l'Unità 13.3.07
Dico, il Vaticano passa agli insulti
l’Osservatore senza freni
di Maria ZegarelliIL QUOTIDIANO dello Stato Vaticano entra a gamba tesa nella già accesa polemica sulla manifestazione che si è svolta sabato scorso in piazza Farnese a Roma in difesa del riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto. Un intervento che si inserisce in
un clima politico ancora rovente con i ministri che battibeccano tra di loro, Prodi che interviene e torna a prendere le distanze dai ministri Pollastrini, Pecoraro Scanio e Ferrero, che hanno preso parte alla manifestazione (distanze condivise dalle ministre Bindi e Bonino) e Clemente Mastella che minaccia fuoriuscite dal governo e un referendum in caso di approvazione della legge sui Dico. Su questa posizione il Guardasigilli crea un fronte compatto con Pierferdinando Casini - Udc - e di assoluta sintonia con oltretevere. Tanto che nell’articolo dell’Osservatore il suo comportamento (come quello di Casini) raccoglie la piena approvazione.
Il giornale vaticano punta l’obiettivo sui bambini e lancia un affondo durissimo contro il sit-in: «Erano in molti i manifestanti omosessuali che recavano sulle spalle o per mano, dei bambini, frutto di precedenti relazioni o anche di fecondazioni praticate all’estero. Bambini la cui presenza è stata sfruttata proprio allo scopo di accreditare l’immagine, che vorrebbe essere rassicurante, di una famiglia da tutelare. Ogni bambino, almeno da quando è nato, gode, anche nell’ordinamento italiano, di diritti che gli vengono riconosciuti comunque, in ogni condizione si trovino i loro genitori. Anche per questo, sfruttare la loro ingenuità appare un’operazione particolarmente criticabile. Ma è anche, ancora una volta, la prova evidente di quale sia la finalità di chi si batte per il riconoscimento legale degli omosessuali, essendo la presenza di minori determinante per garantire ad un nucleo famigliare particolari diritti». Per questo, secondo l’Osservatore, «spiccavano» in piazza Farnese, «fra l’altro ben tre ministri, a dimostrazione di come una parte del Governo sembra volersi impegnare personalmente per una questione diventata inspiegabilmente prioritaria», per fortuna è arrivato Mastella a «sfrondare il campo da ogni ipocrisia» e dire che su una questione così potrebbe cadere il governo. Proprio come, secondo indiscrezioni che trapelarono alla vigilia dell’approvazione in Cdm dei Dico, auspicò il cardinale Camillo Ruini. Al di qua del Tevere il deputato ds franco Grillini, presidente Arcigay, commenta a caldo:«Non ci meraviglia che l'imponente manifestazione “Diritti ora!” non sia piaciuta all’Osservatore. Un conto però è non condividere i contenuti della kermesse per i diritti, la non discriminazione e la dignità di milioni di persone, un conto è insolentire i migliaia di manifestanti, apostrofati come “pagliacci”, e perseguire nell'ossessione antiomosessuale che caratterizza il vertice vaticano». Secondo il capogruppo della Rnp alla Camera, Roberto Villetti, l’Osservatore esaspera «aspetti di colore presenti nella manifestazione con l'evidente scopo di svilirne il profondo significato civile e politico» e lancia una «caccia alle streghe». «Le vere vittime di questa assurda contrapposizione ideologica e religiosa - dice Angelo Bonelli dei Verdi - sono milioni di cittadini ai quali è necessario dare risposte. Il capogruppo del Prc al Senato Giovanni Russo Spena pretende le scuse dell'Osservatore, mentre Marina Sereni, vicecapogruppo Ulivo alla Camera ricorda agli alleati: «Dobbiamo rispettare l'impegno preso con i nostri elettori». Secondo Isabella Bertolini, Fi, il centrosinistra è affetto «da clericofobia».
Il Guardasigilli si tira fuori. Lui no. Anzi: «Se mi pongono un problema o un dilemma, “o al Governo oppure devi firmare i Dico”, io esco dal Governo». Anche a costo di far cadere Prodi e di cadere lui stesso. Tutti a terra ma niente Dico. Se ci fosse la fiducia «voterei no», minaccia. E se si dovesse arrivare a una legge, allora l’Udeur potrebbe anche «promuovere un referendum» per farla abrogare. Passando di trasmissione in trasmissione, da «l’Antipatico», a «Porta a Porta», rimprovera i suoi colleghi presenti sul palco sabato di non averlo difeso quando è stato fischiato. Il ministro Alfonso Pecoraro Scanio non ce la fa più e spiega che lui non lo ha difeso semplicemente perché nessuno lo ha fischiato in sua presenza: «La manifestazione e i nostri interventi dal palco sono stati trasmessi su Raitre e tutti possono confermare che dalle 17 alle 18, cioè quando eravamo presenti, nessuno ha insultato o fischiato il ministro». La platea in quel lasso di tempo ha applaudito i ministri. «Mastella la pensa diversamente da me - dice il ministro - ma merita tutto il mio rispetto e se avessi sentito i fischi l’avrei difeso».Rosy Bindi invita tutti ad abbassare i toni, ma poi dice che a lei le piazze come quella di sabato «non piacciono,e infatti non ci sono andata». Comunque, «la famiglia è tra un uomo e una donna e quindi il desiderio di maternità e di paternità un omosessuale se lo deve scordare». Quindi, «è meglio che un bambino stia in Africa, piuttosto che cresca con due uomini, o due donne». Il senatore a vita Giulio Andreotti tanto per rendere più scivoloso il dibattito ha annunciato un emendamento al ddl sui Dico per eliminare le parole «dello stesso sesso»: quel riferimento, alle coppie di fatto dello stesso sesso, «è un errore e non deve essere approvato». Forse, in quel caso, i teodem della Margherita, potrebbero persino votare a favore.
l'Unità 13.3.07
La Chiesa prepara i cattolici allo scontro
di Roberto MonteforteNessuna caccia alle streghe: l’aveva chiesto l’arcivescovo Angelo Bagnasco il successore del cardinale Ruini alla guida dei vescovi italiani. Si immagina che il richiamo fosse rivolto ai due schieramenti. Ferma la sua difesa dei valori che per la Chiesa «non sono valicabili», come la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e aperta a generare la vita, ma da esercitare con «serenità» oltre che con «chiarezza». Una linea che è sembrata indicare un passo nuovo, più «pastorale» e vicino ai drammi dell’uomo e della donna nella società contemporanea. Una Chiesa, quindi, che pur tenendo ferma la difesa dei valori, è attenta a non esasperare i toni, a non acuire l’asprezza del confronto, a mantenere aperta la via del dialogo, nella distinzione dei ruoli e delle posizioni. Poi ieri è arrivato il commento dell’Osservatore romano alla manifestazione di sabato per il riconoscimento delle coppie di fatto in particolare per i diritti delle coppie omosessuali. «Un’esibizione carnascialesca» così l’ha bollata il giornale vaticano. Giudizi da fuoco alle polveri. In particolare per quelle critiche rivolte ai manifestanti gay che hanno marciato con i loro figli: colpevoli di voler dare l’idea di famiglia. È questa la linea della segreteria di Stato?
L’impressione è che il clima «caccia alle streghe», da chiamata alle armi per i cattolici, lo stiano alimentando proprio le gerarchie. Un’impressione confermata dal Sir, l’agenzia di stampa dei vescovi che muove un richiamo fermo a quei cattolici «tiepidi», che paiono poco disposti a mobilitarsi contro i Dico. «Oggi è il tempo delle proposte», e per questo non è sostenibile un atteggiamento di «scelta tra indifferenti» come al tempo dei referendum sull'aborto e sul divorzio, ma bisogna chiamare «con il loro nome bene e male, vero e falso, giusto e sbagliato» tuona l'agenzia ispirata dalla Cei. «È il tempo delle proposte, con tre parole chiave: libertà, diritti, responsabilità» conclude il Sir che richiama le parole del nuovo presidente della Cei: «La vicenda dei Dico sta dimostrando con serenità e chiarezza che il preciso no pronunciato con coerenza non solo dai cattolici, ma da tanti laici, diventa un punto di riferimento aperto e creativo». Come sul referendum per la procreazione assistita è il via libera alla linea dello scontro. Così si prepara anche il terreno per quella Nota Cei «vincolante per i politici cattolici», voluta dal cardinale Ruini che sarà discussa il prossimo 26 marzo nel primo Consiglio permanente della Cei a «gestione Bagnasco». Parola d’ordine: sbarrare la strada ai Dico. Subito. Pare essere più importante delle misure concrete, pure invocate, a favore della famiglia tradizionale. Le richiama dai microfoni di Radio vaticana l’arcivescovo di Lecce, Cosmo Ruppi: far fronte alle difficoltà dei giovani a sposarsi, degli alloggi, degli affitti, l'insufficienza degli assegni familiari, la mancanza di tutela della famiglia vera. Ma prima vi è il richiamo alle forze politiche. «Facciano una valutazione di quello che è più urgente, più importante e di quello che è meno importante» e «diano la priorità ai problemi della famiglia rispetto ai Dico» afferma Ruppi che pure riconosce che le coppie di fatto meritano rispetto e che «la Chiesa non condanna nessuno». Ma la realtà pare essere diversa. Per la gerarchia vi sono diritti e doveri da non riconoscere per non rendere ancora più pesante la crisi della famiglia tradizionale. Sono richiami ai quali lo Stato, nella sua auspicata neutralità, non può essere indifferente. È il parere del patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola che nel suo ultimo libro «Una nuova laicità», edito da Marsilio affronta il tema del rapporto della Chiesa con la società contemporanea, pluralistica e complessa. «Il potere politico e dello Stato non è sacrale e quindi non è onnipotente» scrive, richiamando il diritto della Chiesa ad esercitare una «funzione di coscienza critica». Invoca uno Stato «laico», ma non «indifferente alle identità e alle culture» prevalenti e ai valori che stanno a fondamento della stessa convivenza democratica. Parla di convivenza dialogica, il cardinale. E del rispetto delle procedure del consenso. Di riconoscimento reciproco come garanzia da ogni integralismo. Ma che sia davvero reciproco.
l'Unità 13.3.07
Il ministro Mussi a D’Alema: «L’adesione al nuovo partito non è obbligatoria»
I Congressi a Roma: la mozione del segretario «ferma» al 59%, la Mussi al 26-27% e la Angius-Zani al 14%.ROMA «Si sciolgono i Ds e si forma un nuovo partito. L’adesione al nuovo partito è facoltativa, non obbligatoria».
Così il ministro della Ricerca, Fabio Mussi, risponde all’invito di Massimo D’Alema ad abbandonare i «no pregiudiziali» al nuovo soggetto politico, cui Mussi si oppone con una delle mozioni per il congresso Ds.
Il ministro, a Palermo per un incontro appunto sulla sua mozione, parlando con i giornalisti aggiunge: «Io sono un uomo di sinistra non si può cancellare la sinistra, farla sparire o diventare una corrente e farla diventare la corrente di un partito centrista, cosa che non esiste in nessuna parte d’Europa. Ritengo che sia un errore clamoroso. Questo Partito democratico è sostanzialmente un terreno di fusione tra Ds e Margherita, penso che abbia poca storia e poco futuro. È un partito che nasce non si sa bene con quale identità, con quale collocazione internazionale, con quale tavola dei valori. L’unica cosa nota per ora -conclude Mussi- è questo manifesto dei saggi che non passerà alla storia come un grande documento dal punto di vista politico e intellettuale».
La mattina, sempre a Palermo, Mussi aveva detto che non avrebbe parlato di Partito Democratico. Evidentemente non ne ha potuto fare a meno.
l'Unità 13.3.07
Per Revelli e Cremaschi Rc è ormai rosso sbiadito
Delusi dal partito che ha processato Turigliatto. Gagliardi: «Troppo apocalittici»
di Wanda MarraL’intellettuale: «Abbiamo condannato i crimini del ‘900Ora usiamo le stesse categorie»Il sindacalista: «Rifondazione ha fallito. Non è né di lotta né di governo»DISSENSI È una questione di «dissenso» e il dissenso è sempre «positivo», secondo il direttore di Liberazione, Piero Sansonetti. Ma forse ci sono dissensi che pe-
sano più di altri. A criticare aspramente Bertinotti e con lui Rifondazione comunista sono stati (e sono ancora) Marco Revelli e Giorgio Cremaschi. Due figure importanti, che al leader sono state fino a poco fa molto vicine. Intellettuale di riferimento il primo, tanto che Bertinotti gli affidò al Congresso di Venezia la relazione che affermava l’assoluta non violenza. E poco importa che, battitore libero com’è, a Rifondazione non sia mai stato iscritto. Sindacalista Fiom il secondo, tanto vicino all’allora segretario di Rifondazione da far ventilare ad alcuni l’ipotesi che nel 2001 questi potesse cedergli il posto per assumere la presidenza del partito. E anche qui, poco importa che la tessera ad ora non l’abbia rimessa.
Revelli e Cremaschi venerdì sera erano a Torino, a un’assemblea di solidarietà a Turigliatto, allontanato per 2 anni da Rifondazione. In quell’assemblea Revelli, forse anche provocatoriamente, ha dichiarato che non voterà più Rc. Applaudito entusiasticamente da Cremaschi. «Se Rifondazione la voterò ancora non lo so - spiega Revelli - certo è che se diventerà un partito che mi impedisce di fare un appello contro la guerra, allora non lo farò». Il dissenso, comunque, è forte. Revelli l’aveva già espresso in un articolo sul Manifesto del 6 marzo. Qualcosa si è rotto, scriveva, che« investe alle radici la strategia della sinistra, in particolare della «sinistra radicale»: «Di quella componente del centrosinistra, cioè, che aveva affidato buona parte del proprio ruolo alla possibilità di “fare rappresentanza” di ciò che muove “in basso”». Chiosando che «i 12 punti che hanno siglato la pace istituzionale dentro la coalizione sono 12 chiodi ben lunghi piantati sul coperchio della cassa delle buone intenzioni di chi sperava di far filtrare in alto almeno brandelli di voci dei territori». Parlando del «paradosso dell’antipolitica di sinistra», gli aveva risposto su Liberazione Rina Gagliardi, tra le “teste pensanti” di Rifondazione più vicine a Bertinotti, definendo «apocalittiche» le sue ragioni e attribuendogli un cupo pessimismo sulla possibilità, come si diceva una volta, di “cambiare il mondo”». I due, poi, si sono confrontati ancora sulle pagine di Liberazione domenica.
Ma Revelli, a proposito dell’espulsione di Turigliatto, lo ribadisce: «Prima abbiamo condannato i crimini del ‘900, e poi riproponiamo le stesse categorie che li hanno provocati». Mentre Cremaschi, che in occasione della manifestazione di Vicenza aveva dichiarato che «uscire dal governo per Rifondazione non dev’essere un tabù» ci va giù durissimo: «Il Prc ha fallito nella sua missione di essere partito di lotta e di governo. Da una parte ha rotto con la parte più radicale del movimento, dall’altra viene accusata di essere continuo elemento di destabilizzazione del governo».
Che da una parte ci sia questo tipo di dissenso, alimentato dalla decisione su Turigliatto, dall’altra la discussione su un nuovo soggetto della sinistra, in grado di fare «massa critica», lanciata da Bertinotti, e che Rifondazione stia in mezzo lo dice anche Sansonetti. «Ci sono due Rifondazioni», dichiara invece Salvatore Cannavò, leader della corrente trotzkista del partito, Sinistra critica, che si è autosospeso per solidarietà a Turigliatto. Una, spiega, è quella che guarda a un soggetto della sinistra, che tenga insieme Mussi e Bertinotti. E un’altra, che si pone a sinistra di quest’operazione. D’altra parte, non più di un mese e mezzo fa proprio da Cannavò è partita la fondazione di una nuova Associazione, Sinistra Critica, che tra le sue parole d’ordine mette il no alla missione italiana in Afghanistan. All’assemblea fondativa era presente lo stesso Cremaschi. Che però ci tiene a dire che «non c’è nessuna operazione in atto». Mentre Revelli dichiara che le «architetture» politiche non gli interessano. Nessun nuovo partito, per ora. Ma i giochi sono aperti.
Repubblica 13.3.07
La violenza suipiù deboli e l'incertezza del futuro
Perché si è giunti alo scontro fisico
di Umberto GalimbertiLe frontiere che delimitavano gli individui sono saltate determinando un tale stato d´allarme da non sapere più chi è chi. Ciò vale anche per i giovaniIl bullismo c´è sempre stato come eccesso dell´esuberanza giovanile. Oggi ha passato paurosamente il limite, al punto da generare nei genitori angoscia, negli insegnanti impotenza, e nella società nel suo complesso disorientamento. Le ragioni vanno cercate nell´eredità del passato, nella cultura del presente e nell´incertezza del futuro. Vediamole ad una ad una.
A partire dal Sessantotto si è registrato un passaggio dalla "società della disciplina" dove ci si dibatteva nel conflitto tra permesso e proibito alla "società dell´efficienza e della performance spinta" dove ci si dibatte tra il possibile e l´impossibile, senza nessun riguardo e forse nessuna percezione del concetto di "limite".
Questo passaggio s´è registrato verso la fine degli anni Sessanta, quando la parola d´ordine dell´intero continente giovanile era "emancipazione" all´insegna del "tutto è possibile", per cui la famiglia era una camera a gas, la scuola una caserma, il lavoro un´alienazione, il consumismo un aberrazione, e la legge uno strumento di sopraffazione di cui ci si doveva liberare. La parola d´ordine era: "vietato vietare".
Su questa cultura preparata dal Sessantotto, ma che il Sessantotto aveva pensato in termini "sociali", si impianta, per uno strano gioco di confluenza degli opposti, la stessa logica di impostazione americana, giocata però a livello "individuale", dove ancora una volta tutto è possibile, ma in termini di iniziativa, di performance spinta, di efficienza, di successo al di là di ogni limite, anzi con il concetto di limite spinto all´infinito, per cui oggi siamo a chiederci: qual è il limite tra un atto di esuberanza e una vera e propria aggressione, tra un atto di insubordinazione e il misconoscimento di ogni gerarchia, tra le strategie di seduzione troppo spinte e l´abuso sessuale?
E questo solo per fare degli esempi che dimostrano come le frontiere della persona e quelle tra le persone siano saltate, determinando un tale stato d´allarme da non sapere più chi è chi. Questa è la ragione per cui i giovani non si sentono mai sufficientemente se stessi, mai sufficientemente colmi di identità, mai sufficientemente attivi se non quando superano se stessi, senza essere mai se stessi, ma solo una risposta ai modelli o alle performance che la televisione e internet a piene mani distribuiscono, con conseguente inaridimento della vita interiore, desertificazione della vita emozionale, insubordinazione alle norme sociali.
Nel 1887, un anno prima di scendere nel buio della follia, Nietzsche annunciava profeticamente «l´avvento dell´individuo sovrano riscattato dall´eticità dei costumi». Oggi, a cento anni dalla morte di Nietzsche, possiamo dire che l´emancipazione ha forse affrancato i nostri giovani dai drammi del senso di colpa e dallo spirito d´obbedienza, ma li ha innegabilmente condannati al parossismo dell´eccesso e dell´oltrepassamento del limite. Per cui genitori e insegnanti non sanno più come far fronte all´indolenza dei loro figli o dei loro alunni, ai processi di demotivazione che li isolano nelle loro stanze a stordirsi le orecchie di musica, all´escalation della violenza, allo stordimento degli spinelli che intercalano ore di ignavia. Tutti questi sintomi sono iscrivibili, come scrive il filosofo francese Benasayag: «nell´oscurarsi del futuro come promessa e nell´affacciarsi di un futuro come minaccia».
La mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell´assoluto presente. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva. O come scrive il sociologo tedesco Falko Brask: «Meglio esagitati ma attivi che sprofondati in un mare di tristezza meditativa, perché se la vita è solo uno stupido scherzo, dovremmo almeno poterci ridere sopra».
Ciò significa che nell´adolescente non si verifica più quel passaggio naturale dalla "libido narcisistica" (che investe sull´amore di sé) alla "libido oggettuale" (che investe sugli altri e sul mondo). In mancanza di questo passaggio, accade che si inducano gli adolescenti a studiare con motivazioni "utilitaristiche", impostando un´educazione finalizzata alla sopravvivenza, dove è implicito che "ci si salva da soli", con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e sociali.
E così i nostri giovani hanno smesso di dire "noi" come lo si diceva nel Sessantotto, l´hanno detto sempre meno dopo il crollo delle ideologie, si sono rifugiati in quello pseudonimo di se stessi che ripete ossessivamente "io" dalle pareti strette come quelle di un ascensore. E di quella dimensione sociale che non ha più trovato dove esprimersi: né in chiesa, né a scuola, né nelle sezioni di partito, né sul posto di lavoro, è rimasto solo quel tratto primitivo o quel cascame che è la "banda".
Solo con gli amici della banda oggi molti dei nostri ragazzi hanno l´impressione di poter dire davvero "noi", e di riconfermarlo in quelle pratiche di bullismo che sempre più caratterizzano i loro comportamenti nella scuola, negli stadi, all´uscita delle discoteche. Lo sfondo è quello della violenza sui più deboli e la pratica della sessualità precoce ed esibita sui telefonini e su internet dove, compiaciuti, fanno circolare le immagini delle loro imprese.
E questo perché oggi i nostri ragazzi si trovano ad avere un´emotività carica e sovraeccitata che li sposta dove vuole a loro stessa insaputa, senza che un briciolo di riflessione, a cui non sono stati educati, sia in grado di raffreddare l´emozione e non confondere il desiderio con la pratica anche violenta per soddisfarlo. L´eccesso emozionale e la mancanza del raffreddamento riflessivo li portano a oscillare tra lo "stordimento dell´apparato emotivo", attraverso quelle pratiche rituali che sono le notti in discoteca o i percorsi della droga, o il "disinteresse per tutto", messo in atto per assopire le emozioni attraverso i percorsi dell´ignavia e della non partecipazione che conducono all´atteggiamento opaco dell´indifferenza.
Di fronte a questi ragazzi, che inconsciamente avvertono l´incertezza del futuro che li induce ad attardarsi in una sorta di adolescenza infinita, resta solo da dire a genitori e professori: non interrompete mai la comunicazione, buona o cattiva che sia, qualunque cosa i vostri figli o i vostri studenti facciano. A interromperla ci pensano già loro e, come di frequente ci dicono le cronache quotidiane, anche in maniera distruttiva.
Repubblica 13.3.07
L'intervista. Armando Cossutta: uno sbarramento al 5 per cento può aiutarci
"Ha ragione Bertinotti serve una nuova sinistra"
L'ex presidente del Pdci critica Diliberto e insiste: possiamo dire addio a falce e martello
di Umberto RossoROMA - «Sì, oggi mi sento più vicino alle posizioni e alle ultime riflessioni di Fausto Bertinotti che alla linea, ripetitiva e chiusa, del segretario del Pdci Diliberto».
Senatore Cossutta, sta dicendo che sono ormai superate le ragioni della clamorosa scissione con Rifondazione?«Quelle ragioni non possono essere superate per il semplice motivo che fanno parte della nostra storia. Ma il tempo delle divisioni a sinistra è finito. E uno sbarramento elettorale al 5 per cento potrebbe favorire l´aggregazione di una sinistra nuova. Rimettendosi tutti in discussione, in un gioco più grande e più ambizioso».
E con Bertinotti, è tornato a parlarne?«Personalmente no. Io sono liberamente comunista. Ma ho molto apprezzato le interviste, le riflessioni che in quest´ultimo periodo ha compiuto. L´invito a ragionare sui tratti distintivi della sinistra ma in maniera produttiva, incisiva».
L'idea della "massa critica" della sinistra, rivolto in primo luogo ai Ds.«Lui parla così, ha questo linguaggio. Io, che volete, sono più prosaico. Ma quella è una significativa apertura alla costruzione di una sinistra che conti realmente. Mentre è improduttivo e dannoso l´atteggiamento di quanti antepongono solo la paura di sparire come piccola entità di partito».
Ce l'ha con Oliviero Diliberto?«I suoi appelli sono ripetitivi, semplificatori, soprattutto molto gridati. Unità, unità, unità. E poi? In realtà, se qualcuno prova ad avvicinarsi, apriti cielo. Scatta il riflesso identitario del partito, l´unità come somma di apparati, l´idea salvifica di tutelare in primo luogo se stessi. Una visione davvero ristretta, rispetto alla sfida dei tempi. Io mi sono dimesso da presidente del partito, in modo molto critico. Resto senatore del gruppo. Oggi, di fronte ad un´offensiva moderata, c´è un´esigenza oggettiva di costruire un processo unitario più largo possibile. Di popolo, non di segreterie».
Anche mettendo da parte il simbolo della falce e martello?«Quello è storicamente il simbolo dei comunisti. Non lo rinnego, lo dico a chi ha cercato di spargere veleni nei miei confronti. Punto. Ma se vogliamo fare una cosa nuova, grande, bisogna sapersi liberare delle pregiudiziali, di nomi e di simboli. Di quelle piccole miserie di cercare sempre di strappare un voto nell´orto del vicino. Siamo di fronte ad una fase diversa e importante. Con la nascita del Partito democratico una parte significativa dei Ds si guarderà attorno, incerta, smarrita. Proprio a questa forza, in primo luogo, è rivolta la mia idea di aggregazione della sinistra ».
Prevede una scissione della sinistra ds?«Di certo, come dimostrano anche i primi risultati dei congressi diessini, c´è una grande preoccupazione per la nascita del Pd. Poi c´è Rifondazione, ci sono i Verdi. E c´è il Pdci, ma oggi è chiuso e asfittico. Se gli uomini di queste forze dovessero scegliere di dar vita ad un nuovo progetto unitario, certo non possiamo proporre loro come condizione questo o quel simbolo, questo o quel nome. Ad un militante, mettiamo, della sinistra ds, non credo possa interessare finire ospite in casa altrui».
Repubblica 13.3.07
La famiglia dimezzata che non vuole figli "Il futuro? Siamo noi"
Quasi un quarto delle famiglie italiane non desidera bambini
di Concite De GregorioUn "modello" in crescita mentre calano le coppie con figliL´istinto. Mi sembra chiaro che l´istinto di conservazione della nostra specie decrepita si è consumato. Certo che avremmo potuto averne, ma non abbiamo volutoLa sociologa. In un certo senso perché esista famiglia sono necessari i figli, quando una coppia rinuncia, rinuncia a fare futuroMeglio zia. A me i piccoli non piacciono, quelli degli altri sì, intendiamoci: i miei nipoti sono meravigliosi, ma io non ne ho mai desiderati, sto bene cosìROMA - Fare futuro. Anni fa parlando ai ragazzi di un liceo romano con un linguaggio, dunque, per nulla dottorale la sociologa Chiara Saraceno rispose ad una studentessa che le chiedeva "ma perché esista una famiglia sono necessari i figli?". In un certo senso sì, disse Saraceno. "Non si può negare che quando una coppia rinuncia ai figli rinuncia a fare futuro".
La realtà dell´Italia, quindi, ci apparecchia una tavola da cui sta scomparendo il futuro. Se ci contiamo troviamo un bambino ogni sette abitanti: una delle medie più basse d´Europa. Il saldo fra nati e morti, nella popolazione non immigrata, è negativo: i morti sono 13 mila di più. Ventidue famiglie su cento in Italia sono composte da coppie senza figli: ventidue su cento, quasi una su quattro. Sposate o non sposate, è lo stesso: il punto non è il tipo di vincolo. La questione è, piuttosto, che quasi un quarto delle famiglie italiane non desidera avere figli: preferisce di no. Si può ormai molto spesso dire che "preferisce" dal momento che i casi di impossibilità oggettiva di averne – non tutti, certo - sono stati da tempo soccorsi dai progressi della medicina, l´aumento delle adozioni ha fatto il resto. Volendo avere un figlio oggi molto più spesso di prima si può: a costo anche di aggirare le nostre leggi andando in paesi dove è più facile farne, od ottenerne. Ciononostante quel 22 su cento cresce ancora: del 19,6 in due anni. Diminuiscono, anche se molto meno, le coppie con figli.
Bruno Melappione, 56 anni, ascolta tutto questo mentre la moglie quarantenne prepara un caffè: "Mi sembra chiaro che l´istinto di conservazione della nostra specie decrepita, dopo millenni, si è consumato", ride. La moglie arriva con le tazze: "A me i bambini non piacciono, quelli degli altri sì, intendiamoci: i miei nipoti sono meravigliosi ma per me non ne ho mai desiderati. Sto bene così, stiamo molto bene così". Quando ha conosciuto suo marito aveva 31 anni, ora ne ha 42: undici anni di cene con gli amici, pomeriggi al cinema, viaggi. Non è stata una questione economica, dicono: non è che i figli non siano arrivati perché costano e non c´erano soldi, perché mancava la casa o il lavoro. Ci sono state difficoltà, certamente, ma non è a causa di quelle che hanno rinunciato. E´ facile capire che davvero è quasi sempre così. C´è il buon senso, c´è l´esperienza e ci sono studi che lo certificano: specialmente quando si tratta del primo figlio il conto dei soldi è secondario. Sono altre le ragioni che spingono a farlo, le difficoltà si superano. Semmai è al secondo e al terzo figlio che si rinuncia per non aggiungere spese e rinunce, non al primo: quasi mai al primo. "Certo che avremmo potuto farlo, semplicemente non abbiamo voluto".
Bruno Melappione e Maricetta Lombardo sono nati in famiglie numerose.
Lui romano, settimo di nove fratelli. Artigiano specializzato, costruisce scenografie per il cinema. Scrive racconti, vorrebbe sceneggiare un film. Primo matrimonio a 24 anni: due figli di 34 ed 32, è già nonno di un bimbo di 4. Lei agrigentina, terza di sei figli. E´ arrivata a roma 16 anni fa per frequentare il centro sperimentale di cinematografia, fa il tecnico del suono. Per passione fotografa. In salotto alle pareti ci sono sono foto sue: un incontro di boxe, un autoritratto con Alberto Granado quello che ha fatto col Che il viaggio della motocicletta, "un vecchio bellissimo l´ho conosciuto a Berlino". Vivono in una casa di 70 metri quadri, "una casa dei preti": l´affitto è basso, mille euro al mese. Non fumano, non bevono. Il giornale ogni tanto, "ci sono quelli gratuiti". Libri molti, "cinema tutti i giorni". Tutti i giorni? "Sì, in un cinema di San Lorenzo al primo spettacolo il biglietto per le prime visioni è di due euro. Ci andiamo tutti i pomeriggi. Se si può, certo. Ogni giorno un film diverso". E´ la loro spesa principale. Niente macchina ("c´è, ma solo per i viaggi in Sicilia", quando vanno in estate a casa di lei), tessera dei mezzi pubblici. Maricetta: "Per il mangiare sì che si spende. Io adoro cucinare, si vede no?, guardi che taglia abbiamo raggiunto fra tutti e due… Ecco, questo sì: invitiamo molto spesso amici a cena".
Si sono conosciuti undici anni fa, sette anni dopo si sono sposati. Perché il matrimonio? Bruno: "Io prima convivevo con una ragazza finlandese ma non avevo mai preso l´impegno di sposarla, non ho mai pensato fino in fondo che avrei voluto stare per sempre con lei". Il matrimonio perché è un impegno. "Sì è così. Convivi se stai bene in quel momento, ti sposi se ti prendi un impegno per la vita. È anche un regalo che fai all´altra persona: per me non ci dobbiamo lasciare mei più, le dici. Delle volte mi dispiace averla sposata perché non la posso risposare". La moglie gli sorride. E perché niente figli? Maricetta: "Non ho pazienza. Non ne ho voluti. Lui aveva i suoi già grandi, io lavoravo molto viaggiavo. C´è stato un momento, forse, ma poi ho preferito di no. Mi piace stare con i miei nipoti ma non torno mai a casa pensando vorrei un figlio anch´io. E´ poi vede quante storie infelici ci sono, che inferno può essere la famiglia, quei poveri figli… abbiamo visto un film proprio ieri no Bruno?. "Ieri. La riproduzione è un istinto animale, lo fanno le bestie senza essere famiglia. Fra uomini si può stare insieme anche in modi diversi, si decide cosa è meglio, cosa è possibile, cosa si desidera davvero". Loro desiderano principalmente stare insieme: "Siamo felici così, col cinema al pomeriggio, le cene con gli amici la sera, il nostro computer, qualcosa da leggere e da scrivere, la macchina fotografica che ci accompagna nei viaggi". Bruno progetta di scrivere un libro sui templari, la sua passione. "E´ chiaro che il tesoro se l´è magnato Filippo il Bello e che il papa era d´accordo", questa la trama. Maricetta ha lavorato a un film di Pasquale Scimeca sullo sfruttamento dei bambini "e ora spero che esca, poi spero di avere presto un altro lavoro perché al momento non ce n´è". Cosa servirebbe per stare meglio? Lei: "Qualche soldo in più ma non per essere ricchi, la ricchezza porta problemi. Per andare a teatro, fuori a vedere una mostra, per viaggiare un po´ di più. Prima avevo delle manie, gli occhiali gli orologi, poi sono stata in Africa e mi sono passate tutte. Bisognerebbe che fosse obbligatorio per tutti passare almeno una settimana in africa nella vita, così uno si rende conto del mondo dove viviamo". Il futuro com´è? "Il futuro siamo noi, i nostri amici. Le serate a base di piatti siciliani e greci, brasiliani. Abbasso le diete, per carità, non sopporto il velinismo. Sono contro la taglia 38 a favore della 46". Il futuro, Bruno? "Il mio futuro è lei, Maricetta. Forse un libro, forse un film: se vengono, chissà. Di certo ci siamo noi. La nostra famiglia cioè noi, la nostra casa cioè qui: il nostro futuro è questo, ce l´ho davanti agli occhi".
il manifesto 13.3.07
Assemblea decisiva dei delegati «con Mussi»
Movimenti a sinistra: la minoranza Ds si prepara allo scontro, il Prc discute dell'«apertura» di Bertinotti
di Carla Casalini«Credo che non ci sarà una scissione nei Ds». Il segretario della Quercia Piero Fassino non smentisce il mood del tempo, il vizio ormai invalso del parlare imperioso, del presumere di decidere per altri, al posto di altri, in questo caso la sinistra Ds che con la mozione Mussi si contrappone nei congressi a quella della maggioranza. Alle parole di ieri di Fassino ha risposto indirettamente lo stesso ministro dell'Università e Ricerca Fabio Mussi - impegnato in un giro in Sicilia - reagendo a Massimo D'Alema che invitava ad abbandonare i «no pregiudiziali» alla costruzione del «Partito democratico».
Precisa in premessa Mussi: «Si sciolgono i Ds e si forma un nuovo partito? L'adesione al nuovo partito è facoltativa, non obbligatoria». Per altro, è la sua previsione, questo Partito democratico che nasce sostanzialmente come fusione fra Ds e Margherita, in vaghezza di identità, collocazione internazionale, e tavola dei valori, avrà «poca storia e poco futuro». In conclusione, il ministro ribadisce la sua posizione: «Io sono un uomo di sinistra» e la sinistra «non si può cancellarla o farla diventare la corrente di un partito centrista - cosa che non esiste in nessuna parte d'Europa».
Insomma, tutto fa pensare che sarà di importanza cruciale per le decisioni della sinistra Ds l'assemblea del 28 marzo: l'appuntamento che riunirà tutti i sostenitoridella «mozione Mussi». Non avverrà lì, nelle previisoni, la scelta ufficiale sulla eventuale «scissione» - a favore della quale Mussi personalmente è stato piuttosto esplicito - perché all'appuntamento nazionale seguirà una «discussione articolata nei territori». Ma non c'è dubbio che la giornata del 28 segnerà uno spartiacque decisivo rispetto alla corsa dei Ds, ulteriormente accelerata, verso il partito democratico (ieri la nascita del Pd è stata anticipata al febbraio 2008).
Quello che emerge alloggi è un quadro in movimento che coinvolge l'intera sinistra politica di partito. Ne è segno, ovviamente, anche l'invito di Fausto Bertinotti - all'indomani della crisi del governo Prodi e sua risoluzione verso il 'centro' - col quale il presidente della Camera ha prefigurato uno scenario nuovo, di confronto sui 'temi di fondo' fra tutte le sinistra indipendentemente dalla loro collocazione attuale.
Ieri, in una lunga seduta di segreteria, Rifondazione ha parlato proprio di questo rilancio con cui Bertinotti ha riaperto i giochi (oltre che della prossima conferenza di organizzazione del partito che inizia il 29 marzo, di voto al senato sull'Afghanistan, di temi sociali).
Bene, la conclusione della segreteria sul nuovo 'scenario' sembra abbastanza prudente. In sostanza: «buonissimo punto di partenza ma nessuna accelerazione organizzativa». La decisione - come confermato da Maurizio Zipponi - è quella di costituire subito, per il momento. la costituzione formale della «sezione italiana della Sinistra europea», nella sua dimensione politica, organizzazione, e regole interne. Avverrà da questo soggetto attrezzato per l'occasione, il processo di «incrocio con esperienze, pratiche, protagonisti della sinistra italiana».
In sostanza, non sembra volersi sbilanciare prima del tempo Rifondazione. Salvo poi dover investire la Conferenza di organizzazione di decisioni politiche - giacchè il suo inizio è proprio all'indomani dell'assemblea del 28 della sinistra Ds. Ma certo il Prc appare in un momento di grande difficoltà interna, per la non esaltante riuscita del progetto iniziale di stare contemporaneamente «dentro e fuori dalle istituzioni» - con il singolare riflesso di esternalizzare (contro Revelli, il manifesto, o quant'altri) i propri problemi. Forse anche a questo si deve la prudenza. Non a caso ieri è stata rinviata - anche per l'assenza del capogruppo alla camera Gennaro Migliore - ogni discussione sulle posizioni , come quella di Paolo Cacciari, contrarie alla guerra senza 'se e ma'.
Corriere della Sera 13.3.07
Partito democratico, in sala anche Ciarrapico ROMA — C'è un teatro pieno, l'Eliseo di Roma, e in platea ci sono politici e imprenditori, registi e attori, gente di estrazione diversa, cattolici, società civile: ovunque, compagni e compagne arrivati per assistere al convegno «Partito democratico, una necessita e una speranza»; e in seconda fila, proprio dietro Carla Fracci, c'è Giuseppe Ciarrapico , un tempo potentissimo, mediatore dell'accordo Mondadori tra De Benedetti e Berlusconi, poi condannato per bancarotta, affidato ai servizi sociali nel 2000, lui che certo non è mai stato di sinistra, è lì, in seconda fila. Ma che ci fa qui? Sorride: «Sono l'editore di undici giornali, e lavoro nel Lazio e...come dire?, il Lazio sono loro...». Guarda al partito democratico, Ciarrapico? «Io rimango legato alle mie origini, ciò non toglie che conosco l'attualità, e poi vediamo, ci si confronta...» (...)
Corriere della Sera 12.3.07
Usa e Cina in simbiosi economica. La Chimerica ormai è una realtà
di Niall FergusonLa teoria del caos suggerisce che basta una farfalla, semplicemente sbattendo le ali nella giungla dell'Amazzonia, a scatenare un uragano a Manhattan. Qualcosa di simile si può dire dei mercati finanziari, come abbiamo visto la settimana scorsa. La farfalla in questo caso è il nuovo mercato azionario di Shanghai. Quando gli investitori cinesi hanno sobbalzato martedì, ne è seguita una tempesta in quasi tutte le borse del mondo.
Man mano che il globo girava, martedì scorso, il valore delle aziende quotate in borsa si afflosciava in un mercato dopo l'altro. Le borse europee sono scese di quasi il 3 percento. A New York, lo
Standard and Poor 500 ha perso circa 3,5 punti percentuali. I cosiddetti mercati emergenti, come Argentina, Brasile e Messico, sono stati colpiti ancor più gravemente. Non meno di 45 dei 53 principali mercati azionari del pianeta hanno chiuso il mese su valori inferiori a quelli iniziali.
Per il fine settimana, tuttavia, gli analisti più scettici hanno sollevato qualche dubbio sulla versione degli avvenimenti ispirata alla teoria del caos. Come ha fatto una borsa con una capitalizzazione di mercato pari ad appena il 5 percento di quella di New York ad aver causato un tale scompiglio planetario? Devono esserci altri motivi. Forse l'uso della parola «recessione», saltata fuori in un'intervista ad Alan Greenspan? Signori, vi prego. Alan Greenspan ha lasciato il suo incarico alla guida della Fed oltre un anno fa.
A dire il vero, non occorre la teoria del caos per spiegare questi fenomeni: basta l'economia. Quello che si è verificato sotto i nostri occhi la settimana scorsa è sintomo di uno spostamento più profondo, a livello strutturale, nell'equilibrio del potere economico mondiale. Chiedetevi perché l'anno appena trascorso è stato così eccezionale per i mercati finanziari; perché quasi ogni mercato ha chiuso l'anno con rialzi da record; perché gli utili raccolti da banche d'investimento, hedge fund e gruppi di private equity sembravano sconfinati?
Alcuni analisti dicono che si trattava di liquidità eccessiva, mentre altri parlano di carenza di attivo. Tuttavia, la risposta più convincente è l'impatto sismico provocato dall'ingresso della Cina nell'economia globale. È stato l'effetto dell'immensa manodopera cinese a basso costo sui livelli salariali globali a spingere i profitti delle aziende Usa da circa il 7 per cento del Pil nel 2001 al 12 per cento lo scorso anno. Allo stesso tempo, è stata la valanga di risparmi cinesi confluita nel mercato capitale globale a causare il ribasso dei tassi d'interesse immobiliari su scala mondiale, da circa il 5 per cento 7 anni fa al 2,8 per cento l'anno passato.
Riflettiamo: gli utili aziendali crescono a dismisura, mentre i tassi d'interesse reale restano molto al di sotto della loro media su lungo periodo. Chiunque abbia voglia di mettersi in tasca un bel po' di soldi sa benissimo che cosa fare. Prendere a prestito il più possibile e acquistare le aziende con i maggiori utili. Ovvio, molti economisti si preoccupano per gli squilibri mondiali collegati all'ascesa cinese. Da un lato, puntano il dito verso l'esplosione delle esportazioni cinesi che l'anno scorso hanno generato un'eccedenza nelle partite correnti di oltre 230 miliardi di dollari; dall'altro, segnalano un crescente deficit nella bilancia commerciale americana equivalente a oltre il 6 per cento del Pil. Ricordando lo scompiglio causato da squilibri molto più contenuti negli anni '70 e '80, queste «Cassandre» profetizzano il crollo del dollaro e altre catastrofi.
Eppure c'è un altro modo per esaminare questi presunti squilibri: non sono infatti più preoccupanti di quanto non lo siano, mettiamo, le vastissime disparità tra California e Arizona. Pensiamo agli Usa e alla Repubblica Popolare non come due paesi, ma come un'unica entità: la Chimerica. È un paese impressionante: appena il 13 per cento della superficie terrestre, ma un quarto della sua popolazione e un buon terzo della produzione economica mondiale. Per di più, la Chimerica ha toccato quasi il 60 per cento della crescita globale negli ultimi 5 anni. Il loro rapporto non è necessariamente sbilanciato, anzi, appare piuttosto simbiotico. I chimericani dell'est sono risparmiatori; quelli dell'ovest sono spendaccioni. I chimericani dell'est si occupano di produzione, quelli dell'ovest del terziario. I chimericani dell'est esportano, quelli dell'ovest importano. A est si accumulano riserve, a ovest si producono deficit, accompagnati da emissioni di obbligazioni in dollari di cui sono ghiotti i chimericani dell'est. Come in tutti i matrimoni riusciti, le differenze tra le due metà della Chimerica sono complementari.
Accumulando pacchetti azionari in dollari, la Banca della Cina non si limita solo a finanziare gli sperperi americani, ma rallenta sistematicamente l'apprezzamento della valuta cinese, mantenendo così le esportazioni cinesi a basso prezzo. Allo stesso tempo, la Banca della Cina sta creando il migliore fondo di stabilizzazione che si possa immaginare. Quando si ha un trilione di dollari sotto chiave, ci si sente immuni dalle crisi monetarie che hanno travagliato le altre economie asiatiche negli anni 1997-1998.
E questa è una delle ragioni per cui la volatilità del mercato azionario della scorsa settimana ha rappresentato una «correzione», non un crollo, e meno che mai l'inizio di un lungo periodo di crisi.
E che dire di tutti quei rischi politici che riempiono i notiziari, in particolare il pericolo di un allargamento del conflitto in Medio Oriente? Paradossalmente, più diventa pericoloso il Medio Oriente, più salda appare la Chimerica, perché il rischio geopolitico incoraggia gli investitori asiatici a mettere al riparo i loro soldi nel fortino degli Stati Uniti.
Non c'è dubbio che vedremo nuovi alti e bassi man mano che gli investitori cinesi imparano la lezione, ovvero che «la performance passata non è garanzia di risultati futuri». Ma i loro scombussolamenti periodici non causeranno nient'altro che qualche scossone di volatilità finanziaria globale, un acquazzone in confronto al solleone secolare che splende sulla simbiosi tra Cina e America. La Chimerica, nonostante il nome, non è una chimera.
© Niall Ferguson, 2007 Traduzione di Rita Baldassarre