lunedì 15 gennaio 2007

l’Unità 15.1.07
Se le polemiche sull’indulto
passano dal paesino di Erba
di Luigi Cancrini


Caro Cancrini,
nei giorni successivi al massacro di Erba, La Stampa e il Corriere della Sera hanno immediatamente collegato questo fatto atroce all'indulto di luglio. Le indagini, successivamente, sono andate in un'altra direzione ma l'effetto di quel collegamento resta. Siamo davvero meno sicuri oggi, dopo l'indulto? Davvero l'indulto è stato un errore dal punto di vista della politica criminale?
Lettera firmata

Sappiamo oggi con certezza che il delitto di Erba è stato commesso da due persone che non avevano usufruito dell'indulto. Due persone considerate fino a ieri delle persone «perbene», senza rapporti precedenti con la giustizia. Come accade spesso nel caso dei delitti più atroci e più difficili da spiegare. L'episodio cui lei fa riferimento nella sua lettera, tuttavia, resta. Segnalando con chiarezza il pregiudizio, a volte davvero protervo, con cui gran parte della stampa italiana ha accolto la legge sull'indulto: raccogliendo tutto quello che si poteva raccogliere per far sembrare demagogica e pericolosa una decisione del Parlamento, discutibile e discussa nei dettagli (io personalmente mi sono astenuto, in aula, perché l'assemblea aveva ritenuto di non escludere dall'indulto i reati mafiosi collegati al voto), ma profondamente giusta nella sostanza per la sua capacità di dare risposta ad un problema, quello del sovraffollamento delle carceri italiane, di cui era non solo opportuno ma doveroso farsi carico. Con urgenza.
La tecnica usata da molta stampa per informare (ma, in casi come questo, per «disinformare») il lettore sugli effetti di un provvedimento legislativo è stata in realtà fin da subito semplice ed efficace. Diciassettemila persone erano uscite a seguito dell'indulto proprio in quel primo mese, giornali e televisioni hanno iniziato da subito a dare ampio risalto al dato per cui alcune di loro commettevano di nuovo dei reati. Senza porsi il problema del rapporto fra numero dei reati, però, e numero degli «indultati» e senza fare confronti fra la percentuale degli indultati recidivi e quella dei detenuti che recidivano, senza indulto, quando escono dal carcere. Evitando il confronto con i numeri e il ragionamento sul modo in cui le persone (i detenuti sono soprattutto persone) hanno reagito ad un provvedimento di clemenza, la gran parte dei giornali italiani di destra, di centro e di centro sinistra si è data da fare per «dimostrare» che la gente aveva ragione quando pensava che un'orda impazzita di gente uscita dal carcere avrebbe messo a soqquadro la città, a rischio la sicurezza dei cittadini. Accarezzando o suscitando le emozioni dei lettori cui piace sentir parlare di politici incoscienti e di cattivi da sbattere dentro carceri di cui bisognerebbe perdere poi per sempre le chiavi. Paradosso dei discorsi sulla giustizia dell'Italia di oggi, un paese in cui nessuno dovrebbe essere giudicato colpevole fino al momento della sentenza definitiva (che è tale, a volte, dopo un quarto o un quinto livello di giudizio: Previti è ancora oggi «onorevole») ma per cui, al tempo stesso, basta stare in per essere «pericoloso». Senza speranza alcuna di cambiamento.
La confusione che si è determinata a questo punto a livello d'immaginario collettivo, mi dico a volte, è stata tale da coinvolgere troppi giornalisti e troppi opinionisti in una visione confusa e parziale della realtà. Una visione cui la possibilità di legare all'indulto e ad un indultato un massacro come quello di Erba è sembrata un'occasione davvero straordinaria per sottolineare quanto avevano avuto ragione fin dall’inizio a criticare la legge: bacchettando insieme l'insipienza dei politici e la pericolosità dei detenuti. Riaffermando la superiorità di chi da fuori, senza responsabilità diretta, può permettersi di dare giudizi gratuiti (o a pagamento).
L'esito delle indagini sul delitto di Erba permette di uscire da questa ambiguità? Probabilmente no. Quelli che lo permettono in modo molto più chiaro sono però i numeri proposti dal ministro Mastella al Senato. Valutando i dati sui reati commessi nel terzo trimestre del 2006 (nei mesi cioè di luglio, agosto e settembre) in tutta Italia, il Ministero ha documentato infatti una diminuzione percentuale del 2.70% nei confronti di quelli commessi, nello stesso trimestre, un anno prima. Comparando ancora i dati relativi al trimestre agosto - ottobre nei circondari di Milano, Roma, Napoli e Palermo (che avevano già fornito i dati relativi ad ottobre) con quelli relativi allo stesso trimestre degli ultimi sette anni, ugualmente, i reati commessi nel 2006 e quelli, in particolare, legati ai reati gravi, come l'omicidio, sono leggermente al di sotto della media. Il fatto che dai 60.710 detenuti in carcere dal 31 Luglio 2006 si sia passati ai 39176 del 15 novembre 2006 ed il fatto che, nello stesso periodo 17423 soggetti già fuori dal carcere abbiano usufruito dell'indulto per le loro misure alternative (affidamento in prova o detenzione domiciliare) significa in effetti che si sono mossi liberamente 34878 in Italia, in quei mesi, persone che erano sottoposte a misure di sorveglianza e che questo non ha determinato però nessuna ondata di violenza, nessun rischio in più per il cittadino. Se si riflette, d'altra parte, sul fatto per cui, in mancanza o in carenza grave, anche in questo caso, di provvedimenti utili al reinserimento sociale e lavorativo degli ex-detenuti, la gran parte delle recidive di reato si verifica abitualmente proprio nei giorni e nei mesi subito successivi alla scarcerazione, quella cui ci troviamo di fronte, ragionando sui dati forniti dal ministero, è la percentuale clamorosamente bassa di recidive che riguarda proprio gli indultati.
Scriveva Bateson molti anni fa che se si dà un calcio ad un sasso si può calcolare con relativa facilità il movimento successivo del sasso ma che molto più difficile è prevedere il movimento di un uomo che riceve lo stesso calcio. Il modo in cui il soggetto vivente reagisce ad un certo evento è di fatto assai difficile da prevedere semplicemente perché noi non abbiamo mai sotto controllo tutte le variabili che lo determinano. Quello che viene da pensare riflettendo sul caso degli indultati del 2000 è che la gran parte di loro (una grande maggioranza di loro) ha reagito ad un atto di clemenza e di giudizio con dei comportamenti più ragionevoli di quelli che avrebbe messo in opera se questo atto non fosse stato compiuto. Il detenuto non è infatti quello che il pregiudizio di tanti continua a presentare come un sasso: come un diverso lombrosianamente condannato, cioè, a delle condotte devianti. È un essere umano dotato di un repertorio ampio di comportamenti. Tocca a chi se ne occupa aiutarlo a tirar fuori quelli più costruttivi. Come forse si è fatto in questo caso. Dimostrandogli, con l'indulto, che chi gli chiede di rispettare i diritti degli altri sa rispettare i suoi. Anche all'interno di un carcere che è umano nella misura in cui sa essere a misura di uomo.

Repubblica 15.1.07
Festival delle scienze
L'intelligenza a pezzi
L'intervento del neuropsicologo Howard Gardner


La rassegna inizia oggi all'Auditorium di Roma Fra i protagonisti lo studioso americano e la sua teoria della conoscenza
Ogni individuo differisce da un altro per il profilo nella capacità di apprendere
La scuola deve far evolvere le persone a partire da questi elementi
La facoltà di comprendere non è unitaria, bensì multipla. Esistono quella logico-matematica, quella linguistica e altre ancora

Una certa insoddisfazione per il concetto di QI (quoziente di intelligenza, n.d.t.) e per il concetto di intelligenza unitaria è abbastanza diffusa. Si pensi, per esempio, alle opere di L. L. Thurstone, J.P. Guilford, e di altri psicologi critici. Dal mio punto di vista, tuttavia, le critiche non sono sufficienti. A dover essere messo in discussione, anzi a dover essere sostituito, è il concetto stesso di intelligenza unitaria.
Io credo che dovremmo lasciar perdere del tutto i test e le correlazioni tra i test e prendere in considerazione invece parametri più naturali per informarci su come gli esseri umani di tutto il mondo sviluppano facoltà determinanti per le loro vite. Si pensi, per esempio, ai marinai dei Mari del Sud, che sanno trovare la rotta giusta fra centinaia o perfino migliaia di isolette osservando le costellazioni delle stelle in cielo, percependo in che modo la loro imbarcazione scivola sull´acqua e prendendo nota di pochi e isolati punti di riferimento. In un gruppo di marinai di questo tipo il termine giusto per definire l´intelligenza sarebbe probabilmente attinente a questo loro modo peculiare di essere abili nella navigazione. Si pensi ora ai chirurghi e agli ingegneri, ai cacciatori e ai pescatori, ai ballerini e ai coreografi, agli atleti e agli allenatori, ai capi tribù e agli stregoni: dobbiamo prendere in considerazione ciascuna di queste funzioni diverse, se accettiamo il mio modo di definire l´intelligenza come la capacità di risolvere i problemi o di creare qualcosa che abbia valore in uno o più ambiti culturali. Fino a questo punto non ho detto se esiste una dimensione sola o più di una di intelligenza, né ho detto se essa sia innata o si sviluppi nel tempo. Ho piuttosto messo in rilievo la sola abilità di risolvere i problemi e creare qualcosa. Nel mio lavoro indago pertanto quali siano gli elementi basilari ai quali ricorrono i suddetti marinai, chirurghi e stregoni.
In questa impresa la scienza, nella misura in cui esiste, consiste nel cercare di scoprire la descrizione più appropriata per queste intelligenze. Che cosa è l´intelligenza? Cercando di rispondere a questa domanda con i miei colleghi ho esaminato una vasta gamma di parametri che, per quanto ne so, fino ad allora non erano mai stati presi in considerazione tutti insieme. Uno è ciò che già sappiamo in relazione allo sviluppo delle diverse capacità nei bambini normali. Un altro, molto importante, è scoprire in che modo queste facoltà si perdono in talune circostanze di danno cerebrale. Quando un individuo subisce un ictus o un altro tipo di danno cerebrale, talune facoltà, in modo del tutto indipendente dalle altre, possono andare perse, come possono pure essere mantenute.
Questa ricerca su pazienti colpiti da danni cerebrali ha dato tutta una gamma di riscontri molto validi, in particolare perché è parsa riflettere il modo col quale il sistema nervoso si è evoluto nel corso dei millenni per creare tipi di intelligenza diversificati.
Il mio gruppo di ricerca ha esaminato anche altri soggetti particolari - i bambini prodigio, gli idiot savant, i bambini autistici, i bambini con difetti cognitivi -, tutti soggetti che presentano profili cognitivi alquanto irregolari, difficili da spiegare in termini di concetto unitario di intelligenza. Abbiamo esaminato l´apprendimento in diverse specie animali e in culture radicalmente differenti. Alla fine, abbiamo studiato attentamente due tipi di prove psicologiche: le correlazioni tra i test psicologici del genere fornito da un´analisi fattoriale di una serie di test e i risultati dei tentativi di insegnare determinate abilità. Per esempio, allorché si insegna a qualcuno la capacità A, quanto si apprende si trasferisce automaticamente alla capacità B? L´insegnamento della matematica, per esempio, esalta le facoltà musicali dell´individuo o accade viceversa?
Chiaramente, esaminando tutti questi parametri - informazioni sullo sviluppo, sulla perdita delle facoltà, su alcuni soggetti particolari e così via - abbiamo finito col mettere insieme una grande dovizia di informazioni. Teoricamente, avremmo dovuto eseguire un´analisi dei fattori, introdurre tutti i dati in un computer e quindi prendere nota dei tipi di fattori o di intelligenze che ne sarebbero stati estrapolati. Ahimè! Questo genere di materiale non esisteva in una formula passibile di essere elaborata a livello informatico, e di conseguenza abbiamo dovuto eseguire un´analisi più soggettiva dei vari fattori.
In verità, abbiamo studiato i risultati quanto meglio abbiamo potuto, cercando di organizzarli in modo tale che avessero senso per noi e, possibilmente, per i lettori più critici. L´elenco di intelligenze che ne ho ricavato è un tentativo preliminare di organizzare questa grande massa di informazioni.
Vorrei ora ricordare brevemente le intelligenze che abbiamo identificato e riportare uno o due esempi di ciascuna. L´intelligenza linguistica è quel tipo di facoltà che i poeti, forse, esprimono nella sua forma più completa. L´intelligenza logico-matematica, come sottintende il suo stesso nome, è la facoltà logica e matematica, come pure l´attitudine scientifica. Jean Piaget, il grande psicologo dello sviluppo, pensava di studiare tutta l´intelligenza, mentre io ritengo che egli studiasse soltanto lo sviluppo dell´intelligenza logico-matematica.
Anche se in primis parlo delle intelligenze linguistiche e logico-matematiche, ciò non vuole dire che io le reputi le più importanti. In effetti penso che tutte e sette le intelligenze abbiano uguale posizione prioritaria.
Nella nostra società, tuttavia, abbiamo per così dire collocato l´intelligenza linguistica e l´intelligenza logico-matematica su un piedistallo, figurativamente parlando. Buona parte dei nostri test si basa su questa alta considerazione delle facoltà verbali e matematiche dell´individuo. Se si eccelle nell´espressione linguistica e in logica si avranno eccellenti risultati nei test di QI e nel SAT (Test di Valutazione Scolastica, n.d.t.), e si potrà di conseguenza avere accesso a un´università prestigiosa. Se andrà altrettanto bene una volta decollati, dipenderà probabilmente in egual modo dalla misura in cui si è in possesso e si fa uso delle altre intelligenze, ed è a queste che voglio pertanto rivolgere la medesima attenzione.
L´intelligenza spaziale è la facoltà di elaborare un modello mentale di mondo spaziale ed essere in grado di posizionarsi e operare in rapporto a quel modello. I marinai, gli ingegneri, i chirurghi, gli scultori e i pittori - per citare soltanto qualche esempio - sono forniti tutti di un´intelligenza spaziale spiccata e sviluppata.
L´intelligenza musicale è la quarta categoria che ho identificato: Leonard Bernstein ne ha in grande quantità, Mozart, presumibilmente, ne aveva molta di più. L´intelligenza cinestetica corporea è la facoltà di risolvere problemi o creare utilizzando interamente il proprio corpo o alcune sue parti. I ballerini, gli atleti, i chirurghi e gli artigiani presentano tutti un´intelligenza cinestetica corporea molto sviluppata.
Infine, propongo altre due tipologie di intelligenza personale non del tutto chiare, che eludono facilmente l´osservazione, ma sono ciò nondimeno estremamente importanti. L´intelligenza interpersonale è la capacità di comprendere il prossimo e gli altri, di comprendere che cosa li motiva, come lavorano, come collaborare opportunamente con loro. È verosimile che i negozianti di successo, i politici, gli insegnanti, i clinici e i capi religiosi siano tutti individui con un alto livello di intelligenza interpersonale. L´intelligenza intrapersonale, invece, la settima tipologia di intelligenza, è la medesima facoltà correlativa, rivolta però a se stessi: è pertanto la capacità di formarsi un modello preciso e veridico di sé ed essere in grado di usare questo modello per agire efficacemente nella vita.
Queste, dunque, sono le intelligenze che abbiamo descritto nelle nostre ricerche. (In seguito ho aggiunto all´elenco un´ottava intelligenza, quella "naturalistica", e ho preso altresì in considerazione l´idea di una nona, l´intelligenza "esistenziale"). Come ho già detto, si tratta di un elenco preliminare. Chiaramente, ciascuna tipologia di intelligenza può essere a sua volta suddivisa, ed è altresì possibile ridefinire l´elenco.
Inoltre, noi crediamo che gli individui possano differire nei particolari profili di intelligenza che sono loro innati e di sicuro differiscono nei profili che finiscono col ritrovarsi. Penso alle intelligenze come a una serie di potenziali biologici primigeni, che possono essere contemplati nella loro forma più pura soltanto negli individui che sono, in senso tecnico, "tipi strani". In quasi qualunque altro individuo, le intelligenze multiple collaborano tutte insieme alla risoluzione dei problemi e per produrre vari tipi di esiti culturali (professioni, passatempi, e simili).
Questa, in estrema sintesi, è la mia teoria delle intelligenze multiple. Dal mio punto di vista, obiettivo della scuola dovrebbe essere quello di far evolvere le intelligenze e aiutare le persone a conseguire gli obiettivi professionali e velleitari più consoni al loro particolare ventaglio di intelligenze. Coloro che ricevono aiuto in tale iter credo si sentano più impegnati, più competenti e di conseguenza più propensi a servire la società in modo costruttivo.
Tratto da "The Development and Education of the Mind". Traduzione di Anna Bissanti

Repubblica 15.1.07
Nelle sale "La guerra dei fiori rossi" di Zhang Yuan e Wang Shou, invisi alle autorità di Pechino
Il piccolo ribelle all'asilo dei divieti l'altra faccia della Cina di Mao
di Renata Pisu


Un´infanzia cinese, tanti bambini di un asilo nel cuore di Pechino, una città che si indovina al di là dei muri rosso porpora, come quelli della Città Proibita. Una Cina piccina, una Cina vicina, giochi e canzoncine, tutti in fila per uno, mani dietro la schiena. Seduti! In piedi! Piccolissimi cinesi dai tre ai cinque anni che imparano a vestirsi da soli e porgono il culetto nudo alla maestra la quale con un asciugamano umido lo strofina bene, cerimonia serale prima della buonanotte. Piccole cose di piccoli cinesi nella Cina degli anni Cinquanta, quando già regnava Mao, il grande paese aveva mosso i primi passi della sua lunga marcia verso la modernità e nessuno sapeva come sarebbe andata a finire la storia, che cosa avrebbero mai fatto da grandi tutti quei bambini e quelle bambine. Sarebbero diventati robot o ribelli?
Zhang Yuan, regista di fama internazionale, vincitore di un Leone d´argento per il film "Diciassette anni", con questa nuova opera "La guerra dei fiori rossi" che sugli schermi italiani da questo fine settimana, racconta, puntando l´obiettivo su 135 attori-bambini, un presente minimo che è già passato e suscita nostalgia, tant´è vero che in Cina il film ha subito conosciuto grande successo di pubblico, tutti a godersi il ricordo di quando eravamo "poveri ma belli" e i bambini portavano i pantaloncini spaccati sul di dietro, proprio come nel film, così per un bisogno bastava accucciarsi per terra e non si sprecavano tonnellate di cellulosa per i pannolini. Film minimo tutto centrato sui bambini - pochi gli adulti, né antipatici né simpatici, indifferenti anche se influenti - "La guerra dei fiori rossi" è tratto da un racconto autobiografico dello scrittore Wang Shou, personaggio che in Cina gode di una fama unica, è il ribelle più noto e più sboccato che ci sia, fiumi di parolacce e commenti irriverenti sgorgano dalla sua bocca quando parla, dal suo pennello quando scrive. Oggi come oggi, grazie ai suoi sceneggiati televisivi vanta una audience che va dai duecento ai trecento milioni di spettatori a serata, tuttavia Wang Shou, che avrebbe desiderato fare cinema, non può farlo. L´unico film da lui diretto "Baba" ha suscitato tali e tante ire ufficiali che il grande schermo gli è stato precluso, il piccolo no, altrimenti vi sarebbe un sollevamento dei telespettatori.
Comunque Wang Shou, che ha collaborato alla stesura della sceneggiatura di "La guerra dei fiori rossi", adesso si è preso una rivincita: sì, perché il protagonista della vicenda è proprio lui da piccolo, il bambino che lo impersona gli assomiglia come se fosse suo figlio, l´infanzia raccontata nel film è la sua, è lui l´unica pecora nera dell´asilo che si fa la pipì addosso davanti a tutta la classe, che mai riesce a meritarsi il premio di un fiore rosso perché non riesce proprio a fare la cacca a comando, collettivamente, tutti i maschietti accucciati in fila in una latrina e le femminucce in quella di faccia. E che fomenta addirittura la rivolta di tutti i compagni contro una delle maestre che, secondo lui, è un mostro divoratore di bambini. Per punizione viene rinchiuso in uno stanzino buio e quando gli viene finalmente permesso di unirsi ai compagni si sente ancora più isolato di prima. Soccomberà al conformismo imposto dagli adulti, o insisterà a voler crescere a modo suo, alla faccia di tutti?
Sapendo che il piccolo ribelle è in realtà Wang Shou, la domanda potrebbe sembrare retorica, ma non tutti lo sanno e l´immagine finale del film - il bambino che medita seduto su di un masso - sembra suggerire che la questione è aperta. Ma questo è il finale che la censura ha imposto, come ha imposto tanti altri tagli. Il finale pensato da Zhang Yuan (e concordato con Wang Shou) era un finale forte: un corteo di lavoratori modello sfilava davanti al piccolo suonando tamburi e inneggiando al partito. Lui gli faceva pipì addosso. Zhang Yuan spiega di aver acconsentito a questo e altri tagli perché non ne poteva più di fare film clandestini, film cioè che in Cina non vengono proiettati perché la sceneggiatura non è stata sottoposta alla censura preventiva e che magari vengono poi riprodotti in copie pirata sulle quali la casa di produzione non guadagna niente. Nessuno dei suoi film più famosi e trionfatori a vari festival mondiali come "Bastardi pechinesi", "Palazzo Orientale, Palazzo Occidentale" e "Diciassette anni", era mai stato sottoposto alla censura dei tutori della pubblica morale socialista, quindi non erano film "cinesi". Con "La guerra dei fiori rossi" Zhang Yuan ha cambiato tattica e così questo suo film è il primo davvero "cinese" ("Diciassette anni" fu presentato a Venezia sotto bandiera italiana) e fa parte addirittura della lista dei film raccomandati dal Ministero della Cultura. Ed è anche la prima vera coproduzione cinematografica italo-cinese ufficialmente riconosciuta, prodotto per l´Italia da Marco Muller con la società cinese Good Tidings e in associazione con Rai cinema e l´Istituto Luce. Una coproduzione italo-cinese che presto sarà vista anche in Francia e in Gran Bretagna, un piccolo "kolossal" che resta un capolavoro nonostante i tagli di una censura che forse sta diventando un tantino più intelligente.