sabato 3 dicembre 2005

Liberazione, 02.11.05
L’emendamento alla Finanziaria sulle gravidanze a pagamento
“Evita-aborto”: le donne ds in rivolta contro Livia Turco
di Castalda Musacchio

«Parlate con la Turco». Risposte piuttosto stizzite all’ultima conferenza programmatica Ds. La Quercia è andata in fibrillazione. Quell’emendamento “evita aborto” a firma Bindi, Turco, Fioroni,nonvapropriogiù.L’aria si taglia con il coltello. E a sentire le deputate, non solo della minoranza diessina, quel testo – dicono tutte arrivato a “sorpresa” sul tavolo della commissione – rischia di far esplodere un “caso” e non da poco tra le donne della Quercia. «E diciamola tutta - replica una deputata che non vuole essere citata - non ci trova affatto d’accordo». La netta sensazione è che il dito sia puntato: e contro quella gestione un po’ “autodafé” che Livia Turco ha fatto propria e su temi dirimenti come la tutela della maternità e quella delle donne. n definitiva è un emendamento che ha spiazzato proprio tutte le donne di casa Ds e in tutti i sensi. Le critiche giungono da tutte le parti sia da destra sia da sinistra. «Nessuna polemica - precisa subito Katia Zanotti - ma lo debbo dire avrei preferito una discussione sincera e aperta su un tema come la tutela della maternità su cui non si possono attuare scelte autonome. E’ pur vero che manca una sede di discussione ma davvero questo emendamento è calato dall’alto e senza preavviso. Questa proposta comunque non mi trova assolutamente d’accordo». E i motivi sono molteplici. tutti ben definiti: «Stiamo andando in giro ad attaccare una finanziaria che prevede a sostegno delle famiglie solo dei bonus. E questa proposta a mio parere è persino peggiore dei bonus. Innanzitutto - precisa – partiamo dal linguaggio del testo. In un certo senso è raccapricciante. E’ stato utilizzato un lessico sbagliato colpevolizzante nei confronti della donna. E il punto politico, cui non si può proprio venire meno, è che non si può presentare una proposta decontestualizzandola dal contesto e dalla polemica antiaborista e oscurantista che è in corso ». Il centrosinistra - aggiunge - aveva già fatto delle politiche sugli assegni di maternità sulle quali si poteva procedere. E questo intervento non ha affatto quel carattere di strutturalità cui hanno fatto cenno sia Rosi Bindi sia Livia Turco. «L’Unione - continua - dovrebbe dare un segnale molto netto e poco ambiguo per il sostegno delle famiglie e questo non può che stare nella espansione della rete dei servizi, perché la monetizzazione - lo abbiamo detto noi – è esclusione e sostanzialmente non tutela le donne in quanto tali anche quelle che desiderano fare un figlio e hanno ostacoli per farlo. Comunque – conclude - per quanto mi riguarda se mi presentano un emendamento di questo tipo non sono in condizione di votarlo. Su questi temi è necessario aprire un dibattito, che vi sia all’interno del nostro partito una seria discussione che non può essere lasciata all’autonomia di qualcuno». Sarebbe meglio dire di qualcuna. Ora per la verità a sentire altre voci pare proprio che in commissione si sia compiuto un vero “blitz” e da parte di Rosi Bindi. «Io - dice ancora un’altra deputata - so che la Bindi ha telefonato alla Turco chiedendole di firmare questo emendamento. E lei l’ha fatto». Gettando tutte nel panico. Colleghe di “linea” o meno. Grazia Labate per esempio è della maggioranza Ds. La sua è una posizione limpida e priva di voglia di polemica. «Per quanto mi riguarda - spiega – io quell’emendamento non l’ho firmato anche perché avevo proposto altri emendamenti che ritengo vanno nel senso discusso all’interno dei tavoli del centrosinistra. Del resto – spiega - la posizione dell’Unione su questo è piuttosto chiara: pensiamo sia indispensabile per esempio dare piena attuazione al primo articolo della legge 194 potenziando la rete dei consultori sul territorio. Ad oggi ve ne sono appena 0,8 ogni ventimila abitanti. Personalmente ho presentato un emendamento pensando di collegarci a quella norma che prevede di diminuire del 10% gli emolumenti dei parlamentari, e con questi fondi andare a finanziare la rete dei servizi sul territorio. E comunque - precisa alla fine - di questo emendamento nessuno di noi ne sapeva nulla. E nessuno ma proprio nessuno ne ha parlato prima». «Un emendamento - sostiene ancora Gloria Buffo - che non mi convince affatto». E a chiedere ora con forza che si ritiri è la Cgil o meglio le donne della Cgil. «Eviteremo volentieri - precisano Marigia Maulucci e Morena Piccinini - che si desse ulteriore spazio a coloro che stanno attaccando i consultori e la 194. Al contrario, questi attacchi andrebbero contrastati e su tutti fronti». Vallo a dire alla Turco però. La stessa Barbara Pollastrini, “intima” della ex ministra, tace. “No comment” sulla questione ma la polemica è esplosa. E a questo punto si potrebbe proprio ricorrere a un vecchio slogan: “Giù le mani dal corpo delle donne”.

Liberazione, 02.11.05
Il tesoriere della Quercia propone candidature a pagamento. Roba da ricchi...
Dimmi, compagno, cosa vendi?
«Un seggio a Montecitorio, 60.000 euro»
di Rina Gagliardi

Una proposta indecente. Non trovo altro aggettivo per definire l’idea del tesoriere diessino Sposetti che ha fatto sua una pratica del resto tipicamente berlusconiana e ha proposto, appunto, di regolamentare per via pecuniaria le candidature del postUlivo al prossimo Parlamento. In sintesi: giacchè la nuova legge elettorale prevede liste bloccate e ridimensiona la necessità di una costosa campagna elettorale personale, i nuovi o vecchi “candidati sicuri” dovranno preventivamente versare nelle casse del partito la bellezza di sessantamila euro. Un anticipo sui loro futuri emolumenti, dice Sposetti. Un acquisto in contanti, in denaro sonante, di un seggio parlamentare, diciamo noi. Grazie al quale, la Quercia contribuisce ad avviare una nuova fase della democrazia: la rappresentanza censitaria. E’ pur vero che anche l’Assemblea Costituente stabilì, nei dintorni dell’89 (1789) il suffragio universale (maschile) proprio sulla base del censo (il marco d’argento fiscale era la condizione per diventare elettori). Ma è anche vero che dalla rivoluzione francese sono passati più di duecento anni – e in mezzo aveva preso piede una concezione, chiamiamola così, un po’ più avanzata dei meccanismi attraverso i quali si esercita la “sovranità popolare”. Che cosa rischia, ora, di accadere? Intanto, si produrrà nei fatti una selezione dei candidati eccellenti (per intenderci: quelli che si presenteranno nelle circoscrizioni dell’”Italia rossa”, Toscana, Umbria, Emilia) interamente a svantaggio di quei (pochi?) per i quali sborsare di botto 120 milioni di vecchie lire è un problema. E’ chiaro di chi stiamo parlando: degli operai, dei disoccupati, dei giovani precari, degli insegnanti e dei maestri elementari, dei borsisti a contratto, delle commesse, insomma, di quel pezzo (grande) di classi subalterne che – solo in teoria, certo – la sinistra, anche la sinistra liberale, dichiara di voler rappresentare. Naturalmente, una rappresentanza non è, in sé e necessariamente, una rappresentanza sociale diretta – lo sappiamo anche noi, Sposetti. Ma non vi sfugga il salto di qualità formale, cioè sostanziale, che ora si sta per produrre: soltanto da un certo livello di reddito in su, si può entrare a far parte degli eletti. Da una certa soglia di reddito in giù, all’opposto, si è tagliati fuori in via programmatica e “definitiva”. Non è, nient’affatto, un passaggio indolore. Noi sappiamo bene quanto questa società sia nutrita di disuguaglianze e di discriminazioni reali: ma se venisse eliminato l’articolo 3 della Costituizione, se in una nuova - e riformista – formulazione, si scrivesse che i cittadini sono “diseguali” davanti alla legge, con molte distinzioni di “sesso, razza, religione, opinione”, e “reddito”, non faremmo tutti un salto sulla sedia? Nel suo piccolo, Sposetti ha operato una revisione delle regole della rappresentanza mica da ridere. C’è dietro una visione neooligarchica – e neoscambista - della politica. E un rischio serio di regressione democratica – almeno di ciò che noi intendiamo per democrazia repubblicana, sancita dalla nostra carta costituzionale. Senza contare che, se questa sciagurata prospettiva dovesse avere corso, non potremmo non assistere a un rigoglioso “mercato delle vacche”, pardon delle circoscrizioni elettorali con annessi seggi e marchi, pardon euro, più o meno d’argento. Quando si dovrà stabilire – solo per fare il primo esempio che capita – a chi tocca il pregiatissimo territorio di Siena, che elegge con certezza quasi matematica un folto numero di parlamentari ulivisti, ci saranno trattative cruente tra Dl e Ds, tra prodiani e rutelliani, tra aree e controaree. Ma se alla fine prevalesse il criterio neocensitario, perché escludere un’asta? Chi offre di più, va a farsi eleggere a San Quirico d’Orcia. Chi offre di meno, viene sbattuto in Sicilia. Una fiction improbabile? Ma di sicuro, dalle parti di Forza Italia, succederà – sta quasi già succedendo. E ahimè, se il centrodestra diventa un modello da copiare sulle forme del far politica, non si può escludere nulla, nemmeno a sinistra. Sembra perfino superfluo far notare che, per questa via, il disastro in cui oggi consiste la politica non può che ulteriormente aggravarsi. Il problema, grave, dei costi della politica (affrontato da Cesare Salvi in un libro appena uscito) viene così “risolto” con cinismo quasi ammirevole: enfatizzando uno stile già assai diffuso, anzi dando ad esso la dignità di un nuovo statuto formale. La gente fa cose da pazzi per diventare parlamentare? S’indebita, si corrompe, si lega a lobbies oscure, svuota le tasche di chiunque, pur di avere uno scranno a Montecitorio? Invece di cominciare ad affrontare davvero il problema, si decide, più o meno, di “lecitizzare” quel comportamento: se vuoi far politico a livello istituzionale, se vuoi diventare un rappresentante del popolo, devi pagare. Devi ricompensare il tuo “committente”: cioè quel partito che dispone del potere concreto di farti diventare deputato e con il quale realizzi anche un patto mercantile – uno scambio in piena regola. I partiti, quel potere, ce l’hanno sempre avuto, s’intende (solo i cultori religiosi del maggioritario hanno spacciato il sistema come “più vicino” al popolo, come se i candidati del collegio uninominale fossero decisi dalla “società civile” e non dai palazzi) - ora, semplicemente, hanno un piccolo potere in più, visto che hanno inventato un meccanismo psedudoproporzionale senza nemmeno una preferenza – una preferenza piccola così per una o uno che ti è un po’ più più simpatico. Così, il cerchio oligarchico si chiude, a perfezione: c’è un ceto garantito, che prende tutte le decisioni, fin le più minute, e non vuole nessun ostacolo concreto, od umano, sulla loro strada. Ora c’’è un “salario d’ingresso” in questo stesso ceto, che coopta i nuovi membri del club sulla base dell’antico criterio del censo. Naturalmente, sul campo c’è anche una vittima: la politica.

Liberazione, 02.11.05
Scienza araba, le radici della cultura europea
Dalla matematica alla medicina, dall’astromomia alla farmacopea: una mostra a Parigi racconta, attraverso manoscritti ed oggetti vari, i secoli d’oro tra l’VIII e il XV. Fino al 19 marzo presso l’Istituto del mondo arabo
di Monia Cappuccini

Durante le faticose trattative per buttar giù la liberal-liberista Costituzione europea, da parte del Vaticano e delle sue dependance romane, Montecitorio e Palazzo Madama, si fece pressione perché venisse inserito un richiamo alle radici cristiane dell’Europa. Fortunatamente la richiesta fu respinta (anche se ciò non è servito a evitare la bocciatura dei cittadini francesi). D’altra parte, perché le radici cristiane e non quelle, per esempio, greche? Ricordiamo che fino a pochi anni fa i medici giuravano su Apollo medico, e che la Bibbia cristiana è comunque composta anche da un Vecchio testamento di origine ebraica. A studiare la storia, non ci si può non rendere conto della natura necessariamente “meticcia” della cultura. E ancora di più in uno spazio come quello europeo, dove periodicamente si assiste a maldestri e funesti tentativi di ritrovare una purezza biologica e culturale. La ricerca di un mito delle origini, che inevitabilmente si scontra con un realtà sfumata, “sporca”, fatta di contaminazione e diversità, di radici che vanno ben oltre la superficiale e artificiosa unità che la Chiesa o vari nazionalismi vorrebbero. Non fa eccezione la scienza, che per quanto abbia avuto nell’Occidente europeo uno sviluppo vorticoso, ha un pedigree che la porta molto lontano, temporalmente e geograficamente. Risalendo all’indietro è inevitabile fermarsi sulle sponde meridionali del Mediterraneo e da lì andare da un lato verso la Spagna, dall’altro verso oriente, fino all’India e la Cina. Cioè, è inevitabile incontrare la scienza araba, cui in questi giorni è dedicata una bella mostra all’Institute du Monde Arabe di Parigi (www.imarabe. org), aperta fino al 19 marzo 2006. L'âge d'or de la science araberacconta del grande periodo di sviluppo conosciuto dalla cultura araba tra l’- VIII e il XV secolo. Le dinastie che regnarono sull’impero arabo ebbero in effetti un importante ruolo di mecenati, permettendo
la creazione di una cultura araba originale che ha raccolto eredità molto antiche. Nell’ottavo secolo, il califfo al-Mansûr riunì attorno a sé studiosi di ogni provenienza e confessione religiosa, allo scopo di accrescere il proprio prestigio e della corte, appena stabilitasi a Baghdad. Nel secolo successivo, proprio a Baghdad, al-Ma'mûm fece costruire la celebre Casa della Saggezza, che riuniva scienziati e umanisti, dediti non solo alla ricerca ma anche alla traduzione e alla conservazione dell’immenso patrimonio culturale che ebbero a disposizione. Un patrimonio che proveniva da tradizioni millenarie, come quelle cinesi, indiane, babilonesi, o che stavano scomparendo a seguito del crollo dell’impero romano, come il sapere greco. L’enorme estensione geografica e una lingua comune favorirono così lo sviluppo di una sapienza composita e capace di assimilare conoscenze preesistenti. Ad esempio, in ambito matematico si adottò - con qualche modifica - il sistema numerico indiano (decimale e posizionale), introdotto dal matematico Al-Khwârismî, dal cui nome deriva il termine “algoritmo”, il quale scrisse nel IX secolo il “Libro sul calcolo indiano”, poi tradotto in latino tre secoli dopo. Vennero riprese tecniche di calcolo assire, mentre furono tradotti e aggiornati gli “Elementi di Euclide”, compendio del sapere geometricomatematico greco. Grazie ai contatti con la Cina vennero poi adottati innovazioni importanti per la produzione della carta, che permisero quindi un’ampia diffusione delle nuove traduzioni di queste opere, rendendole disponibili per un’élite culturaleche andava dalla Cina fino alla Spagna. Fu grazie a questo intenso lavorio che si preservò e trasmise il sapere antico, giunto infine del tardo Medioevo che aveva perso le tracce di molte opere e conoscenze. Tuttavia, la scienza araba non ebbe solo un ruolo di trasmissione, sterile pur se importante. La riorganizzazione del sapere precedente fu infatti accompagnata da innovazioni tecnologiche e scientifiche notevoli. E’ l’esempio della medicina: i trattati ippocratici vennero tradotti e commentati da grandi autori, ma insieme alla revisione dei testi antichi fu scoperta la circolazione polmonare. Così per il “De materia medica” di Dioscoride, grande farmacopea ellenica che fu arricchito dalle grandi conoscenze chimiche sviluppate in India e in Cina, oltre che dagli Arabi stessi. E poi fu sviluppata l’arte sanitaria, con la creazione dei primi ospedali. Lo stesso processo si è ripetuto per tutte le discipline, con l’astronomia che ha avuto un’enorme influenza fino all’Europa del Seicento. Le opere di Tolomeo vengono prima tradotte e riviste in arabo e poi tra il XII e il XIII secolo vengono volte in latino e in ebraico, diffondendosi in tutto il bacino mediterraneo, e portando con sé le grandi innovazioni tecnologiche: l’astrolabio soprattutto, strumento di origine greca ma perfezionato dagli Arabi. La passione per l’osservazione celeste fu d’altra parte uno dei prodotti della religione, che pretende un orientamento preciso nella costruzione degli edifici e delle preghiere quotidiane: sapere dove si trova La Mecca non rappresentava quindi solo un problema scientifico. Va inoltre sottolineato il fatto che alcune opere arabe non furono conosciute in Europa fino all’Ottocento, ma rappresentano delle punte molto avanzate del sapere: come sottolineano i curatori della mostra, «il sapere universale è anche arabo». Concluso il giro nelle sale dell’esposizione, che raccolgono manoscritti, modelli di macchine idrauliche, astrolabi, attrezzi medici, strumenti musicali, provenienti da molte collezioni, rimane un interrogativo: quali le cause del declino della scienza araba a partire dal XV secolo? E’ una questione che mette insieme scienza, cultura in generale, società e politica. Le crociate, le invasioni mongole, l’espulsione degli Arabi e degli Ebrei dalla Spagna e poi la presa di potere turca, hanno eroso la base socioculturale su cui era stata costruita la fioritura scientifica precedente. A dimostrare che la scienza dipende crucialmente dalla società che la circonda. Sul lungo periodo, senza la presenza di un sistema di ampio respiro capace di sostenere la ricerca, questa è destinata al declino. Viceversa, un alto livello scientifico e tecnologico non garantisce lo sviluppo futuro. E’ un circolo chiuso da cui non si può uscire, e che deve essere sempre tenuto presente, al di là delle miopie necessarie dell’agire politico. Piuttosto “terrorista”, sarebbe utile studiare la storia e favorire l’incontro tra culture, scambiando saperi e arricchendosi reciprocamente. Inviare eserciti e imporre modelli sociali e culturali, non potrà che rivelarsi una strategia sbagliata.

il manifesto, 01.12.0.5
A che serve
Ida Dominijanni

O sotto accusa o sotto tutela, grazie al centrodestra e al centrosinistra uniti nella rincorsa al cardinal Ruini le donne italiane vengono retrocesse dal discorso politico allo statuto di soggetti minori, deboli e potenzialmente criminali. La realtà per fortuna è cosa diversa dal discorso, ma il discorso produce effetti di realtà e dunque questa retrocessione va presa sul serio, contrastata e rispedita ai mittenti e, ahinoi, alle mittenti. Quando nelle stesse ore alla camera la mano destra dà il primo via all'indagine sull'applicazione della 194 e la mano sinistra propone un assegno di sostegno alla gravidanza; e tutte e due, la mano destra e la mano sinistra, giurano di agire «per aiutare le donne», c'è una sola risposta possibile a tutte e due ed è «no, grazie». L'indagine sulla 194, brillante idea del neoeletto segretario dell'Udc che altra via non aveva per accedere agli onori della cronaca, non servirà a sapere nulla che già non si sappia sull'applicazione della legge (peraltro già annualmente monitorata dal ministero della sanità), ma serve a rimettere le donne sul banco degli imputati, supportando istituzionalmente la campagna di criminalizzazione dell'aborto che imperversa su media potenti e meno potenti. L'assegno di sostegno alla gravidanza non servirà a estendere un diritto alle lavoratrici precarie (perché Livia Turco e Rosi Bindi non si stendono sul tavolo programmatico di Romano Prodi per imporgli l'impegno all'abrogazione della legge 30?), serve a consentire al ministro Storace di dare a entrambe, Livia Turco e Rosi Bindi, il benvenuto nel fronte della «prevenzione» dell'aborto. Tutt'e due, indagine e assegno, servono a rafforzare il messaggio che da ogni parte risuona, che le donne non sono soggetti sovrani ma oggetto di cura statale e curiale. Siamo nelle loro mani, e in che mani.

Le stesse mani che in parlamento si rinviano da uno schieramento all'altro la palla delle quote rosa, ripetendo all'infinito una pantomima ipocrita e ineffettuale che non servirà a candidare più donne, serve a strumentalizzarle a fini di schermaglia politica e ad alimentare un'immagine di miseria femminile che ricade in primo luogo sulle parlamentari stesse, di destra e di sinistra parimenti. Le stesse mani che si rincorrono e si stringono per entrare nelle grazie non dei cattolici ma delle gerarchie vaticane, e prontamente rispondono agli ordini di Ruini quali che siano. Il cardinale ricorda che la vita è un dono di Dio di cui la donna è puro contenitore e veicolo, e il giorno dopo partono l'indagine sulla 194 e l'assegno per la gravidanza: mai si ricorda tanta solerzia nella politica italiana.

Il discorso della politica istituzionale sulle donne da molto tempo non dice e probabilmente non ha mai detto granché sulla realtà delle donne. Ma dice molto sulla realtà della politica istituzionale: de vobis, non de nobis fabula narratur. A sostegno dell'assegno di gravidanza Rosi Bindi ha sostenuto ieri che è un'anticipazione della prossima politica di governo del centrosinistra. Il buongiorno si vede dal mattino: se questo è il mattino, sarà buio a mezzogiorno.

il manifesto, 01.12.05
Ruini
La parola assente
Roberta Carlini

Invito all'astensione sulla fecondazione assistita, no alla salva-Previti, no alla clonazione, sì alle radici cristiane nella costituzione dell'Europa, no ai Pacs, no alla sperimentazione della pillola abortiva negli ospedali pubblici italiani, critiche alla devolution, perplessità sulla nuova legge elettorale, no ai matrimoni misti, critiche ai tagli della finanziaria alla cooperazione, sì ai volontari nei consultori, stop all'uso di droghe e alcolici e alle sfide in auto. L'infaticabile cardinal Ruini, dopo aver preso in soli undici mesi tutte le posizioni appena riportate - oltre a quelle che riguardano gli interna corporis della chiesa: la malattia del vecchio papa, la sua morte, i pellegrini, il conclave, il nuovo papa, la beatificazione del «santo subito», il nuovo catechismo, l'eliminazione del limbo etc. etc. -, all'inizio del dodicesimo mese ha fatto sapere: non tacerò. Rivendicando il diritto della Chiesa cattolica di dire la sua sui temi «della vita e della famiglia». E chi glielo nega? L'onda lunga del successo mediatico della morte di Wojtyla non si è ancora abbassata, mentre la fame di voti e la malriposta speranza che vescovi e parroci ne gestiscano a pacchi garantisce la simpatia o l'acquiescenza di quasi tutto il mondo dei partiti (nel quale però l'unica novità, la Rosa nel pugno, si è creata non a caso proprio attorno alla difesa di un grumo di laicità residua). Nessuno nega a Ruini il diritto di dire la sua opinione e la sua verità, semmai troppo pochi sono coloro che gli contrappongono il diritto e il dovere di dire le proprie opinioni e posizioni, anche se non hanno il marchio della verità rivelata - e tanti quelli che gli corrono dietro ansimando, come i portatori della misera proposta di una paghetta mensile «anti-aborto».

C'è una cosa però su cui Ruini non ha ancora parlato. Una cosa che da ieri è legge dello stato: l'esenzione dall'obbligo di pagare l'Ici per i beni immobili della Chiesa e degli enti ecclesiastici adibiti a scopi non di culto. Alberghi, centri sportivi, ostelli, edifici adibili ad attività ricreative: anche posti in cui si paga per entrare, e dai quali i pii istituti ricevono compensi. Su questi suoli e immobili non si pagherà il balzello che pagano tutti i proprietari italiani. Il risparmio per la Chiesa cattolica sarà di 300 milioni, secondo le prime stime: un terzo dell'intero gettito dell'otto per mille, che fu introdotto con grandi discussioni pubbliche e sul quale almeno i cittadini italiani hanno una piccola possibilità di scelta, con la firma nella dichiarazione dei redditi. Su questo dono piovuto dal cielo il cardinal Ruini tace. Peccato. Potrebbe spiegare perché è giusto non pagare le tasse su quegli immobili, e visto che c'è anche come i comuni potranno tappare il «buco» che si apre nelle loro casse. Potrebbe risalire a San Tommaso oppure a Milton Friedman, illuminare ed esaltare lo scopo collettivo del «meno tasse, più Chiesa». Oppure, e più sinceramente, potrebbe dirci almeno: grazie.

il manifesto, 01.12.05
chiesa
I vescovi: «Nessun silenzio». E parlano a tutto campo

C'è di tutto di più nel documento conclusivo dei lavori della 50esima Assemblea generale della Cei. I vescovi, che si sono riuniti ad Assisi dal 14 al 18 novembre, non si limitano a difendere il loro diritto ad intervenire sui temi legati al rispetto della vita umana, ma lanciano affondi a destra e a manca su legge elettorale, riforme istituzionali, finanziaria. «In merito al dibattito in atto sul tema della laicità e sul rapporto tra Stato e Chiesa», spiega il documento, i vescovi sono in sintonia con quanto detto da Ratzinger in Parlamento, in occasione del terzo anniversario della visita di Giovanni Paolo II. E' necessaria «una `laicità positiva' che abbia come riferimento i diritti fondamentali dell'uomo, compreso quello della libertà religiosa». Quindi i vescovi promettono «da parte della Chiesa l'impegno aperto e concreto a favore della persona umana», che non rappresenta «una violazione della laicità della nostra Repubblica, ma piuttosto un contributo, offerto alla libertà di ciascuno, per il suo bene autentico». D'altronde: «Una Chiesa che tacesse su questi temi, per salvaguardare i propri pur legittimi interessi istituzionali, non farebbe invero molto onore né a se stessa né all'Italia». Iniziano poi le preoccupazioni su tutto il resto: la Finanziaria perché toglie fondi «alle fasce più povere e alla cooperazione internazionale». Il Mezzogiorno, con una richiesta di maggiori infrastrutture e di un deciso impegno contro la mafia. Ma anche le riforme. I presuli si dicono preoccupati dai «toni duri» che stanno caratterizzando la scena politica e le «forti polemiche che stanno accompagnando la nuova legge elettorale e la riforma della seconda parte della Carta costituzionale, che richiederà un ricorso a referendum popolare confermativo».

Corriere della Sera, 01.12.05
Uno studio di psicologi dell'Università del Wisconsin
Usa, solo le segretarie possono essere sexy
Le donne in carriera che mettono in mostra il loro fascino suscitano diffidenza. Le loro sottoposte no

NEW YORK - Sharon Stone di Basic Instinct; Demi Moore in Rivelazioni; Reese Witherspoon nel più recente «Una bionda in carriera», che sfida le apparenze sexy per sfondare prima ad Harvard e poi come avvocato di grido? Semplici prodotti della fiction Hollywoodiana in un Paese – l’America – dove nella realtà le donne dotate di sex-appeal faticano a far carriera perché non vengono prese sul serio. Lo rivela uno studio guidato da Peter Glick, docente di psicologia alla Lawrence University del Wisconsin, e pubblicato nell’ultimo numero della rivista Psychology of Women Quarterly. «Una donna manager la cui apparenza nel corso dello studio sottolineava il desiderio di apparire sexy ha sollecitato emozioni meno positive, reazioni più negative e percezioni di minor competenza su una scala soggettiva», spiega Glick, «nonché di minor intelligenza su una scala oggettiva».
DOPPIO PARAMETRO - Ottantacinque anni dopo l’introduzione del voto alle donne e quarantuno dalla creazione della legge sulle Pari Opportunità, l’America continua insomma a trattare i sessi con un doppio parametro, conferendo agli uomini prerogative off limit per le donne. Che possono essere anche molto più competenti dei colleghi maschi e sapere tutto del lavoro che svolgono ma, se indossano un abbigliamento provocante, non vengono rispettate e spesso sono giudicate poco abili nelle loro mansioni.
LE DIFFERENZE TRA DONNE IN CARRIERA E SEGRETARIE - Ancora più sconcertante il risvolto della medaglia cui è pervenuta la giuria di uomini e donne che hanno partecipato all'esperimento del Wisconsin: se a presentarsi in ufficio con abiti osé che ne esaltano le forme femminili sono le segretarie, nessuno trova nulla da ridire. «L’effetto negativo si limita alle donne ai vertici della scala aziendale», spiega il prof Glick, «il look sexy ha provocato sentimenti di ostilità e una valutazione di scarsa intelligenza solo nei confronti delle executive, non delle loro subordinate».

Corriere della Sera, 01.12.05
Benedetto XVI in occasione della giornata mondiale di lotta al virus
Il Papa: «Contro l'Aids serve la castità»
Il Pontefice ha ricordato le strategie di prevenzione basate su «continenza e promozione della fedeltà nel matrimonio»

CITTA' DEL VATICANO - Il Papa, in occasione della Giornata mondiale di lotta contro l'Aids, ha voluto ricordare che funzionano bene le strategie per la prevenzione basate «sulla continenza, la promozione della fedeltà nel matrimonio, l'importanza della vita familiare, l'educazione, l'assistenza ai poveri». Incontrando la nuova ambasciatrice del Sudafrica presso la Santa Sede, Benedetto XVI ha voluto rivendicare il contributo della Chiesa Cattolica nella battaglia contro il terribile virus. Ed ha sottolineato la necessità di una strategia basata su più elementi, compreso la castità. «In questo contesto - ha spiegato - la Chiesa Cattolica offre la sua cooperazione ovunque possa dare assistenza».
UN DOVERE L'ACCOGLIENZA DEI RIFUGIATI - Il Papa inoltre ha parlato del drammatico problema dei rifugiati, ricordando alla ambasciatrice che l'accoglienza di quanti fuggono da «povertà, tensioni politiche e violenza» è un dovere delle nazioni ed è «segno di una società autenticamente civile». «La politica del Sudafrica nell'accettare gli altri - ha sorrolineato - è stata esemplare per l'intera regione». Da Papa Ratzinger infine anche un incoraggiamento al Governo di Pretoria affinchè si impegni a «promuovere la dignità dell'essere umano dal concepimento alla morte».

Corriere della Sera, 01.12.05
Proposta di modifica alla Finanziaria firmata da Ds e Margherita
L'Unione: un assegno per non abortire
Duecentocinquanta euro alle donne in gravidanza, a partire dal sesto mese, con un reddito basso. Sì di Storace. No dei Verdi

ROMA - Un assegno mensile di 250 euro per le donne in gravidanza, a partire dal sesto mese, con un reddito familiare non superiore a 40mila euro annui. È la proposta di modifica alla Finanziaria presentata da Ds (Livia Turco) e Margherita (Giuseppe Fioroni, Rosi Bindi) che, nel dettaglio, è rivolta sia alle cittadine italiane che a quelle comunitarie ed extracomunitarie «in possesso di regolare permesso di soggiorno che si trovino nella condizione di disoccupazione, non iscritte alle liste di collocamento, interessate dalle tipologie contrattuali» della legge Biagi.
Per le ragazze madri «in presenza di gravi condizioni di disagio sociale ed economico e comunque con un reddito non superiore a 25mila euro annui» l'emendamento prevede «un assegno di 350 euro mensili e a partire dal terzo mese di gravidanza». Sará uno o più decreti emanati dal ministero del Welfare (entro 60 giorni dall'approvazione) di concerto con l'Economia e con la Conferenza delle Regioni e autonomie liocali a fissare le modalitá di riconoscimento dei requisiti e di erogazione dell'assegno.
LE REAZIONI - «Se l'opposizione evolve a me non fa che piacere». Il ministro della Salute, Francesco Storace, commenta così la proposta dei Ds-Dl di inserire in Finanziaria un contributo per le donne in stato di gravidanza che prevede un assegno per scongiurare l'aborto. Nettamente contraria Luana Zanella, deputata Verde della commissione Affari Sociali, che dice: «Quella dei Ds e della Margherita mi pare una iniziativa strumentale». Secondo Zanella, «le politiche di sostegno a favore della maternità sono sacrosante e vanno realizzate attraverso finanziamenti agli Enti locali e al Fondo Sociale, entrambi taglieggiati dal governo di destra. L’emendamento in questione, invece, presta il fianco alla demagogia politica di Storace e del rinato fronte anti-aborto: mi pare - conclude - piuttosto un autogol».

Liberazione, 01.12.05
Bindi e Turco arruolate nel partito di Ruini: soldi per finanziare la gravidanza
di Angela Azzaro

Ieri alla Camera è stata fatta una proposta che richiama le politiche familiste del periodo fascista. Non l’ha avanzata la Cei dei Vescovi, né la Casa delle libertà. Ma i Democratici di sinistra e la Margherita: Livia Turco (Ds), Rosy Bindi e Giuseppe Fioroni (Margherita) hanno presentato un emendamento alla Finanziaria che prevede l’ennesimo assegno, questa volta per le donne durante la gravidanza. E’ stato definito «evita-aborto». La proposta in sintesi è questa: duecentocinquanta euro, a partire dal sesto mese, per coloro che non hanno un reddito superiore ai 40mila euro o sono disoccupate. Trecentocinquanta euro per le «ragazze madri» a partire dal terzo mese. Un’elemosina, una mancia, che viene sospesa appena il figlio o la figlia viene al mondo. Una misura non per consentire alle donne di scegliere liberamente, ma per dissuaderle. Per tentare di metterle sotto tutela. Soprattutto un regalo all’ideologia della Chiesa. Il tentativo da parte dei Ds e della Margherita di accreditarsi presso la Santa Sede, sostenendo col denaro la sua campagna anti-abortista. Non a caso il ministro della Salute, Francesco Storace, plaude all’iniziativa con toni - supponiamo - sarcastici: «Se l’opposizione evolve, a me non fa che piacere». Ma che cosa è accaduto perché si arrivasse a questo punto? Bisogna essere realiste e riconoscere che la Chiesa ha fatto e sta facendo scuola anche nel centrosinistra. La proposta Turco-Bindi è in linea con Ruini, ne assume i dettami, se ne fa portavoce. Supera a destra, non a sinistra, l’assegno della Casa delle libertà per i bambini già nati. L’assegno per non abortire vuole far politica strumentalizzando il corpo della donna, la sua vita, nel momento più delicato, più esposto. E’ umiliante che donne delle istituzioni ritengano duecentocinquanta euro (o trecentocinquanta) la misura di una scelta. E’ umiliante ritenere che la scelta di una donna, giovane o meno giovane, dipenda da un assegno e non da un incontro - complesso - tra desideri e bisogni, tra aspirazioni personali, contesto sociale, immaginario collettivo. La politica in questo caso deve fare un passo indietro, deve garantire la possibilità di decidere liberamente, non può invece dettare norme, indurre comportamenti. Avrebbero fatto meglio le due parlamentari e il loro collega dell’Unione a battersi per i consultori, per dire una parola chiara in difesa della salute psicofisica delle donne. Di fronte all’attacco che ogni giorno viene portato avanti dalla Chiesa e dal suo partito trasversale c’è bisogno di altrettanta radicalità in nome della difesa della legge per l’interruzione di gravidanza e di tutti i sostegni che quella normativa prevede. La coalizione che si candida a governare in alternativa alla destra è a un bivio: continuare a farsi del male e inseguire la Casa delle libertà sul suo terreno o costruire una reale alternativa. La proposta Turco-Bindi interpreta nel peggiore dei modi la deriva fondamentalista della destra, si rende complice di un attacco alle donne che non può lasciare indifferenti. Nessuna, nessuno. L’autodeterminazione delle donne rimanda, ieri come oggi, al Paese che vogliamo costruire, al livello di civiltà che consideriamo necessario. Non è un fatto secondario. E’ il cuore della politica. E’, dovrebbe essere, il cuore delle scelte che l’Unione si appresta a fare. O si affronta questo nodo o sarà una lunga stagione di conflitti. Le donne, come hanno detto martedì sera a Milano, non ci stanno. Durante una riunione alla Camera del lavoro sono arrivate in mille. Si sono autoconvocate. Qualche mail, una risposta straordinaria per dire che si ribellano, che faranno pesare la loro presenza sulla scena della politica. E chiamano le altre donne per una manifestazione nazionale, il 14 gennaio a Milano. Ora la parola passa a loro. Passa a tutte noi. Non possiamo più stare a guardare. La proposta Turco-Bindi dimostra che non c’è da stare tranquille, che anche con l’Unione l’orizzonte di senso è ancora da costruire. E’ arrivato il momento di rimboccarsi le maniche. La mobilitazione deve crescere, l’Unione, la politica, devono stare a sentire.

Liberazione, 01.12.05
E da destra parte l’attacco alla 194. Sì all’indagine conoscitiva sulla legge. Le opposizioni contrarie ma è polemica sull’emendamento a firma Bindi, Turco e Fioroni
Dall’Ulivo l’“evita-aborto”.
Il Prc: «Sconcertante»
di Castalda Musacchio

Storace si dice d’accordo (il che è tutto dire, ndr). Dopo aver imposto di inserire i volontari (del movimento per la vita) nei consultori - «altrimenti interverrà lo Stato» - ieri ha plaudito e anche con una certa soddisfazione all’ultima “trovata” dell’Ulivo: l’emendamento “evita-aborto”. Ora, a dirla tutta, pare che ieri in commissione affari sociali più di qualcuno, anzi qualcuna, tra i banchi delle opposizioni sia sobbalzata sulla sedia quando sul tavolo è giunta quella modifica da inserire in finanziaria a firma Rosy Bindi, Livia Turco e Giuseppe Fioroni. E abbia anche esclamato: «E’ davvero troppo, non bastano Ruini e quelli dell’Udc ora ci mettiamo pure a fare la guerra tra noi», ma sta di fatto che più o meno è andata così. Del resto in commissione ieri si sono verificati due fatti gravissimi. Da un lato a spron battuto la maggioranza ha pensato bene di far varare – senza l’appoggio dell’opposizione - un’indagine conoscitiva sulla legge 194. Dall’altra - e, questa volta, è inevitabile aggiungere un po’ a “sorpresa” - è giunta la proposta dei Ds e della Margherita: una modifica da inserire nella finanziaria. Vediamo di che si tratta. Si intitola, o meglio è stato subito soprannominato, emendamento “evitaaborto”. Il perché è presto detto. Si tratta in sostanza di un testo che prevede varie forme di assegno a sostegno della gravidanza. Per la precisione due: per le “ragazze madri” - così è scritto - con un reddito non superiore a 25mila euro annui e che intendano portare a termine la gravidanza l’assegno è di 350 euro mensili dal terzo mese al momento del parto. Di 250 dal sesto mese in poi in favore - e ancora questo è il linguaggio usato nell’emendamento - «in favore delle donne cittadine italiane, comunitarie ed extracomunitarie, in possesso di regolare permesso di soggiorno che si trovino in condizioni di disoccupazione, non iscritte alle liste di collocamento (le normali casalinghe ndr)» o che abbiano - ma la cosa non è del tutto secondaria a ben vedere in una chiara lettura politica - uno dei nuovi contratti di lavoro previsti dalla legge Biagi. La condizione è che non abbiano un reddito familiare superiore a 40mila euro. «Personalmente? – commenta Tiziana Valpiana (Prc) - Personalmente sono indignata e anche sconcertata. Abbiamo condotto insieme alle altre colleghe una battaglia durissima contro l’attacco alla legge 194 abbandonando l’aula al momento del voto su quest’indagine conoscitiva che la maggioranza vuole fare a tutti i costi e in meno di 15 giorni, dato che prima dell’epifania non potrà partire. Ma questo testo, tra l’altro già discusso al tavolo dell’Unione sul Welfare, lo considero davvero offensivo nei confronti delle donne stesse e on riesco inoltre a concepire il fatto che vi sia all’interno delle opposizioni chi pensi di dover rincorrere e a tutti i costi il dettato dei vescovi mettendo da parte la tutela e la dignità delle donne stesse. Non possiamo che essere contrarie alla proposta dei Ds e della Margherita». I motivi? Quest’emendamento - spiega Valpiana - presta inevitabilmente il fianco alla demagogia e al rinato fronte antiaborto. «Come Rifondazione - precisa – non abbiamo proprio nulla da rimproverarci sul fronte delle politiche di sostegno alle donne in gravidanza. Per esempio abbiamo suggerito non solo di dare forza alla rete dei servizi sociali ma anche alla tutela delle donne proponendo quella che io stessa chiamai “il salario sociale del bebé” che non ha nulla a che fare con questo testo “evita aborto”. La mia proposta consisteva in un assegno da versare al neonato, sì proprio a lui, speso da chi effettivamente si occupa del bambino vale a dire la madre o i genitori e che versa in condizioni di disagio sociale. Ma non si può, non possiamo accettare di essere d’accordo con chi vuole tutelare solo le donne che intendano portare a termine la gravidanza. Questa è una scelta che spetta solo ed esclusivamente alla donna stessa. Sulla violazione di temi come la libertà e l’autodeterminazione della donna non possiamo assolutamente essere d’accordo con le colleghe del centrosinistra ». «Per me – aggiunge Elettra Deiana (Prc) - si tratta di un’iniziativa davvero molto grave. Che nasce da una cultura che considera le donne prive della dimensione della responsabilità. L’idea stessa che la gravidanza venga quasi considerata come merce di scambio che non attenga alla libera autodeterminazione della donna grida allo scandalo. Ritengo sia davvero necessario - conclude - affrontare al più presto una ampia discussione su questi temi». Sulla proposta è stato “da destra” il ministro Giovanardi a polemizzare con Bindi. «Quella dell’Ulivo - ha detto Giovanardi - è solo una variazione sul tema, una proposta mascherata sul bonus bebé presentato dalla maggioranza». «La nostra - replica l’esponente Dl - è una misura strutturale non una lotteria una-tantum sulla nascita di un figlio». Ma la vera impressione, come dichiara alla fine anche la deputata “Verde” Luana Zanella, è che questa volta le colleghe del centrosinistra «abbiano solo fatto un autogol». E che autogol.

Liberazione, 01.12.05
Riflessioni sugli attacchi teo-con a Ru 486, legge sull’aborto, embrioni-persona. Il 14 gennaio manifestazione nazionale
Milano, mille donne (e uomini) si incontrano per difendere la libertà di scelta femminile
Emanuela Cirant

Non c’è una sedia libera nella sala della Camera del lavoro di Milano. Tutto lo spazio è affollato, palco compreso. Più di mille donne, con una discreta presenza maschile, si sono raccolte qui per affermare la volontà politica di difendere la libertà femminile. Se il referendum sulla procreazione assistita aveva ottenuto risposte freddine e indifferenza, tutto quel che è avvenuto dopo e che ci sta travolgendo ha forse colmato la misura e dato la spinta necessaria per riprendersi lo spazio pubblico. Gli ostacoli posti all’introduzione della pillola abortiva Ru486, gli attacchi alla legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, le esternazioni di Storace sui consultori, la proposta di destinare ingenti somme di denaro pubblico al Movimento per la vita, l’adottabilità degli embrioni congelati -che ne ribadisce così la personalità giuridicasono alcuni dei fatti più clamorosi che fanno dire alle donne qui riunite di trovarsi di fronte ad un’offensiva guerresca. Si parla da subito di una manifestazione nazionale. A Milano o Roma? L’assemblea risponde: Milano! Da anni le politiche sulla famiglia e sulla sanità realizzate dal governo Formigoni applicano il manifesto teo-con che si sta imponendo a livello nazionale. La data? Il 14 gennaio. E’ differente che i soldi siano destinati al Movimento per la vita, che appresta funerali pubblici di feti abortiti, oppure a progetti di donne per donne che subiscono violenza, ad iniziative che trasmettono la memoria storica delle lotte femminili, agli spazi di autogestione. Ma come difendere la libertà se le donne per prime non la ricercano nelle relazioni quotidiane, con i compagni di vita, di partito, di gruppo, coi colleghi di lavoro, e se al tempo stesso non si chiede responsabilità maschile nella procreazione e nella paternità? Sì alla manifestazione, perché dà forza, visibilità, aggregazione. Diamoci al tempo stesso il coraggio di aprire il conflitto, non con gli uomini in senso astratto, ma con un modello di sessualità maschile scomodo ormai anche per molti uomini, come mostra il dibattito sulla violenza ospitato dalle pagine di questo giornale. Difendere la 194 significa chiederne l’applicazione ma anche attivare capillarmente iniziative di confronto sui modi in cui si vive la sessualità. L’assemblea organizzata in Statale da un gruppo di studenti nella stessa giornata del 29 ha mostrato proprio la difficoltà e allo stesso tempo il bisogno delle giovani generazioni di confrontarsi su ciò che riguarda sessualità e relazioni. Sono portate in questa assemblea le proposte del comitato per laicità e autodeterminazione Facciamo Breccia, che su queste due parole d’ordine propone iniziative locali (10 dicembre) e una mobilitazione nazionale. Un altro gruppo, opponendosi alla decisione di conferire l’Ambrogino d’oro a Oriana Fallaci, sta organizzando per il 7 gennaio un’iniziativa al teatro Dal Verme, dove si leggeranno testi di altre culture per indicare che Milano è multiculturale. La maternità consapevole si difende anche denunciando che la legge 194 ha portato, negli anni, alla diminuzione degli aborti tra le italiane, mentre tra le donne straniere è in aumento. In assemblea si propone anche la costituzione di un Osservatorio sulla salute delle donne, per realizzare un’inchiesta (stato dei servizi, leggi che li regolamentano, stanziamento fondi) e rafforzare la rete (operatrici, utenti, donne delle istituzione e della società civile) per essere presenti nei consultori nei reparti ginecologia prima che si imponga il Movimento per la vita. La miccia si è accesa. Ora sta lasciarla spegnere e trasformarla in un fuoco dilagante. La prossima riunione di coordinamento è prevista per il 15 dicembre. Per aggiornamenti, cercate sul sito www. usciamodalsilenzio.org.