dottrine filosofiche, quanto come una condotta, una pratica di vita, un esercizio del pensiero, da cui l'umanità, se non vuole abdicare a se stessa, non può esonerarsi. Quindi l'Illuminismo, non come teoria ma come prassi , come azione capace di ispirarsi a quelli che per Todorov sono i cinque cardini dell'Illuminismo.

L'autonomia del pensiero, innanzitutto, capace di garantire a tutti la libertà di analizzare, discutere, criticare, dubitare, al di là delle fedi, dei dogmi e delle istituzioni intoccabili. E questo perché, ce lo ricorda Kant. «L'illuminismo è l'uscita dell'uomo da una condizione di minorità di cui egli stesso è responsabile, dove per minorità si deve intendere l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di altri».

La laicità che deve essere garantita a tutti i settori della società anche da parte degli individui che aderiscono a una fede, perché senza laicità la stessa autonomia del pensiero non è più garantita e la democrazia rischia di rifluire in quel suo antecedente che è la teocrazia da cui l'illuminismo ha emancipato noi occidentali.

La verità non può essere appannaggio della fede, ma della ricerca scientifica, di cui l' Enciclopedia illuminista ha segnato il primo avvio. Tra fede e verità non c'è infatti compatibilità, perché se una cosa la "so" non la "credo", e se la credo vuol dire che non la so. Inoltre la verità scientifica è congetturale, ipotetica e disponibile a essere superata da ipotesi più esplicative. Quindi nessuna verità assoluta, ma confronto tra verità relative che si lasciano sottoporre a verifica.

L'umanità può vivere in concordia solo se nessuno pretende di essere il depositario della verità assoluta, e quindi la tolleranza che antepone la concordia degli uomini, che provengono dalle più disparate tradizioni, alla difesa delle proprie consuetudini. Sotto questo profilo anche il messaggio cristiano può essere accolto là dove con San Paolo dice: «Chi ama il prossimo ha adempiuto la Legge». Motivo questo ripreso da Franklin secondo il quale: «Il culto più gradito a Dio è fare del bene agli uomini».

L'universalità, il cui primato va rivendicato rispetto all'appartenenza all'una o all'altra società, trova la sua applicazione nella proclamazione dei "diritti dell'uomo" che sanciscono una rigorosa uguaglianza di fronte alla legge e una chiara distinzione tra diritto e morale perché, come scrive Beccaria: «I giudici non sono vindici della sensibilità degli uomini, ma dei patti che li legano tra loro». Per effetto del primato della legge non è consentito l'uso della forza fuori dall'ordinamento legislativo. E questo sia nel caso dei singoli che non devono essere torturati o messi a morte, sia nel caso della nazioni che non devono essere aggredite per pura espansione del proprio potere.

Da questi brevi spunti si capisce quanto l'Illuminismo non sia tanto la filosofia di un'epoca storica, quanto una pratica di vita e un compito etico , da cui nessuno, che tenga in qualche conto la dignità dell'uomo, può sentirsi esonerato. L'invito di Todorov è allora quello di «ricominciare tutti i giorni questa impresa, ben sapendo che non vedrà mai la fine», perché come rispondeva Kant a chi gli chiedeva se eravamo già nell'età dell'illuminismo: «No, bensì in un età in via di illuminazione».

il manifesto 5.5.07
Uniti a sinistra. Un'impresa impossibile?
di Pietro Folena e Piero Di Siena


Il compimento del percorso che porterà alla nascita della Sinistra europea, la voglia di unità che ha attraversato il congresso dei comunisti italiani, la scelta di Mussi e di Angius di dare vita a un movimento politico che, pur richiamandosi alle radici del socialismo europeo, ha il proposito di lavorare a una più vasta unità della sinistra italiana danno ragione all'intuizione che insieme - Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, Uniti a Sinistra e RossoVerdi - abbiamo avuto la scorsa estate a Orvieto quando lanciammo l'obiettivo di costruire un nuovo unitario soggetto politico della sinistra italiana.
Allora a molti, che pure erano vicini alle nostre posizioni, sembrò quella un'impresa impossibile. Nonostante ciò - su sponde diverse: chi nella Sinistra europea, chi nella Sinistra Ds, chi in nessuna organizzazione partitica - siamo andati avanti in questa comune impresa. Abbiamo elaborato un documento, che si è sforzato di indicare un orizzonte di valori e fondamenta del tutto rinnovate per la sinistra italiana e europea del XXI secolo, accolto positivamente da tutti a sinistra come dimostra il dibattito che si è sviluppato attorno ad esso negli ultimi due numeri di Critica marxista, l'antica e prestigiosa rivista da anni diretta da Aldo Tortorella.
Ora il fatto che le cose a sinistra sembrano procedere nella direzione da noi auspicata ci induce ad andare avanti nella nostra comune impresa, proprio nel momento più favorevole ma al tempo stesso più difficile. Sarebbe, infatti, pericoloso sottovalutare gli ostacoli che possono frapporsi al processo unitario, proprio ora che esso sembra essere all'ordine del giorno. È nostra opinione che il progetto della Sinistra europea, che è nato ben prima dell'apertura dell'attuale fase politica, è una tappa essenziale della più grande unità della sinistra, ma per forza di cose non può rappresentarla in tutta la sua ampiezza potenziale. D'altro canto, l'unità della sinistra non può prescindere dai contenuti. L'appartenenza a diverse famiglie europee deve essere messa al servizio di un progetto comune della sinistra italiana e tale progetto deve prefigurare ed essere parte di una ricerca comune delle diverse famiglie della sinistra in Europa, verso quel «nuovo socialismo» di cui parla il nostro documento di Orvieto come anche quelli della Sinistra Democratica e della Sinistra Europea.
L'ambizione, giusta e condivisibile, di unire tutta la sinistra, non può essere basata sul semplice «no» al Partito democratico e sul «sì» al socialismo europeo, ma deve partire dal confronto nel merito.
Insomma, a tutti chiediamo di mettere da parte le appartenenze consolidate, di rompere gli steccati e di navigare in mare aperto. E per fare questo occorre che l'azione politica ritorni ad essere bene comune delle persone e sottratta al monopolio degli stati maggiori.
Abbiamo di fronte a noi due problemi, tra loro connessi ma distinti. Il primo è costruire l'unità d'azione della sinistra dell'Unione, sia per renderne più incisiva l'azione nella coalizione di governo che guida il paese, sia per affrontare in modo unitario le prossime scadenze elettorali. Il secondo, ben più impegnativo e ambizioso, è produrre cultura politica e esperienze sul campo che facciano della creazione di un nuovo soggetto della sinistra italiana quel «cantiere» che da più parti s'invoca.
Ora nel campo della sinistra politica, nel corso di questi anni, sono nate esperienze associative tra chi è andato via via perdendo il proprio partito di appartenenza o comunque ha sentito il proprio partito o le correnti di partito un vestito troppo stretto per poter soddisfare la propria passione politica. L'Ars, Uniti a Sinistra, e le associazioni dei RossoVerdi sono solo alcune tra queste esperienze. In questa nuova fase politica che si è aperta a sinistra pensiamo che tali esperienze associative debbano concorrere - attraverso un movimento comune, un forum tra associazioni, fondato sull'adesione alle linee generali del documento varato in autunno - al processo di costruzione del nuovo soggetto politico di cui la sinistra italiana ha bisogno. Facendo da stimolo a impegnative esperienze unitarie che, sin da ora, si sviluppino dall'alto (attraverso il coordinamento dei gruppi parlamentari della sinistra dell'Unione) e dal basso attraverso la costruzione delle Case della Sinistra, nelle quali sperimentare sul territorio e nel corpo vivo del paese quelle pratiche unitarie di cui tanti e tante avvertono il bisogno.
Per questo l'11 maggio daremo vita ad un movimento comune per l'unità della sinistra in cui esponenti della Sinistra europea, della Sinistra democratica e di tutti i soggetti interessati al «cantiere» possano iniziare a lavorare insieme, senza attendere oltre.

Liberazione 4.5.07
La fatwa del Papa e il silenzio democratico
di Paolo Flores d'Arcais


E assordante suona il silenzio fin qui osservato dal Presidente della Repubblica, dai Presidenti di Camera e Senato, dal Capo del Governo, a cui è affidata la garanzia dei diritti civili di ciascuno di noi, e in primo luogo quello alla libertà di opinione, di espressione, di critica.
Purtroppo si misura oggi cosa significhi non aver posto già da tempo e per tempo un intransigente "altolà" culturale e politico ai primi segnali, poi reiterati e sempre più frequenti, di prevaricazione clericale e oscurantista contro i più elementari diritti civili, contro quella "koyné" laica e illuminista che è la premessa di ogni democratica convivenza civile.
E siamo arrivati al punto che le sciagurate scritte a cinque punte contro monsignor Bagnasco (ma minacce analoghe, lettere con proiettile comprese, punteggiano purtroppo tutti i nostri anni, rivolte a sindacalisti, a magistrati di Mani pulite, a giornalisti), cioè reati da questura, fortunatamente limitati ad una città, anziché essere perseguite efficacemente per quello che sono, diventano l'occasione per una vera e propria caccia alle streghe mediatica contro quel poco di resistenza laica che ancora sopravvive in Italia.
Quasi vent'anni fa, e poi un numero ennesimo di volte, ho provato a richiamare l'attenzione sull'equivalenza logica e politica tra la parola d'ordine del fondamentalismo islamico "il Corano è la nostra costituzione" e le pretese dell'allora Pontefice, Giovanni Paolo II, e del suo cardinale prefetto del sant'uffizio, Joseph Ratzinger, secondo cui perde la sua legittimità un parlamento (democraticamente eletto) che legiferi in contrasto con ciò che Santa Romana Chiesa considera "diritto naturale".
E tuttavia, l'integralismo cattolico di allora poteva apparire (ed era) una versione soft, rispetto al fondamentalismo islamico, della logica che nega l'autonomia della sovranità dei cittadini. Oggi, tra i due, resta una sola (benché ancora cruciale) differenza: il fondamentalismo cattolico non è arrivato alla violenza (quello cristiano Usa sì, con gli omicidi di medici abortisti).
Siamo certi che non ci arriverà mai. Ma non si può certo dire che i toni della crociata contro la democrazia laica siano rimasti soft. Da quando Joseph Ratzinger è diventato Papa l'escalation oscurantista ha subito una accelerata esponenziale, ed è divenuta onnipervasiva (nella politica, nella cultura, nella scienza, ora anche nella satira). Fino a quale (dis)misura di cesaro-papismo, politici e uomini di cultura che si dichiarano laici e democratici sono disposti a tacere ancora, a subire, a divagare, a distinguere?

Corriere della Sera 5.5.07
Il senatore Ds ed ex Pm
D'Ambrosio: i Dico? Archiviati Di quel testo nessuno parla più
di M.A.C.


ROMA — «Credo che nessuno insista più sui Dico: certo, il progetto del governo è ancora all'ordine del giorno, ma nei nostri lavori non se ne parla praticamente più». Martedì 8 maggio nella Commissione Giustizia del Senato finirà la discussione generale su tutti e nove i disegni di legge presentati per regolamentare le unioni di fatto. Gli iscritti a parlare sono venti. «Ma mi sembra che non ci sia più il clima per giungere presto a un voto, non sicuramente prima dell'estate».
Gerardo D'Ambrosio, ex Procuratore di Milano, senatore dell'Ulivo, pensa che il disegno di legge sulle convivenze che porta il nome dei ministri Pollastrini e Bindi, «con le polemiche che ha suscitato dentro e fuori il Parlamento», ha di fatto bloccato il lavoro della Commissione che voleva dare soluzione al problema anche delle coppie omosessuali «che, comunque — aggiunge — in questa legislatura andrà prima o poi regolato: perché questo punto è nel programma elettorale dell'Unione e perché siamo i soli con Grecia ed Austria tra i Paesi europei preallargamento a non averlo ancora fatto». D'Ambrosio ricorda che al momento della rinnovata fiducia in Aula al Senato, «Prodi non indicò i Dico tra i punti programmatici da cui far ripartire il lavoro dell'esecutivo». «Rispetto ai Dico — continua D'Ambrosio — gli altri progetti di legge di iniziativa parlamentare erano molto più semplici e giuridicamente coerenti, come quello presentato da Alfredo Biondi, di Forza Italia: su quel testo forse si poteva trovare una convergenza». Cosa accadrà adesso? «Non so proprio. Anche perché ci sono altri problemi importanti che incombono sulla Commissione, quali la riforma dell'ordinamento giudiziario. Se non c'è possibilità di andare avanti sulle convivenze, allora è meglio non fermare i nostri lavori in un'empasse senza sbocco».
Insomma ormai «non c'è più», a giudizio del senatore, «quel clima sereno che è necessario per prendere, con grande pacatezza una decisione che deve essere molto saggia e condivisa, per tutelare gli interessi delle parti più deboli in queste coppie di fatto». «Meglio quindi — conclude — far decantare la situazione».

Corriere della Sera 5.5.07
ANNIVERSARI Nel 1907, da Parigi l'artista rientra a Poggio a Caiano. Che ora lo celebra con 75 opere
Soffici? Anarchico e disordinato
«E con il volto che assomigliava a Baudelaire», scrive Prezzolini
di Sebastiano Grasso


Quando, per l'Esposizione Universale del 1900, Ardengo Soffici (1879-1964) arriva a Parigi, ha 21 anni; Picasso, 19. Uno, viene da Firenze; l'altro, da Barcellona. Come tutti i giovani, fanno subito amicizia. Ma, fra di loro, c'è qualcosa di più: entrambi tentano l'avventura dell'arte. Non hanno molti mezzi e, una volta finita l'Esposizione, vanno a vivere a La Ruche
(L'alveare), un centinaio di studi messi su dallo scultore pompier Alfred Boucher, coi resti dei padiglioni di Gustave Eiffel, ceduti per pochi franchi agli artisti squattrinati.
Quando, nell'aprile del 1960, Soffici è a Parigi e va in rue Vaugirard per vedere che cos'è rimasto de La Ruche, riesce a malapena a ricostruire con la memoria i luoghi della sua giovinezza. La nuova urbanizzazione ha sovvertito ogni cosa. Di ritorno scrive un elzeviro sul Corriere della Sera: La Ruche, annota, «un tempo abitata da Chagall, Soutine, da Modigliani, dal poeta tedesco Teodoro Däbler, è ridotta a una lurida vecchia trabacca senza più volto, né vita».
A Parigi, Soffici collabora a riviste francesi ma anche a Leonardo, diretta da Papini, espone agli Indépendant, si lega ad Hélène d'Oettingen. Vi resta sino al 1907. Anni di grande impatto per il pittore e scrittore toscano, di «incontri capitali», come direbbe Carlo Bo. Con Henri Rousseau, detto il Doganiere perché sino a 50 anni, quando va in pensione per dedicarsi alla pittura, controlla le derrate alimentari che entrano a Parigi; col poeta Max Jacob che si inventa d'essere stato rapito a tre anni, da una banda di zingari, che lo abbandoneranno davanti all'École Normale; con Georges Braque, il cui nonno e padre guidavano un'impresa di imbianchini; con Guillaume Apollinaire, la cui testa a pera lo fa assomigliare a un Pierrot lunare.
E, soprattutto, con Picasso. Proprio nel 1907, quando Soffici rientra in Toscana, Picasso e Fernande Olivier adottano una bambina dall'orfanotrofio di rue Caulaincourt. L'artista spagnolo la immortala: Portrait de Raimonde
(1907). Ma la bimba, che ha circa 10 anni, gli rivoluziona la vita (il pittore non riesce più né a dormire, né a lavorare), così, tre mesi dopo, viene riportata all'orfanotrofio.
Rientrato in Toscana, Soffici va a vivere a Poggio a Caiano. Lo precede «un'aureola di voci straordinarie, misteriose e sinistre […] col suo volto che rassomigliava straordinariamente a Baudelaire, pareva riportare fra noi l'arbitrio, l'immoralità, il disordine e l'anarchia», ricorderà Prezzolini nell'Italiano inutile.
Ma il 1907 non è solo l'anno del rientro, ma forse anche il più importante dell'avventura di Soffici pittore: nel passaggio dal simbolismo all'impressionismo, s'avverte, fortissima, in lui, l'eco dei Nabis e di Cézanne (sul quale, nel 1908, scrive il primo saggio apparso in Italia). Soprattutto nel momento in cui il paesaggio diviene parte preponderante del suo lavoro. Soffici dipinge come un forsennato: decine e decine di quadri, di album di studi.
Ed ecco che, per il centenario del suo rientro in Italia, 50 di questi lavori, tutti del 1907, vengono ora proposti alle Scuderie Medicee: Campi d'autunno, Le fornaci di sopra, La potatura, tanto per citarne qualcuno. Resa veloce da grande maestro, tocchi narrativi (non si dimentichi che Soffici è anche un letterato), sapienza coloristica.
Aquesti se ne aggiungono altri 25 (1904-1962), primo nucleo della «Mostra permanente Ardengo Soffici», sempre alle Scuderie: Mamma Egle, Autoritratto, Mendicante, Paesaggio a Chiavris, Tramonto a Poggio, Contadini, Natura morta, Nevicata. Orme indelebili di un grandissimo leone.
ARDENGO SOFFICI 1907-2007
Poggio a Caiano, Scuderie Medicee, sino all'8 luglio. Tel. 055/8701280