lunedì 30 gennaio 2006

Corriere della Sera, 31.01.06
Sentenza a Monza: tutela piena alla scelta della madre, in secondo piano il diritto alla paternità
«Aborto, decide la donna. Il no del marito non conta»
Lei rinuncia alla gravidanza, lui contesta. Il giudice: decide la donna


Una donna, sposata o meno che sia, ha diritto a interrompere la sua gravidanza entro i primi 90 giorni senza considerare il diritto alla paternità del padre del concepito. Così ha deciso il tribunale di Monza dando torto a unmarito che, dopo l’interruzione di gravidanza decisa dalla moglie senza consultarlo, aveva chiesto la separazione per colpa della donna e il risarcimento dei danni.
Un marito ha chiamato in causa la moglie di fronte al tribunale di Monza per chiedere la separazione, che doveva essere a lei addebitata, in quanto avrebbe violato i doveri che derivano dal matrimonio, e per chiedere anche il risarcimento del danno.
Qual era la colpa della signora? Avere abortito avvalendosi della legge 194 e perciò nel rispetto della normativa vigente, ma senza fare partecipe il marito della procedura per l’autorizzazione dell’interruzione di gravidanza. In particolare il coniuge invocava il proprio diritto alla paternità che avrebbe imposto, secondo lui, alla moglie «di tener conto delle sue ragioni eventualmente contrarie» dovendo «ritenersi illecito, nell’ambito del matrimonio, un ingiustificato rifiuto della donna a far partecipare alla decisione il marito-padre».
La sentenza del tribunale di Monza (presidente Piero Calabrò), depositata in questi giorni è rigorosa. Si fa riferimento a una sentenza della Cassazione (5 novembre ’98, n. 11094) che ha considerato irrilevante la questione di legittimità costituzionale in ordine all’art. 5 della legge 194/78, che individua nella donna l’unica titolare del diritto di interrompere la gravidanza senza attribuire alcun peso alla contraria volontà del marito e, a maggior ragione del padre naturale. La legge insomma tutela il diritto della madre, sposata o meno che sia, all’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni dal concepimento, in piena liberà di autodeterminazione, senza considerare il diritto alla paternità del padre del concepito, nonché il diritto alla vita di quest’ultimo.
La sentenza del tribunale di Monza procede rilevando che sarebbe quanto meno incongruo stabilire che la donna, quando abbia assunto anche la condizione di «moglie», debba essere sanzionata con l’addebito della separazione e con le rilevanti conseguenze giuridiche a tale pronunzia direttamente riconducibili (prima fra tutte la perdita dell’assegno di mantenimento) a causa e per effetto dell’esercizio di un diritto riconosciutole dalla legge. Ne consegue che di fronte alla decisione della moglie di abortire nel rispetto della legge 194, il marito potrà chiedere la separazione se non ha condiviso la scelta della moglie e se ritiene che la convivenza non sia più possibile. Ma certo non potrà chiedere che la separazione sia addebitata alla consorte e ancor meno che la consorte sia tenuta a risarcire il danno per la lesione al suo diritto alla paternità. È ben vero che la procreazione costituisce una dimensione fondamentale della persona ed una delle finalità primarie del matrimonio ma è altrettanto vero che colei che esercita un proprio diritto non può, per ciò solo, essere oggetto di un giudizio che la penalizza.
In un momento in cui la legge sull’aborto è diventato un tema incandescente è importante una decisione rigorosa come quella del tribunale di Monza, che afferma che non può derivare una sanzione alla moglie, né sotto il profilo dell’addebito della separazione, né sotto il profilo del risarcimento del danno per una scelta di interruzione della gravidanza riservata alla sola donna e avvenuta nei termini previsti dalla legge.
Cesare Rimini





Corriere della Sera, 30.01.06
«Caso Toscana»: da lì arrivano il 90% delle richieste
Storace: «Ru486, modificherò il decreto»
Il ministro ha annunciato limitazioni per l'acquisto di farmaci all'estero. In arrivo visite per gli immigrati che entrano in Italia


Il ministro della Salute Storace modificherà il decreto del 1997 per limitare l'acquisto all'estero della pillola abortiva. «Si sta cercando di aggirare le norme - ha detto il ministro, a Firenze per la consulta della salute di An -. Ne è esempio la Toscana per la pillola abortiva. Saranno poste condizioni più stringenti». «All'atto del nulla osta - ha aggiunto Storace - gli uffici chiederanno le motivazioni cliniche ed epidemiologiche a tutela della salute delle donne perché c'è chi sta scherzando con la loro salute. Deve esserci una necessità, un bisogno oggettivo, non può essere una materia politica. Solo in Toscana c'è questo bisogno». E parlando del «caso Toscana» il ministro ha detto: «Dal 1997 al 31 dicembre 2004 ci sono state, in media, diecimila confezioni di farmaci arrivate in Italia, ma mai una confezione di pillola abortiva. Si è scatenato tutto nel 2005: per la Ru486 il 90% delle procedure di acquisto è venuto dalla Toscana, e il 55% dallo stesso medico (Massimo Srebot, ASL5 di Pisa, ndr). La Toscana è la regina dell'incentivo all'aborto».
VISITE AGLI IMMIGRATI - Storace ha annunciato anche una novità che riguarda gli immigrati che entrano nel nostro paese. «Accanto al permesso di soggiorno vogliamo verificare le condizioni di salute di chi arriva in Italia - ha detto -. Stiamo ipotizzando una visita medica non per cacciare chi sta male, ma per curarlo. Questo è un dovere di uno Stato civile». Storace ha poi specificato che «si tratterà di test specifici per le persone che arrivano in Italia con i permessi di soggiorno. È ovvio che ci sarà chi strillerà - ha concluso Storace -; a sinistra non capiscono niente di queste cose. È un modo di dare un' ulteriore garanzia ai cittadini italiani e agli immigrati».
VIALE - Sulla questione della pillola abortiva interviene Silvio Viale, promotore a Torino della sperimentazione clinica della Ru486 «La modalità annunciata da Storace per dare il nulla osta all'importazione non ha fondamento scientifico, è antieuropea e anticostituzionale - ha detto il ginecologo ed esponente della Rosa nel Pugno -. Non c'è alcun motivo per non utilizzare in Italia un farmaco registrato nei Paesi dell'Ue proprio perché approvato dalle rispettive agenzie farmacologiche e riconosciuto da quella europea, l'Emea». «Storace approfitta dei tempi stretti che intercorrono tra la richiesta di interruzione di gravidanza e la possibilità di utilizzare l'aborto farmacologico» ha aggiunto il medico torinese, che nell'ambito della sperimentazione all'ospedale Sant'Anna ha eseguito 126 trattamenti con la Ru486. In conclusione Viale definisce l'azione del ministro «vergognosa e codarda», aggiungendo che si tratta di «una manovra elettorale, un esplicito attacco alla 194 proprio alla vigilia della discussione in Senato della relazione della commissione affari generali sull'applicazione della legge».













Corriere della Sera, 30.01.06
Pechino mette al bando i cowboy gay
Ma per quattro cinesi su dieci i rapporti omosessuali non sono un problema
di Fabio Cavalera


Nel locale per gay sul viale ovest dello Stadio dei Lavoratori, pieno centro della capitale, il film «I segreti di Brokeback Mountain» l'hanno già proiettato richiamando un bel pubblico. Era un video pirata, naturalmente. Perché l'ultima opera del regista Ang Lee, premiato con il Golden Globe una decina di giorni fa, ufficialmente in Cina non è arrivata e forse non arriverà mai. La censura, quella insopportabile censura che tiene le lancette degli orologi ferme ai decenni dell'oscuramento culturale, ha messo il suo sigillo. Così rivela la rivista americana Variety che, vangelo della critica e del gossip cinematografico, raccoglie indicazioni sulla volontà della Amministrazione Centrale di vietare al pubblico cinese la pellicola sulla storia di un amore omosessuale fra due mandriani del Wyoming. Tabù insopportabile.
Nel mirino ci sarebbe anche «Memorie di una Geisha». Per puro risentimento antigiapponese. In verità questi signori, ultimi Cerberi di un comunismo che la modernizzazione ha sotterrato, non sono mica gli unici omofobici che in giro per il mondo hanno levato urla scandalizzate davanti alle immagini dell'ultimo successo del maestro Ang Lee (nato a Taiwan) già vincitore di un Oscar nel 1997 con la «Tigre e ilDragone». In compagnia si sono ritrovati con gli ultrabigotti dello Stato dello Utah negli Stati Uniti i quali hanno addirittura chiuso alcune sale per impedire che si potesse diffondere la «peste» dei «Segreti di Brokeback Mountain». La differenza è che negli Usa una risata ha sepolto i crociati che se la sono data a gambe. In Cina la situazione è invece molto più complessa. E una sonora risata non è l'antidoto che agisce sul cervello di quei guardiani- mandarini. Anzi.
Per fortuna nell'Impero di Mezzo la vita non marcia più come una volta. La società reale èmolto più illuminata della società politica che indossa i panni di un totalitarismo ideologico semimummificato e di un'etica (confuciana) bacchettona. C'è uno scontro sempre meno nascosto fra la libertà di valori portata dal miracolo economico e i vecchi vincoli determinati dall'«istituzione partito». Il caso dei «Segreti di Brokeback Mountain» è davvero illuminante su ciò che accade in Cina. Da una parte i divieti e le ossessioni. Dall' altra il bello del sogno e della rincorsa alla espressione libera che aggira le barriere e dona prospettive nuove.
Su un tema profondo e intimo come l'omosessualità la Cina ha un po' rimescolato le sue forme di pudore. I sentimenti e la sensibilità dei cittadini sono assai meno ottusi di quanto siano i censori della Amministrazione della radio, dei film e della televisione. Oggi un sondaggio su Internet informa che quattro cinesi su dieci non considerano per niente disdicevole ammettere l'omosessualità, uno non ha opinione, due sono incerti e tre restano bruciati come se fossero ripassati dall'ortica. E' già un grande passo avanti.
Le frange del cattolicesimo ultrà e reazionario nell'Occidente e l'integralismo estremista nell'Islam hanno tentato di trasformare la verecondia e il pudore in fanatismo producendo enormi guasti in tema di educazione alla sessualità. Va riconosciuto.Maqua, nell'altra metà del globo, nella Cina confuciana buddista e taoista oltre che comunista, la storia scolastica e universitaria ha dimenticato di scrivere sui libri che nelle corti imperiali l'amore omosessuale era praticato, e pure l'amore saffico univa le concubine. Neimillenni si sono succeduti imperatori etero e imperatori gay. Lo era, si racconta, il leggendario Imperatore Giallo, Huang Di, della dinastia di fondazione Han agli albori del Grande Regno.
Ma era vietato spiegarlo. La rivoluzione del 1949 non ha mica cambiato quelle rotte di omertà e di false castità. Un peccato per l'intransigenza religiosa che supera ogni teologica e dotta interpretazione dei libri sacri. Una deviazione borghese per l'ideologia della presunta liberazione. L'omosessualità è restata «pratica criminale » e solo alla fine degli anni Novanta l'hanno depenalizzata. Ed era persino nella lista «di classificazione diagnostica dei disordini mentali». Un omosessuale o una lesbica erano per definizione cerebrolesi. Nel 2002, terzo millennio, per fortuna anche questa vergogna è stata abolita.
Ma la Cina ha tante facce. Le istituzioni politiche sono sclerotizzate in vecchi stereotipi. Nel 2004 la coraggiosa sociologa della Accademia delle Scienze, Li Yinhe, ha proposto alla Assemblea Nazionale una legge per il riconoscimento delle relazioni fra omosessuali ma ha raccolto la miseria di 35 firme e l'iniziativa è finita nel cestino. Nel dicembre scorso il primo festival degli omosessuali è stato vietato. «Destabilizza » le coscienze. La società è però avanti anni luce rispetto a chi la rappresenta. I gay e le lesbiche hanno i loro locali, si amano e si divertono a guardare i dvd pirata dei «Segreti di Brokeback Mountain». Alla faccia dei censori.
Fabio Cavalera














Gazzetta del Sud, 30.01.06
Emergenza depressione: cosa fare
Non solo farmaci per curarsi secondo Antonio Tundo, direttore dell'Istituto di Psicopatologia di Roma
Come essere vicini in modo giusto a chi soffre
di Giorgio Perrotti


L' Organizzazione mondiale della sanità, ha lanciato l'allarme: agli attuali ritmi di crescita tra meno di 15 anni la depressione sarà la seconda causa di disabilità nel mondo. Ma già oggi quindici persone su cento sviluppano, nel corso della vita, un episodio depressivo e si calcola che in Italia siano 8 milioni coloro che soffrono di depressione. Il disturbo è più frequente nelle donne che negli uomini, con un rapporto di 2 a 1, e compare tra i 20 e i 50 anni, anche se nessuna età ne è immune. Ne parliamo con Antonio Tundo, direttore dell'Istituto di Psicopatologia di Roma.
– Possiamo parlare di una patologia dei tempi moderni? «In realtà la depressione è nota fin dall'antichità e ha accompagnato l'uomo in tutte le epoche e a tutte le latitudini. Le prime citazioni le ritroviamo nell'Iliade, in cui Omero descrive la tristezza di Bellorofonte che concluse la sua vita con un suicidio, e nella Bibbia, dove si parla della grave forma di depressione a cui periodicamente andava incontro re Saul. Certamente, le indagini epidemiologiche ci dicono che, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, la depressione è diventata sempre più diffusa ma gli stessi esperti non sanno bene il perché. Per alcuni si tratta solo di un artefatto, di un aumento apparente dei casi dovuto in parte al miglioramento delle rilevazioni statistiche, in parte alla maggiore propensione di chi soffre di depressione a dichiararlo e a chiedere aiuto allo specialista. Secondo altri, invece, sarebbero i ritmi e lo stile di vita di oggi a facilitare, in chi è predisposto, l'insorgenza della depressione. Un impatto negativo avrebbero soprattutto l'accelerazione dei ritmi di vita, con l'aumento del numero di ore dedicate al lavoro e la riduzione di quelle dedicate al riposo, e l'uso sempre più diffuso di stimolanti, come il caffè, di alcol e di droghe».
– Ma che cosa è la depressione, come si manifesta? «È un disturbo complesso che coinvolge e altera l'intera persona, dai sentimenti alle energie, dal pensiero alle funzioni neurovegetative. Spesso, ma non sempre, inizia in modo subdolo ed è preceduta, per settimane o mesi, da alcuni "sintomi-spia" come facilità a cambiare umore, riduzione delle energie, nervosismo, difficoltà di concentrazione, riduzione dell'appetito, insonnia. In fase conclamata lo stato d'animo è malinconico ("sono triste, avvilito, sfiduciato, disperato") ed è poco influenzabile da ciò che accade ("mi ha lasciato indifferente anche la laurea di mia figlia"). L'umore nero si accompagna all'anedonia, cioè l'incapacità di provare gioia o piacere, alla perdita di interessi ("non ho più voglia di giocare a calcetto"), alla sensazione di aridità affettiva ("non provo più nulla per mio marito e per i miei figli"). Comune è l'ansia, che si manifesta con un continuo stato di preoccupazione ("non riesco a rilassarmi mai, ho sempre un pensiero che mi angoscia") o con disturbi somatici ("non riesco a digerire", "ho sempre mal di testa"). Le energie sono ridotte per cui qualsiasi attività comporta uno sforzo enorme ("mi affatica perfino cucinare") tanto che, nei casi più gravi, anche l'igiene personale viene trascurata ("mi vergogno a dirlo ma sono venti giorni che non faccio la doccia e che metto sempre lo stesso vestito"). La concentrazione e la memoria sono temporaneamente compromesse ("non riesco a leggere neanche il giornale: guardo il titolo senza capire quello che c'è scritto"). I pensieri sono rallentati ("ho la testa vuota, non riesco a pensare a nulla") e ruotano tormentosamente su temi di autosvalutazione ("sono un fallito"), di colpa e rovina ("ho sbagliato a comprare la macchina nuova, con quello che mi costa andrò in rovina"), sulla paura di avere una grave malattia fisica ("ho continuamente mal di stomaco... penso di avere un tumore") e sulla mancanza di speranza nel futuro. Il desiderio di morire è presente almeno nei due terzi dei casi ("vorrei addormentarmi e non svegliarmi più"), mentre 15 persone depresse su cento mettono in atto tentativi di suicidio. Sul piano neurovegetativo sono quasi sempre presenti insonnia, riduzione dell'appetito, difficoltà sessuali. Caratteristica è la variazione dell'intensità della sintomatologia nell'arco della giornata con l'acme al mattino e il miglioramento serale».
– Che cosa succede se non è curata? «Anche se non si seguono terapie specifiche, la depressione quasi sempre si risolve da sola entro 6-12 mesi; solo nel 20% dei casi la sua durata supera i due anni e diventa "cronica". Il fatto che potrebbe cessare spontaneamente non significa che si possa fare a meno di curarla, anzi... una depressione trascurata può causare gravi conseguenze: mesi e mesi di sofferenza per chi sta male e di angoscia per chi gli è vicino, riduzione delle capacità lavorative, problemi economici, rischio di sviluppare un abuso di alcol o droghe usate per attenuare il malessere che deriva dal "male oscuro", fino ad arrivare ai casi estremi, ma non rari, di morte per suicidio o per complicanze dovute a concomitanti malattie internistiche trascurate, come diabete, ipertensione ecc...».
– Quali sono le cure? «I farmaci sono la colonna portante, insostituibile, del trattamento della depressione, soprattutto delle forme medie e gravi. Oggi abbiamo a disposizione diverse classi di antidepressivi, dai triciclici agli Imao, dai serotoninergici alle molecole di nuova generazione, che consentono di ottenere un risultato positivo nell'80-90% dei casi, una percentuale di successi vicina a quella degli antibiotici».
– Quanto deve durare la cura? «Nella maggioranza dei casi qualche settimana dopo l'inizio della terapia il paziente inizia a dormire meglio, a essere meno ansioso, più ottimista e fiducioso, a riprendere gli interessi e la gioia di vivere; la completa guarigione arriva in genere entro 3-4 mesi».
– La psicoterapia può essere un'alternativa ai farmaci? «Alcuni recenti studi hanno dimostrato che la psicoterapia cognitivo-comportamentale e interpersonale sono una possibile alternativa ai farmaci quando si tratta di depressioni lievi, condizioni che peraltro raramente arrivano all'osservazione dello specialista».
– Come si può aiutare un amico o un familiare che soffre di depressione? «Per essere vicini in modo giusto a chi soffre di depressione bisogna innanzitutto tenere sempre presente che si tratta di un vero e proprio disturbo che, per giunta, toglie la capacità di reagire. Pertanto frasi come "perché sei depresso, cosa ti manca? hai una bella famiglia, un buon lavoro, non hai problemi di soldi" oppure "sforzati", "reagisci", "mettici un po' di buona volontà" non solo sono inutili ma, spesso, controproducenti perché fanno sentire incompresi, causano idee di colpa, rendono ancora più profonda la sofferenza. Esattamente come si farebbe con una persona affetta da un'importante malattia fisica, è opportuno mostrarsi disponibili e comprensivi, dare il proprio sostegno emotivo, rafforzare la fiducia nelle cure mediche e nella possibilità di guarigione, proporre (ma non imporre!) piccole attività fisiche, come per esempio fare una passeggiata. Infine, si dovrebbe consigliare di non prendere decisioni importanti, come licenziarsi, separarsi, cambiare città, finché dura la depressione perché questa spesso impedisce una valutazione serena e obiettiva, porta a ingigantire i problemi, crea sfiducia nelle proprie capacità e induce a compiere delle scelte da cui non è più facile tornare indietro finendo con il condizionare negativamente il resto della vita.














Liberazione, 28.01.06
Bertinotti il dubbio e la politica
di Saverio Aversa


L'elegante casa del cinema di Roma, nascosta al traffico dalla vegetazione di villa Borghese, ha accolto ieri sera la presentazione del libro di Wilma Labate e Fausto Bertinotti Il ragazzo con la maglietta a strisce (Aliberti, pp.153, euro 13,50). L'occasione per parlare degli anni Sessanta, di politica e cultura, ma anche di come queste siano vissute oggi, con degli interlocutori speciali. Insieme a Labate e al segretario del Prc, Serafino Murri, Lietta Tornabuoni, Guido Chiesa. «Un libro dal fascino speciale, un libro di conversazione alta dove il filo conduttore è la memoria - lo ha definito Serafino Murri nell'introduzione all'incontro -. Usa il linguaggio cinematografico, è costituito da una serie di panoramiche per svolgere il racconto. Subito è sottolineato il rapporto tra politica e cultura, un sodalizio che si è andato sempre più sgretolando».

Tornabuoni ha esordito dichiarando il suo apprezzamento per il volume «picccolo, agevole, elegante, gradevole per i modi disinvolti, senza deferenze e inginocchiamenti». Mancano i toni apodittici, è apprezzabile lo stile scevro da dinamismi isterici che non appartengono ai due dialoganti. «La parte più esitante - commenta la giornalista della Stampa - è quella che affronta due temi "universali": il bello e la cultura, e i condizionamenti della mercificazione. Argomenti difficili perché è complicato stabilire cosa succederà in questi campi. Per esempio come individuare esattamente il motivo che impedisce al "movimento" di disobbedienza o di resistenza attuale di avere la stessa forza dirompente della rivoluzione culturale del '68? La cosa che mi piace di meno è il riferimento alla "maglietta a strisce": troppo circoscritta a un piccolo gruppo e sicuramente più conosciuta a Genova, a Milano, non certo a Roma, non ha un valore simbolico in tutta Italia. Degli indumenti di Bertinotti si è già parlato abbastanza. E poi ho notato che non si parla per nulla di sesso».

Bertinotti chiarisce che la maglietta a strisce è soprattutto legata al racconto della sua vita, a quel luglio del '60 e al suo primo approccio con l'attività politica: «Portavamo realmente tutti magliette a strisce molto simili». Il regista Chiesa dichiara anche lui immediatamente che il libro gli è piaciuto e che ha gradito molto il ruolo da provocatrice educata di Wilma Labate: «Mi ha colpito che Bertinotti abbia ammesso di parlare spesso del padre e quasi mai della madre. Spero sapremo di più di lei perchè nel libro non ha rimediato alla mancanza». «Mia madre - risponde il segretario del Prc - è stata importantissima per me, non sarei quello che sono. Ho imparato da lei tutto quello che concerne la "manutenzione": dei corpi, degli oggetti, delle relazioni». Continua Chiesa dichiarando di essere d'accordo con Bertinotti quando si esprime sul ruolo della cultura nel futuro, un'azione che non può essere salvifica. «I francesi le assegnano un compito che non le spetta. Trovo un poco sorpassato il riferimento al rapporto con il mercato e il limitare la questione a due possibilità. La prima è quella di usufruire di uno spazio autogestito, realmente liberato, pronto come dono e offerto gratuitamente. La seconda prevede invece la più forte è più selvaggia delle industrializzazioni. Non penso sia esattamente così. Le forme di autogestione spesso si sono rivelate fallimentari. Non credo in questa dicotomia. Si può e si deve intervenire nel mercato. Nel '68 il mercato non era così soverchiante, dominante e c'era la possibilità di sperimentare linguaggi "altri"». Chiesa riconosce a Bertinotti una capacità speculativa non comunemente riscontrabile nella sinistra italiana per esempio riguardo alla religione, alla sacralità del tempo. Gli attribuisce anche il coraggio di dichiarare la dimestichezza con Céline, un autore considerato più affine alla parte politica opposta. Il terreno apparentemente paludoso dell'ambiguità è invece molto utile perché produce chiarezza. La cultura può essere un motore per la politica senza dover svolgere funzioni di mera propaganda. «E' vero che ci troviamo davanti ad un sistema capitalistico aggressivo e opprimente nei confronti della produzione culturale», interviene Labate che continua ricordando l'importanza culturale di un editore come Feltrinelli che ha comunque sempre lavorato nel mercato, ma è stato una fonte di ispirazione per quelli della sua generazione. L'utopia è avere un rapporto collettivo di massa con l'arte e con il bello. Bertinotti rilancia: «L'elemento più utile sulla strada della politica è stato per me, e non solo per me credo, il dubbio. Ha "lavorato" più come possibilità che come impedimento, senza il dubbio ci sarebbe l'abbandono, non la rivoluzione. Senza un piede dentro a quello che so e uno fuori a quello che non so, la politica sarebbe solo governabilità, potere. Nel libro mi sono affidato a Wilma lungo un sentiero scosceso e le ho detto quello che so. Bello, cultura e felicità sono temi che spaventano ma non puoi arretrare. Non lo puoi fare, non perché fai politica, ma perché vivi».
















Liberazione, 27.01.06
I ginecologi dell'isola ufficialmente non praticano aborti. Ma in privato...
Obiettori di giorno e abortisti di sera: Ischia e i suoi medici con gli scrupoli
di Laura Eduati



I ginecologi dell'ospedale Rizzoli di Ischia, l'unico dell'isola, si dichiarano obiettori di coscienza. Loro l'aborto non lo praticano. Eppure quando siedono nei propri ambulatori privati si mostrano improvvisamente disponibili a interrompere gravidanze. A pagamento, naturalmente. E a patto che il feto sia ancora così piccolo da non poterne vedere «il cuoricino».

A scoprire il losco affare sono stati quelli delle Jene, il programma presentato da Alessia Marcuzzi su Italia 1. Erano stati avvertiti che a Ischia le donne erano costrette ad abortire clandestinamente e non gratuitamente nelle strutture pubbliche, come è invece garantito dalla legge 194. Così una troupe del programma ha intervistato il primario del reparto ostetricia del Rizzoli, Attilio Conti, il quale ha tranquillamente dichiarato che «qui siamo tutti obiettori». Poi la troupe ha chiesto ad una donna di fingere di essere incinta e recarsi negli studi privati degli stessi ginecologi e chiedere l'interruzione di gravidanza. Il primo si è mostrato coerente: non vuole praticare aborti, nemmeno fuori dalle corsie. Un altro le ha dato un consiglio: «Vada nello studio del dottor..., lui certamente la potrà aiutare». Infine la donna prende appuntamento con il primario. E qui, sorpresa, Conte cambia veste e si dichiara disponibile a fare l'intervento. Lo stesso intervento che al Rizzoli si rifiutava di fare per questioni etiche. Il servizio delle Jene è andato in onda oscurando, si capisce, i visi dei medici implicati. Ieri la Guardia di Finanza e gli ispettori della Asl 2 di Napoli hanno aperto un'inchiesta. Dovranno chiarire alcune questioni: perché le isolane erano costrette a pagare per un intervento gratuito e specialmente perché gli altri medici, che sapevano, non hanno mai denunciato i loro colleghi. Nessun dettaglio trapela, ma gli isolani dicono di aver riconosciuto le voci dei camici bianchi. A Ischia ormai tutti sanno che se sei incinta e non vuoi tenere il bambino basta andare in uno dei due studi privati, uno a Forio e l'altro a Ischia Porto. Il costo: dai 1000 ai 1500 euro.

La 194 tutela i medici - ginecologi e ostetrici - che facciano obiezione di coscienza. La legge deve anche garantire che in ogni struttura pubblica sia presente almeno un medico disposto a praticare l'aborto. Ma quello delle Jene non è stato uno scoop. Già, perché venti anni orsono il settimanale di Ischia "Il golfo"aveva pubblicato una scottante inchiesta dal titolo: "Obiettori di giorno e abortisti di sera", con tanto di nomi e cognomi dei responsabili. Ma non si mosse foglia. Nessuna indagine, nessuna inchiesta interna. Nulla. Il direttore del periodico denunciò la commistione tra magistratura, Asl e Regione Campania. E ricorda che questo non è un reato qualunque: «un aborto clandestino nega alla donna il supporto psicologico dei consultori e quindi anche il diritto di riflettere sulla sua scelta con un aiuto qualificato».















Liberazione, 28.01.06
Aborto
Perché il senso di colpa?


Caro direttore, leggo con stupore che ancora si parla in modo poco scientifico dell'aborto, della condizione psichica e morale della donna che abortisce, leggo ancora la parola dramma della donna che abortisce. Dico subito che certi discorsi sul dramma dell'aborto, sull'intervento della scienza sul corpo della donna finiscono con l'essere poco chiari. Il mio stupore deriva dal fatto che malgrado si è scritto, anche su "Liberazione", di una teoria confermata scientificamente (...), sulla nascita umana, sviluppo biologico del feto nell'utero e sul concetto di una sua trasformazione biologica in tappe continue, ancora si possa cadere nel tranello di vivere l'aborto come un dramma. Il feto non solo non è vita umana, non è persona, ma non ha possibilità di vita fino alla ventiquattresima settimana, quando cioè si forma la retina. La presenza della retina alla nascita e una reazione particolare allo stimolo luminoso porta alla formazione della realtà mentale umana, come novità assoluta, si passa da una realtà puramente biologica ad una realtà umana che fonde il biologico e lo psichico, quindi la vita umana inizia con la nascita. Questa teoria scientifica di Massimo Fagioli è stata più volte proposta da articoli lettere su "Liberazione" (...) E' ipocrita non avere il coraggio di pensare e di dire con chiarezza che gli esseri umani scelgono liberamente di procreare se e quando vogliono, che su questa libertà e diritto non deve intervenire alcuna norma (...) Accertato che l'aborto non è un assassinio, il dramma è forse il senso di colpa della donna che abortisce quando si allea con il pensiero cattolico che individua la sua identità esclusivamente come madre. Ogni volta che la donna si trova di fronte alla scelta di portare o non portare avanti una gravidanza, alleandosi con questo pensiero, "crede" di intaccare la sua identità. Altro elemento che giustifica l'aborto come dramma è l'accettare acriticamente il pensiero cattolico che attribuisce al feto vissuti e affetti assimilabili al bambino nato. C'è dunque urgente bisogno (...) di liberare finalmente la sessualità della donna e dell'uomo dal pensiero che la vuole solo per la procreazione (...)
Giulia Ingrao via e-mail








Liberazione, 28.01.06
Politica e realtà psichica


Cara Angela, hai scritto: «La parola dramma abbinata all'aborto e alla responsabilità femminile è una spia di una metafisica del corpo e della vita di cui spesso siamo complici, anche se non volutamente. La discussione che si è aperta nel Paese, potrebbe essere l'occasione per chiarire a quale ideologia ci ispiriamo, a quale filosofia facciamo riferimento». (...) Non capisco bene cosa tu intenda per "metafisica del corpo e della vita", né capisco cosa significhi esserne complici. Per la chiesa la metafisica è ciò che è opposto a corporale, che chiama spirituale, l'anima che sarebbe eterna. Mi pare che tu intenda qualcos'altro, possiamo chiamarla realtà psichica, così tanto per intenderci? Se mi ricordo bene, Marx parlava di alienazione mentale, dovuta alle ingiustizie ed alle differenze di classe e riteneva che, una volta raggiunta una società di uguali (materialmente), questa alienazione sarebbe finita perché l'uomo è portato, per sua natura, verso e non contro gli altri uomini. (...) Ma allora la politica non deve occuparsi solo del corpo, dello stipendio che non basta e (ahimè) del mutuo da pagare, ma anche di realtà psichica? (...)
Lamberto via e-mail




Liberazione, 28.01.06

Un disegno superiore?


Cara "Liberazione", sono una compagna, operatrice della sanità, che ha sempre considerato il proprio lavoro oltre che esercizio di una professione, impegno politico per contribuire alla tutela della salute della donna. E' da più di un anno che mi sono appassionata al vostro giornale e spesso lo leggo con il piacere di scoprirvi articoli con idee intelligenti e coraggiose come quello di domenica 22 gennaio di Angela Azzaro. Il titolo, "L'aborto non è un dramma", mi ha riportato ai miei lunghi sette annidi servizio presso un presidio di applicazione della 194 in cui, decine di volte, ho sperimentato che la vera angoscia delle donne era di non essere ascoltate e capite nella profonda esigenza di non mettere al mondo un "bambino" non scelto ma capitato. Ho apprezzato moltissimo il rifiuto della Azzaro della concezione religiosa che tende a ridurre il corpo delle donne a mero contenitore di un "disegno superiore" che comincerebbe nel momento in cui uno spermatozoo e un ovulo si incontrano. A tale proposito va considerato che scienziati di fama mondiale, quali Rita Levi Montalcini, Dulbecco e Fagioli hanno più volte dichiarato che l'embrione non è vita umana. (...)
Questa tesi è ampliamente confermata nella mia esperienza professionale (...) Non dimenticherò mai lo sguardo riconoscente di dorme che per motivi di salute, o affettivi, o economici, nella piena consapevolezza di non potersi permettere una gravidanza in quel momento della propria vita, si liberavano da un giudizio interno, più forte di quello esterno, che quell'embrione alle prime settimane fosse già vita umana.
Arianna via e-mail













Liberazione, 27.01.06
Quei prelati col braccio teso


Caro Sansonetti,
nello schermo della televisione scorrono le immagini dell'olocausto, sono i giorni del ricordo; la mia memoria va alla casa di Anne Frank che ho visitato pochi giorni fa. In quella casa, ho visto una foto emblematica: cinque o sei prelati di rango salutano con il braccio alzato come i nazisti. Più oltre, le foto del viso sognante di una ragazza di tredici anni piena di vita che voleva solo vivere, scrivere, amare. In quella casa ho gridato in silenzio, ho pianto senza lacrime e le immagini di quella stanza, dove lei appendeva le foto della attrici che ritagliava dai giornali, sono così disperatamente vive in me. Ora penso alla ricerca che stiamo facendo insieme su realtà umana e religione e penso che non c'è nessuna differenza tra quei prelati della foto che, allora, hanno negato agli ebrei le caratteristiche di esseri umani e quei vescovi che, ora affermano, che non ci si deve sposare tra cattolici e musulmani o peggio con dice che gli atei non sono esseri umani in quanto non hanno rapporto con Dio. Forse pochi sanno che la stella di David arancione portata dagli ebrei in Europa durante il terrore nazista, è un'invenzione della chiesa: per decenni, dopo la Reconquista del 1492, i Conversòs, vale a dire gli ebrei spagnoli convertiti, furono obbligati dall'inquisizione a portare sul petto come segno di riconoscimento, un panno arancione. Anne Frank, nel '43, nel suo diario scriveva che radio Londra trasmetteva le notizie sui campi di concentramento dove gli ebrei venivano gassati a migliaia. Ma probabilmente Pio XII non era sintonizzato su quell'emittente dato che, ancor oggi, si afferma che la Chiesa di Roma non seppe mai nulla di quegli orrori. Mi fermo qui...ma non fermiamoci. Vi prego.
Gian Carlo - via e-mail




Liberazione, 29.01.06
Le "contraddizioni" della Chiesa

Caro Sansonetti, accendo la tv e i tg danno come prima notizia la pubblicazione dell'enciclica di Ratzinger che sembra avere come tema centrale il concetto di amore, stranamente denominandolo "caritas". Poco dopo, come terza o quarta notizia, vengo a sapere che è stata approvata la modifica della legge sulla legittima difesa, per la quale ora è possibile uccidere qualcuno che entra in un luogo non suo con l'intenzione, presupposta, di rubare qualcosa. E allora mi tornano i dubbi: ma come mai il papa non ha niente da dire su una legge che giustifica l'assassinio, contravvenendo a uno, non ricordo quale, dei dieci comandamenti? E come mai, al contrario, si sente in dovere di intervenire quando si tratta di temi quali l'aborto o la procreazione assistita, condannando quella che, a suo avviso, sarebbe la soppressione di una vita umana, dunque un assassinio? Eppure, dietro questa apparente contraddizione a me sembra esserci una logica ferrea: l'ingerenza si fa particolarmente urgente quando in ballo c'è la possibilità che gli esseri umani scoprano che la sessualità, e dunque l'amore (che non è certo la carità cristiana), non corrispondono esattamente alla procreazione, quando la scienza e la medicina danno la possibilità agli individui, e in particolare alle donne, di vivere il rapporto con il diverso da sé cercando in esso realizzazione di identità e libertà.
Mariantonietta via e-mail





Carmillaonline.com, 30.01.06
Schedatura neuropsichiatrica a scuola?
di Margherita Pellegrino


[Più volte Carmilla ha segnalato rischi e problemi di una precoce psicofarmacologizzazione nell'infanzia e nell'età scolare soprattutto. Ci scrive una professoressa che, dalla stampa, ha còlto un ulteriore rischio: quello di una schedatura neuropsichiatrica per giovani allievi. Pubblichiamo la lettera che la professoressa Pellegrino ci ha inviato, promettendo di seguire gli sviluppi del caso. gg]

Ho letto con stupore ed indignazione che al Senato è in discussione un disegno di legge che prevede di "considerare la dislessia causa di difficoltà specifica di apprendimento". In realtà la difficoltà nella lettura ridefinita da neuropsichiatri infantili e psicologi, dislessia, abbraccia secondo loro, un pacchetto che comprende anche la disgrafia (la scrittura poco chiara e non allineata), la discalculia (lentezza nel fare i calcoli, non conosce bene le tabelline); questi, che fino ad oggi vengono considerati dagli insegnanti errori , se questa legge viene approvata, saranno: “disturbi di apprendimento” e gli alunni che ne sarebbero affetti verrebbero diagnosticati ed etichettati dislessici da neuropsichiatri infantili.

"Il disegno di legge prevede un’attività diagnostica precoce da parte di specialisti….(i quali) sostengono che i risultati migliori, si avranno se si riuscirà a individuare il problema già dal primo anno della scuola dell'infanzia" (dal Sole 24ore, 13-26 gennaio 2006, pag.17).
Se noi andiamo indietro alla nostra esperienza scolastica, quando eravamo in seconda e anche in terza elementare (7/8 anni), non sapevamo leggere e scrivere perfettamente e magari non rispondevamo in 60/10 di secondo alla domanda quanto fa 6 per 7, perché ora dovremmo pretendere che i nostri bambini di tre anni, invece, sappiano fare queste cose e magari sappiano anche suonare la nona di Beethoven?
Gli psichiatri sostengono che la dislessia è una disfunzione biologica di origine ereditaria , ma in base ad asserzioni dei loro stessi specialisti, prove di laboratorio tra cui TAC e RM (risonanza magnetica), non hanno evidenziato alcuna differenza tra il cervello di un cosiddetto "dislessico" ed uno "normale". Così come non si sa quale sarebbe il fantomatico cromosoma responsabile della trasmissione a livello ereditario (vedi Che cos'è la dislessia: Basi biologiche, Luisa Lopez).
In Italia la psichiatria non è riuscita a far passare una legge che porti ad etichettare i bambini italiani come affetti da ADHD e così entrare nelle nostre scuole, ci stanno provando con la dislessia?
Da quando nel 1991 il Dipartimento dell'Istruzione Statunitense diede istruzioni a tutti i funzionari scolastici di istituire procedure per effettuare la selezione e l'identificazione dei bambini con disturbi dell'apprendimento, fornendo loro degli speciali servizi educativi, psicologici e costringendo per legge i genitori a "CURARLI", si sono ritrovati sei milioni di bambini etichettati Iperattivi , curati con un pesante psicofarmaco i cui effetti sono simili alla cocaina e di questi alcuni sono morti per gli effetti collaterali.
I disturbi di apprendimento non sono una recente scoperta ma sono presi dal Manuale di Statistica Diagnostico (DSM IV), la dislessia è riesumata da questo stesso manuale, come l’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività). Non è che anche la dislessia al pari dell’ADHD, faccia parte di un astuto piano di marketing per monitorare i nostri alunni e avere ulteriori finanziamenti?
Dai dati attuali stimano che il 5% dei bambini sono dislessici, che il 4% sono affetti da ADHD, a questi aggiungiamo quelli depressi, ecc... Vogliamo far diventare le nostre scuole l’anticamera del reparto di neuropsichiatria infantile della nostra città? Si sta rischiando di medicalizzare l'istruzione.
Come si può fare affidamento sui risultati di indagini in questo campo quando l'ultima scoperta, resa nota in questi giorni da ricercatori dell'istituto di psichiatria di Harvard è stata che i "bambini che nascono in inverno sono più intelligenti di quelli che nascono in estate?
Come insegnante, alla luce della mia esperienza, posso dire che le difficoltà di apprendimento sono dovute a carenze nella didattica, alla mancanza di una metodologia di studio e di tecniche efficaci nella trasmissione della conoscenza. Esistono scuole in Italia e all'estero dove metodi di studio e tecniche di insegnamento efficaci hanno risolto le difficoltà di apprendimento degli alunni.
Come cittadina mi aspetto che prima che i parlamentari italiani votino e finanzino, con i soldi delle tasse pagate da noi, questa legge, si informino accuratamente su come stanno realmente le cose.














La Stampa, 30.01.06
PUTIN RESTAURATORE
Nuova Russia suona l’ora di catechismo
di Enzo Bettiza


Si direbbe che Vladimir Putin soffra d'insonnia inventiva. Dopo la scoperta del gas come arma egemonica ha ora deciso di reintrodurre nelle scuole l'ora di religione come strumento e simbolo di continuità spirituale fra l'odierna Federazione e la Santa Russia degli zar. L'ora di catechismo partirà col nuovo anno scolastico e si svolgerà, sotto l'etichetta di insegnamento dei «fondamenti della cultura ortodossa», in tre regioni pilota: Kaluga e Vladimir, poco distanti dalla capitale, e poi la lontana Kaliningrad. Qui, nella ex Königsberg prussiana di Kant e dei pastori luterani, l'introduzione della Bibbia in cirillico non potrà non assumere una forte coloritura grande-russa. La materia, insegnata da monaci, inizialmente facoltativa, diventerà obbligatoria dal 2007.

Si tratta di un evento notevole al quale, nel tumulto di altri fatti internazionali incombenti, non si è data la dovuta importanza politica e anche storica che esso senz'altro merita. Con il ritorno dopo quasi novant'anni di assenza della religione nelle aule scolastiche, Putin, mandando in soffitta l'ultimo pezzo della tradizione ateista, completa e anzi rafforza il concordato già da tempo avviato tra lo Stato postsovietico e la gerarchia del patriarcato russo. Non solo. Il restauratore Putin dà anche l'impressione di voler completare così, con un bric-à-brac di elementi eterogenei, ricavati di volta in volta dal modernariato comunista e dall'antiquariato zarista, la singolare ricostruzione o ristrutturazione di uno Stato sempre più promiscuo: una specie di Stato-puzzle composto con frammenti di capitalismo monopolistico, autoritarismo parasovietico, democratismo truccato, il tutto avvolto nel manto di una grandeur veterozarista cui non poteva mancare il tocco mistico e nazionalistico di una rinata Chiesa ortodossa. L'ora di religione, promossa insieme dal Cremlino e da una Chiesa moscovita sempre più influente e vicina a Putin, sostituirà l'ora di «ateismo scientifico» che fino a quindici anni fa era di prammatica nelle scuole sovietiche. Si può misurare l'impatto di rottura di quest'ultima mossa putiniana soprattutto ricordando che l'ateismo, introdotto con virulenza profanatrice nel 1917 dai padri della Rivoluzione d'ottobre, era stato per tre quarti di secolo nell'Unione Sovietica una vera e propria religione di Stato. Per afferrare appieno il senso di rafforzata restaurazione culturale, col ripristino della voce del Cristo ortodosso fra i banchi scolastici, basterà evocare un decisivo precedente avvenuto ai tempi di Eltsin: la demolizione, nella Leningrado ribattezzata San Pietroburgo, di quel sacrilego «Museo dell'ateismo» che i primi leninisti avevano voluto conficcare all'interno della cattedrale di Nostra Signora di Kazan. La distruzione dei musei e delle biblioteche eretti dalle blasfeme società dei «senza dio» contro i santi ortodossi, poi la riesumazione e risepoltura a San Pieroburgo dei resti della famiglia imperiale massacrata dai bolscevichi, quindi le voci ricorrenti di una possibile cacciata della mummia di Lenin dal mausoleo della Piazza Rossa, infine la decisione di ridare ai giovani un'istruzione rispettosa dei «fondamenti della cultura ortodossa»: tutte queste manovre riparatorie, in cui sembrano mescolarsi complessi di colpa e nostalgie di un perduto passato nazionale, si spiegano simmetricamente col ripudio, talora sincero e talaltra strumentale, dei furori atroci e spesso perfino comici che connotavano le incredibili campagne ateistiche bolsceviche negli Anni Venti e Trenta. Bastano alcuni esempi. Il 26 agosto 1929 il governo sovietico istituiva una settimana lavorativa di cinque giorni - cinque di lavoro, uno di riposo - eliminando così la domenica in quanto festa religiosa. La novità doveva «facilitare la lotta per lo sradicamento della religione»; nello stesso tempo Emilian Jaroslavskij, presidente della «Lega dei senza dio», si vedeva costretto a riconoscere a malincuore che meno di dieci milioni di persone su 130 milioni «avevano rotto con la Chiesa». Nell'ottobre 1929 venne ordinata la confisca delle campane, poiché il loro «suono infrangeva il diritto al riposo di larghe masse atee dei villaggi e delle campagne». La famosa e rara musicalità delle campane di chiesa russe non impedì addirittura, a qualche censore ateista, di raccomandarne la soppressione nei battiti d'orchestra della Kovancina di Musorgskij. La propaganda religiosa, «volta ad affievolire lo Stato», poteva essere punita anche con la pena capitale. Il pope di villaggio venne equiparato sociologicamente, penalmente e ideologicamente al kulak, il «contadino ricco» e sfruttatore. Nelle campagne il primo atto della collettivizzazione forzata iniziava sempre con la chiusura della chiesa locale.

Eppure, nulla bastò a estirpare dall'animo delle maggioranze taciturne russe le profonde radici della fede ortodossa. Ricordo che, nell'inverno del 1961, vidi molti contadini farsi fugacemente il segno della croce davanti alla mummia di Stalin. Il giorno dopo la salma dell'ex seminarista giorgiano, che aveva decretato la distruzione di non so quanti seminari e conventi russi, fu cacciata con infamia dal Mausoleo. Putin era allora poco più che un ragazzo. Ma oggi, grande e potente, dopo aver fatto bene i suoi calcoli, deve aver pensato che a un popolo che vedeva perfino in Stalin un semidio sarebbe stato opportuno restituire il Dio intero della Bibbia ortodossa.












Repubblica, 29.01.06
Ricerca Usa: ecco come l'area cerebrale diventa più grande. Normalmente queste zone tendono a ridursi con l'età. Meditare rafforza il cervello. Ecco i segreti della mente.
Esercizio utile anche contro lo stress. Le onde gamma fanno invecchiare meglio e riducono il rischio di malattie
di LUIGI BIGNAMI


Meditare fa bene al cervello e aumenta le capacità intellettive. Sono tante le definizioni di meditazione, perché diverse sono le meditazioni, ma una cosa che le accomuna c'è, ed è arrivata dalla ricerca scientifica. L'ha scoperta un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School di Yale e del Massachusetts Institute of Technology. La gente che medita vede crescere il proprio cervello, un fenomeno che non succede a chi non medita. Ma c'è di più.

Scannerizzando il cervello i ricercatori hanno osservato che le parti che aumentano in spessore sono quelle addette all'attenzione e ai processi sensoriali che arrivano dall'esterno. All'interno della materia grigia poi, lo spessore aumenta maggiormente nelle persone adulte rispetto a quelle più giovani. Questo è davvero interessante, sostengono i ricercatori, perché di solito questa sezione del cervello umano normalmente rimpicciolisce con l'età. In altre parole è come se nelle persone anziane la meditazione fosse in grado di far tornare attive quelle parti del cervello che lo sono soprattutto in tenera età.

Spiega Sara Lazar, responsabile della ricerca: "I nostri dati portano a sostenere che la pratica della meditazione conferisce non solo l'aumento della materia grigia, ma anche elasticità alla corteccia cerebrale degli adulti in aree importanti per l'apprendimento, i processi emotivi e lo per star bene". Secondo i ricercatori questa scoperta si conforma ad altre ricerche che avrebbero dimostrato che la meditazione ispessisce le aree del cervello di chi pratica musica, di chi impara molte lingue.

Ma come si è giunti a queste conclusioni? I ricercatori hanno scannerizzato il cervello di 20 persone - alcune delle quali che facevano meditazione da vari decenni altre da un solo anno - e lo hanno confrontato con 15 che non l'avevano mai praticata. Per misurare il livello di meditazione che i partecipanti erano in grado di raggiungere veniva chiesto loro, durante la scannerizzazione del cervello, di provare a meditare solo su ciò che gli capitava attorno ad essi durante le analisi, senza utilizzare particolari metodi di mantra ossia senza usare quei suoni che emessi, secondo la meditazione buddista, sono in grado di liberare la mente dai pensieri. Spiega Lazar: "Se i partecipanti all'esperimento sentivano un rumore essi dovevano ascoltarlo, piuttosto che pensare ad esso. Se non succedeva nulla, dovevano porre attenzione al loro respiro. In altre parole essi non dovevano elaborare pensieri".

Questa fase di studio durava circa 40 minuti, durante i quali la profondità della meditazione veniva misurata attraverso il rallentamento del respiro. Alle persone invece, che non praticavano meditazione veniva chiesto di abbandonarsi ai loro pensieri come facevano quando si rilassavano.

Usando questa base comune la ricerca ha concluso che l'aumento della materia grigia per chi fa meditazione va dagli 8 ai 16 millesimi di centimetro, in rapporto a quanto tempo trascorre durante la sua vita a meditare. "Questo dimostra che l'aumento di materia grigia non dipende unicamente dalla meditazione in sé, ma anche da quanto tempo si trascorre in meditazione e quanto è profonda", ha sottolineato Lazar. Questi risultati tuttavia, sono solo il punto di partenza della ricerca. "Perché in chi medita il cervello aumenta di volume?
La meditazione produce una maggiore connessione tra le cellule o un maggiore afflusso di sangue al cervello? Il comportamento delle persone cambia? E soprattutto: con la meditazione si può rallentare l'invecchiamento? Queste sono solo alcune delle domande a cui ora vorremmo dare una risposta, ma per questo sono necessari molti esperimenti i tempi non saranno certo brevi".












La Stampa, 28.01.06
Perché la Cina non separa bene e male, vero e falso
François Jullien confronta la cultura europea d’impronta platonica con il Libro dei Ching
di Gianfranco Marrone


TRA gli attuali tormentoni mediatici, è particolarmente insistente quello dell'allarme cinese. La Cina è vicina, si ripeteva un tempo con un vecchio film, e questa vicinanza oggi appare - ci dicono osservatori esperti - particolarmente grave per la nostra economia e per la nostra politica. Forse addirittura per la nostra libertà. Non ci resta che prestare attenzione a quanto cerca di spiegarci uno dei più grandi filosofi viventi, François Jullien, studioso del pensiero cinese e dei suoi difficili rapporti con la filosofia occidentale, autore di molti, importanti volumi (Trattato dell'efficacia, Elogio dell'insapore, Strategie del senso in Cina e in Grecia, Il saggio è senza idee etc.), in cui ci mostra come la saggezza cinese - arte, politica, strategie militari, poesia, morale, religione - si rivela ai nostri occhi irrimediabilmente «altra». Se si riesce però a scavare nel suo pensiero, ricostruendo i pezzi di cui è composto e le sue dinamiche, non solo se ne comprendono le intime ragioni, ma si produce anche un fondamentale «effetto di ritorno» sul nostro modo - sedicente naturale - di ragionare, di agire, di immaginare: di vivere. La prima cosa che viene fuori è per esempio il fatto che le nostre opposizioni di base (essenza/apparenza, vero/falso, bene/male, reale/ideale...) in Cina non hanno mai avuto ragion d'essere. Il pensiero europeo, per Jullien, è sempre intimamente platonico: separa l'anima dal corpo, il femminile dal maschile, il bene dal male (cfr. Jullien L’ombra del male, Angelo Colla ed., pp. 148, e19, n.d.r.). Il pensiero classico cinese ragiona invece per polarità: è un sistema di relazioni dinamiche, la rilevazione di continui passaggi, l'affermazione di una predominanza decisiva del divenire sull'essere. Se il nostro mito è Ulisse, eroe dell'astuzia e della tecnica, il saggio cinese è prudente e insinuante, non s'impone, non è dogmatico, lascia accadere: trae profitti dalla propria iniziativa ma dall'evoluzione delle cose. Il luogo dove questo groviglio concettuale emerge meglio è senz'altro il testo classico della cultura cinese antica, il celebre libro dei Ching, che a partire dagli entusiasmi junghiani d'inizio secolo scorso è approdato nei salottini radical chic dove patetici indovini si ammantano d'una sapienza orientale stereotipa che, per Jullien, è profondamente scorretta. In Figure dell'immanenza, tradotto da Laterza, Jullien ci regala finalmente una ricostruzione filologica e concettuale del testo dei Ching, prendendo le distanze non solo da queste patetiche infatuazioni esoteriche, ma anche dalle diffidenze erudite di molti sinologi, che si limitano a vedere in questo «Classico del cambiamento» una stratificazione confusa di autori ed epoche molto diversi. La logica interna a I Ching, mostra l'autore, coniuga intimamente l'insieme delle figure numerose che per combinatoria si succedono nel volume e i commenti che provano a interpretarle. Quello che è il testo di base a cui un'intera civiltà per millenni ha fatto riferimento (un po' come per noi è la Bibbia) si presenta a prima vista come una costruzione affastellata e incoerente: il suo punto di partenza non sono parole che trascrivono messaggi profondi trasmessi per via orale da entità trascendenti (com'è, appunto, nel caso delle nostre Sacre Scritture) ma due segni molto semplici, la linea continua e quella spezzata, che si combinano fra loro formando serie di trigrammi e sistemi di esagrammi. L'alternanza fra gli opposti, il loro accostamento, il passaggio costitutivo dall'uno all'altro dicono incessantemente - da cui i commenti alle figure distribuiti lungo il libro - della primarietà del movimento sulla stasi, del fatto cioè che le opposizioni (bene/male, giusto/ingiusto...) non si conciliano mai (alla maniera della dialettica hegeliana), e di conseguenza nessuno dei due termini è in linea di principio da preferire all'altro. Ci sono momenti in cui uno prevale e l'altro soccombe, ma ce ne saranno altri in cui accadrà il contrario, e così via senza fine, in un eterno succedersi di yin e di yang, di continuo e discontinuo, di luce e di buio, di tenero e di duro. Per questo, il codice profondo che regge il dispositivo formale dei Ching non è né esclusivamente linguistico (l'interpretazione della Parola) né esclusivamente visivo (la rappresentazione del Trascendente), ma si presenta già come una miscela originale di concetti e di immagini che vanno a formare - da cui il titolo del volume di Jullien - una serie al tempo stesso affascinante e ambigua di Figure dell'Immanenza: luogo dove il pensiero si forma innanzitutto per segni, nel crinale originario fra parole e immagini, scrittura e oralità, messaggi di base e loro interpretazioni successive. Niente di più lontano, come si vede, dalla nostra mentalità metafisica che privilegia lo scritto al parlato, la parola all'immagine, il concetto all'intuizione, l'essere al divenire.