giovedì 15 agosto 2019

il manifesto 15.8.19
Il Tar del Lazio boccia Salvini: «Open Arms entri in Italia»
L’ong catalana, dopo 13 giorni, va a Lampedusa. Il Viminale ricorre al Consiglio di stato
di Adriana Pollice


«Ci dirigiamo verso Lampedusa. Secondo il Tar del Lazio possiamo entrare in acque italiane»: l’annuncio è arrivato ieri pomeriggio via social da Open Arms, la nave dell’ong catalana che navigava senza porto di sbarco dall’1 agosto, giorno del primo salvataggio. I naufraghi a bordo ieri erano 147, al tredicesimo giorno di permanenza senza una fine in vista, almeno fino alla pubblicazione della sentenza che, ancora una volta, ha sconfessato norme e divieti salviniani anche se non ha espressamente disposto lo sbarco. «Chiederemo l’evacuazione medica per tutti i naufraghi», ha spiegato Oscar Camps. Il Viminale ha già annunciato il ricorso urgente al Consiglio di Stato contro il decreto del Tar proprio mentre la ministra alla Difesa, Elisabetta Trenta (uno dei bersagli di Salvini), annunciava la scorta della Marina all’ingresso di Open Arms in territorio italiano, in modo da essere pronti a un eventuale trasferimento dei 32 minori sulle due motovedette militari.
IL TAR DEL LAZIO ieri ha innescato la svolta con la pubblicazione della sentenza con cui ha accolto il ricorso dell’ong (presentato martedì), disponendo «l’annullamento del provvedimento del ministero dell’Interno del primo agosto» (cofirmato da Trasporti e Difesa) che disponeva il divieto di ingresso per la nave in acqua nazionali. Una bocciatura del decreto Sicurezza bis, convertito in legge con i voti dei 5S.
NEL DISPOSITIVO il presidente Leonardo Pasanisi rileva un «vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti e di violazione delle norme di diritto internazionale del mare in materia di soccorso». Il Viminale, infatti, nel formulare il divieto riconosce che il gommone soccorso in area Sar libica «quanto meno per l’ingente numero di persone a bordo, era in distress, cioè in situazione di evidente difficoltà». Ne consegue che «appare contraddittoria la valutazione di “passaggio non inoffensivo”» utilizzata per bloccare i volontari.
È LA SECONDO VALUTAZIONE, dopo quella della gip di Agrigento Alessandra Vella su Carola Rackete, che boccia la tesi del Viminale sulle ong. La sospensione del divieto, spiega ancora il Tar, è necessaria poiché «sussiste, alla luce della documentazione prodotta (medical report, relazione psicologica, dichiarazione del capo missione), una situazione di eccezionale gravità e urgenza, tale da giustificare una tutela cautelare», cioè far entrare Open Arms in acque territoriali per prestare immediata assistenza alle persone soccorse, «come del resto sembra sia già avvenuto per i casi più critici».
ERANO GIÀ SBARCATE due donne incinte al nono mese e, martedì notte, una famiglia con due gemelli di nove mesi, ma solo perché uno dei neonati aveva urgente bisogno di cure. A causa del braccio di ferro imposto da Salvini, il trasbordo è avvenuto col buio e con il mare diventato, nel frattempo, agitato. I video mostrano i soccorritori impegnati a saltare dalla barca alla motovedetta della Guardia costiera con i piccoli stetti alla tuta in una manovra rischiosa a causa del mare. Che i bambini dovessero sbarcare l’aveva chiarito la garante per l’Infanzia. Il tribunale dei Minori di Palermo ha poi chiesto spiegazioni al governo specificando che venivano violati i diritti dei più piccoli. «Il Tar ha riconosciuto le ragioni della nostra azione in mare – il commento da Open Arms – ribadendo la non violabilità delle Convenzioni internazionali e del diritto del mare».
SALVINI ieri ha attaccato a testa bassa: «C’è un disegno per aprire i porti, per trasformare il paese nel campo profughi d’Europa. È un paese strano quello dove una nave spagnola in acque maltesi si rivolge a un avvocato di un tribunale amministrativo per chiedere di sbarcare in Italia. Nelle prossime ore firmerò il mio no perché complice dei trafficanti non voglio essere». Dopo aver innescato la crisi di governo, Salvini si asserraglia al Viminale e continua la sua propaganda elettorale. Il premier Giuseppe Conte ieri mattina aveva inviato una lettera al leader leghista chiedendo almeno di «mettere in sicurezza i minori», alla luce dell’intervento del tribunale di Palermo. «Non mi arrendo, resisto a questa vergogna – la replica di Salvini da Recco -. Staremo attenti perché a Roma non si formi una coppia contro natura tra Pd e 5S e tra Renzi e Grillo per riapre i porti». Quindi l’annuncio del ricorso al Consiglio di stato contro il provvedimento del Tar con la motivazione: «Open Arms ha fatto sistematica raccolta di persone con l’obiettivo politico di portarle in Italia».
L’OCEAN VIKING, dell’ong Sos Méditerranée e Medici senza frontiere, resta in mare con 356 naufraghi (103 minori) in balia del mare grosso: «Abbiamo chiesto il porto di sbarco a Italia e Malta, stiamo valutando cosa fare dopo la novità del Tar del Lazio», hanno spiegato ieri. Intanto il premier francese Emmanuel Macron ha attivato la Commissione europea per portare a terra i migranti.

il manifesto 15.8.19
Le proteste di Hong Kong e il dilemma di Pechino
Hong Kong. Tirare la corda, per quanto legittimo, non è un buon viatico per trattare con Pechino, sensibile alla percezione che nel mondo si ha della Cina
di Simone Pieranni


La «presa» per due giorni dell’aeroporto internazionale di Hong Kong da parte dei manifestanti ha acuito la problematicità di quanto sta accadendo nell’ex colonia britannica. L’azione è stata giustificata come una sorta di ultima spiaggia dagli stessi protagonisti, che sono però incorsi in errori che in parte complicano la loro legittima lotta. Il quadro attuale è il seguente: chi protesta ha dimostrato di poter reggere una mobilitazione che dura ormai da giorni.
Per quanto «orizzontali e senza leader» i manifestanti hanno mostrato un’ottima organizzazione capace di coordinare le tante istanze anti-cinesi che hanno unito le centinaia di migliaia di persone scese in piazza. Sono stati commessi però alcuni errori tattici: in primo luogo la comparsa delle bandiere americane e poi quelle di epoca coloniale. Poi la vicinanza di alcuni dei personaggi più in vista durante le proteste con personale dell’ambasciata americana.
Non segnalare una pubblica distanza dagli Usa ha dato la possibilità alla Cina di accusare i manifestanti di essere sostenuti dagli Usa.
Possibile che Washington abbia provato a complicare le cose alla Cina ma un’eterodirezione è una falsità riguardo le motivazioni delle proteste, che sono profonde e non avevano bisogno di essere aizzate da forze esterne.
Poi all’aeroporto i manifestanti sono incorsi in un altro errore: hanno malmenato e bloccato una persona sospettata di essere un poliziotto infiltrato. Invece era un giornalista dell’ultra nazionalista quotidiano di Pechino, il Global Times, che ha avuto buon gioco a scatenare specie sui social cinesi (WeChat in primis) nuove accuse contro i manifestanti.
Ieri da diversi gruppi che partecipano alle proteste sono arrivate le scuse per questo evento, ma al di là di questi errori tattici, quello che pare mancare al momento è la possibilità reale di arrivare a qualche risultato dopo settimane di manifestazioni che hanno spinto la tensione a un punto tale da rendere complicata una soluzione che permetta alla Cina di non perdere la faccia.
    Tirare la corda, per quanto legittimo, non è un buon viatico per trattare con Pechino, piuttosto sensibile alla percezione che nel mondo si ha della Cina.
In questo senso le richieste di dimissioni della chief executive Carrie Lam e quella di un’indagine sulle violenze della polizia, potrebbero essere due argomenti sui quali Pechino potrebbe addirittura essere disposta a trattare. Ma quanto i manifestanti sembrano sottovalutare, è proprio l’attuale situazione politica della Cina.
Bisogna dunque procedere in due direzioni differenti. Quasi tutti i sinologi sono concordi nel rileggere tutta la storia imperiale cinese proprio attraverso la complessità del rapporto tra centro e periferia. È questa dinamica a costituire il motore politico della Cina imperiale.
A questo proposito il concetto di impero in Cina è arrivato dall’Occidente (e dal Giappone) durante il periodo Qing, l’ultima dinastia cinese. Nella visione cinese, infatti, vigeva il concetto di tianxia «tutto quanto sta sotto il cielo». Si tratta di una visione che rapportandosi non solo agli altri, bensì al cosmo intero, concepiva l’influenza cinese attraverso cerchi concentrici capaci di arrivare anche in posti ben distanti territorialmente dal «centro».
Il sistema dei tributi fu uno degli strumenti che la Cina utilizzò per gestire questa serie di relazioni.
Il concetto di Stato-nazione ha complicato enormemente le cose e Hong Kong è un esempio di quanto questa relazione centro-periferia sia ancora oggi un dilemma in Cina e quanto la «modernità anti-moderna» come l’ha definita l’intellettuale Wang Hui, abbia portato Pechino a dover concepire nuove forme di interazione con le sue articolazioni periferiche.
C’è poi un tema contemporaneo: cosa farà Xi Jinping? Esistono forze interne che, forse, stanche del suo enorme potere potrebbero spingere a prendere la decisione sbagliata su quanto sta accadendo a Hong Kong. Non è semplice saperlo, ma l’intensa attività di puntellamento della propria autorità ha per forza di cose lasciato strascichi.
Parte dell’esercito cinese è a Shenzhen, si tratta di un dato confermato perfino dall’ambasciata cinese in Italia; nella sua newsletter il personale dell’ambasciata ha specificato che «secondo quanto stabilisce la legge della Repubblica Popolare Cinese, tra i compiti della polizia armata figurano la partecipazione a operazioni volte a sedare ribellioni, rivolte, incidenti violenti e illegali, attacchi terroristici e altre minacce alla sicurezza sociale».
Xi Jinping ha in mano le carte e deve scegliere: trovare un compromesso capace di salvare la faccia alla Cina, perfino concedendo qualcosa ai manifestanti, oppure optare per la via della repressione, forte del fatto che la comunità internazionale, ormai, sembra piuttosto disposta ad accettare qualsiasi scelta arriverà da Pechino.

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